I contratti in corso di esecuzione

L’art.2558 c.c. detta disposizioni in merito al trasferimento dei contratti “pendenti”.

Si definiscono “contratti in corso di esecuzione” quei contratti a prestazioni corrispettive in cui entrambe le parti non abbiano ancora dato esecuzione alle proprie obbligazioni. Se ciò fosse avvenuto, se cioè una delle parti avesse adempiuto interamente a una delle prestazioni previste, la disciplina si sposterebbe a quella prevista per i crediti e per i debiti di cui agli art.2559 e 2560 c.c.

In linea generale, il subentro di un soggetto terzo in un contratto non può avere luogo senza il consenso degli altri contraenti del soggetto che fuoriesce dal contratto. La disciplina “ordinaria” in materia di cessione del contratto è infatti stabilita dagli articoli da 1406 a 1410 del c.c., ai sensi dei quali ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi acconsenta. Tale principio viene tuttavia derogato allorché il subentro nel contratto si realizza nell’ambito di un’operazione di cessione di azienda.

L’art.2558 c.c. prevede infatti in materia di subentro del cessionario d’azienda nei contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’impresa una maggiore autonomia decisionale delle parti del contratto mediante il quale viene trasferita l’azienda, a discapito del contraente ceduto, per il quale la possibilità di opporsi alla cessione viene significativamente limitata.

Va inoltre evidenziato che, sempre nell’ambito del trasferimento d’azienda, la disciplina della successione nei contratti di cui all’art.2558 c.c. risulta a sua volta derogata dalle norme “speciali” previste in relazione a particolari tipologie di contratto. L’art.2558 c.c. prevede, nel silenzio delle parti, il subentro dell’imprenditore acquirente l’azienda nei contratti posti in essere dal cedente nell’esercizio dell’impresa e non ancora eseguiti.

Tale previsione non vige per quei contratti che hanno natura personalissima come, per esempio, il contratto di consulenza forense.

La successione del cessionario opera ex lege (ma salvo differente pattuizione espressa tra le parti) per ciò che riguarda i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’azienda, ma non in riferimento a quei contratti che hanno “carattere personale”. Si tratta di quella categoria di contratti, più ristretta di quella caratterizzata dall’intuitus personale, che trova la sua principale giustificazione in ragioni non strettamente connesse al fine della gestione aziendale, ma piuttosto in ragioni personali, in cui la specifica rilevanza della persona ha un’importanza tale da determinare l’insostituibilità del soggetto rispetto alle prestazioni contrattuali che dalle qualità specifiche del soggetto stesso rimangono individuate.

Vi appartengono sia i contratti a prestazione “oggettivamente” infungibile, tali per cui la prestazione promessa dall’alienante, ove fosse eseguita dall’acquirente, risulterebbe ontologicamente diversa (come, per esempio, i contrati d’opera intellettuale o artistica) sia i contratti a prestazione “soggettivamente” infungibile, cioè considerata in concreto dalle parti. Anche i contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni rimangono esclusi dall’applicazione dell’art.2558 c.c.

Le ragioni dell’esclusione operata dall’art.2558 c.c. sono quindi riconducibili a esigenze di tutela del terzo contraente, il quale altrimenti si troverebbe vincolato a rapporti contrattuali non voluti.

Se è vero che, ai sensi del co.2 dell’art.2558 c.c., il terzo contraente può recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento dell’azienda qualora sussistesse una giusta causa, è pur vero che, in assenza delle sopra indicate limitazioni, il terzo contraente risulterebbe meno tutelato rispetto alle diverse fattispecie relative alla modificazione soggettiva delle parti contrattuali che si realizzano al di fuori del particolare contesto del trasferimento di un complesso aziendale.

Risulta, infatti, evidente che, laddove opera la successione ex lege di cui all’art.2558 c.c., il terzo contraente vede diminuire le tutele poste a garanzia della sua posizione, in quanto in questi casi la necessità condizionante che la traslazione del contratto del cedente al cessionario abbia il consenso del contraente ceduto (così come previsto dalla disciplina ordinaria di cui agli art.1406 e seguenti) viene superata dall’automatica efficacia, in capo al contraente ceduto, della traslazione del contratto dal cedente al cessionario. Contraente ceduto che avrebbe la sola possibilità di contrapporre il proprio diritto di recesso, ma solo entro ristretti limiti di tempo (3 mesi) e unicamente in presenza di una giusta causa.

La puntualizzazione contenuta nel co.1 dell’art.2558 c.c. in riferimento ai contratti aventi natura personale pare quindi una previsione normativa posta a parziale delimitazione della minore tutela di cui gode il contraente ceduto quando il contratto viene trasferito nell’ambito di una cessione d’azienda, precludendo l’operatività dell’efficacia automatica del trasferimento in relazione a quei contratti che, avendo carattere personale, non sarebbero stati conclusi dal terzo contraente con altri soggetti diversi dal cedente.

Evidenziata la finalità della distinzione tra contratti aventi natura personale e contratti privi di tale caratteristica, risulta facilmente comprensibile perché il carattere personale o meno del contratto debba essere valutato esclusivamente sul fronte della prestazione dovuta dal cedente, mentre a nulla rileva la natura personale o meno della prestazione dovuta dal contraente ceduto. Trattandosi, infatti, di norma posta a tutela del contraente ceduto, è da escludersi che essa possa essere fatta valere dal cedente o dal cessionario per escludere l’applicabilità del subentro ex lege del cessionario d’azienda nei casi in cui la natura personale del contratto sia connessa alla qualità soggetta del contraente ceduto.

È semplice rilevare che la successione nei contratti, così come previsto dall’art.2558 c.c., è un’evidente deroga al principio imposto dall’art.1406 c.c., in cui è richiesto il consenso della controparte.

Ma tale deroga non comporta un conseguente svuotamento della tutela del terzo contraente, in quanto il legislatore, al co.2 dell’art.2558 c.c., prevede la possibilità di recesso dal contratto. Il recesso dal contratto da parte del terzo contraente può avvenire entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento e solo se sussiste una giusta causa. Salvo la previsione caso per caso, la giusta causa può essere avanzata sia per cause obiettive, sia per cause soggettive avente carattere personale.

Il recesso dal contratto, qualunque sia la causa, comporta un’incompiuta esecuzione del contratto configurando un inadempimento da parte del cedente l’azienda. Il legislatore, quindi, anche se il recesso avviene successivamente al trasferimento dell’azienda, rende responsabile l’alienante per il danno eventualmente subito dalla controparte recedente. Fatto salvo che il co.3 dell’art.2558 c.c. prevede il rispetto delle medesime disposizioni anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per tutta la durata dell’usufrutto e dell’affitto.

Particolare disciplina è prevista per i contratti di lavoro, per i contratti relativi ai consorzi, quelli con oggetto la cessione di diritti d’autore e, in modo, particolare, quelli con oggetto la locazione di immobili a uso commerciale.

Per quanto concerne la disciplina del subentro del cessionario d’azienda nei contratti di lavoro dipendente, la norma di riferimento è costituita dall’art.2112 c.c.

La norma dispone che, in caso di trasferimento dell’azienda, il preesistente rapporto di lavoro continua con l’acquirente: il lavoratore, pertanto, conserva tutti i diritti che ha già acquisito in precedenza. Rispetto alla disciplina generale recata dall’art.2558 c.c., l’art.2112 non attribuisce al cedente e al cessionario alcun margine di autonomia pattizia, prevedendo che in ogni caso il trasferimento del complesso aziendale implica il contestuale subentro del cessionario dell’azienda nella titolarità del contratto di lavoro con i dipendenti occupati nell’azienda trasferita.

Le parti contraenti, cioè sia il venditore sia l’acquirente, sono obbligate in maniera solidale relativamente a tutti i crediti che il lavoratore aveva maturato fino al momento in cui si è verificato il trasferimento dell’azienda. Tuttavia, il dipendente può liberare l’alienante dalle obbligazioni che derivano dal rapporto di lavoro soltanto ricorrendo alle procedure di cui agli art.410 e 411 c.p.c. (procedura di conciliazione).

Per effetto del subentro nella gestione, il compratore è obbligato ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi, anche se di carattere aziendale, in vigore al momento del trasferimento dell’azienda. Tale regola esplica efficacia fino alla loro scadenza, salvo il caso in cui siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’acquirente. Anche se l’operazione di trasferimento dell’azienda non costituisce di per sé un motivo di licenziamento, è da segnalare che l’alienante è titolare della facoltà di esercitare il recesso secondo la normativa in materia di licenziamenti.

L’art.47, co.5, della legge 29/12/1990, n.428, che ha modificato l’art.2122 c.c., esclude la possibilità di una sua applicazione per le operazioni di trasferimento di azienda qualora si verifichi una delle seguenti condizioni:

–          Aziende o unità produttive per le quali il C.I.P.I. abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’art.2, co.5, lett.c), della legge 12/08/1977, n.675;

  • Imprese nei confronti delle quali sia stata fatta dichiarazione di fallimento o di omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione di beni;
  • Imprese nei cui confronti sia stato emanato il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa o di sottoposizione all’amministrazione straordinaria nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o cessata e nel corso della consultazione preventiva sia stato raggiunto un accordo al mantenimento, anche se soltanto parziale, dei livelli occupazionali.

Si tratta di fattispecie correlate a una situazione di obiettiva e sostanziale difficoltà economica, finanziaria e patrimoniale dell’azienda, per le quali il rapporto di lavoro continua con l’acquirente in deroga all’art.2112 c.c., a meno che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. In altre parole, viene fatta salva la possibilità che l’accordo raggiunto in sede di consultazione possa prevedere delle condizioni di maggior favore per il personale.

In tale sede, pertanto, le parti possono convenire che non tutti i dipendenti debbano prestare i loro servizi presso l’acquirente, per cui la parte eccedente può continuare a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante.

Per di più, i lavoratori che sono esclusi dall’accordo, cioè quelli che non passano alle dipendenze dell’acquirente (o affittuario o subentrante), hanno il diritto di precedenza nelle assunzioni che dovessero essere effettuate dall’azienda ceduta entro un anno dalla data dalla quale ha effetto l’operazione (oppure entro un maggior periodo stabilito dai contratti collettivi).

Nei confronti di tali lavoratori assunti successivamente al passaggio della gestione, ma entro il limite temporale previsto dalla norma (o concordato nell’accordo), non si applica l’art.2112 c.c.: il rapporto di lavoro che si va a iniziare va considerato, a tutti gli effetti, come un rapporto di lavoro di nuova costituzione.

Nel caso di trasferimento dell’azienda, l’art.47 della legge 29/12/1990, n.428 prevede che il cedente (ovvero l’affittante o il nuovo proprietario in caso di usufrutto) deve sottostare a particolari obblighi in materia d’informazione. Più in particolare, se sono occupati più di 15 dipendenti, sia l’alienante sia l’acquirente sono obbligati a darne comunicazione scritta.

L’obbligo d’informazione deve essere rispettato almeno 25 giorni prima della data convenuta per l’operazione. Ne sono destinatarie le rappresentanze sindacali, purché costituite a norma dell’art.19 della legge n.300/1970 più nota come “Statuto dei lavoratori”, nelle unità produttive interessate dalla cessione, nonché le rispettive associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Entro 7 giorni dal ricevimento della nota informativa, le rappresentanze sindacali aziendali (o i sindacati di categoria) possono chiedere, per iscritto, di effettuare un esame congiunto dell’operazione. L’alienante e l’acquirente non possono sottrarsi a tale obbligo, che deve essere rispettato entro, al massimo, 7 giorni dalla data del ricevimento della richiesta.

Va sottolineato il fatto che il mancato rispetto di dare corso alla richiesta comporta, sia per l’alienante sia per l’acquirente (ovvero soltanto per quello che tra i due non è stato diligente), l’addebito di condotta antisindacale secondo i lineamenti individuati dall’art.28 della legge n.310/1970. Decorsi 10 giorni dal suo inizio senza che le parti abbiano raggiunto un accordo, la consultazione s’intende comunque esaurita.

L’immobile, in base all’art.36 della legge n.392/1978, può essere ceduto o sublocato anche se il locatore non abbia dato il proprio consenso, a condizione che nel contratto di cessione o di locazione sia compresa anche l’azienda. Il locatore, a sua volta, può, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’avvenuto trasferimento dell’azienda e se sussistono gravi motivi, opporsi al trasferimento.

Al locatore, inoltre, è data la possibilità di pretendere l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione dal cedente, se il cessionario non dovesse provvedervi. Allorché il subentro nel contratto di un soggetto terzo a uno degli originari contraenti si verifica nell’ambito di una cessione di azienda, la disciplina “generale” di riferimento è data dall’art.2558 c.c., salvo che allo specifico contratto risultino applicabili le norme “speciali”.

In base al co.1 dell’art.2558, “se non è pattuito diversamente l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della’azienda stessa che non abbiano carattere personale”.

Il co.2 dell’art.2558 specifica conseguentemente che il “terzo contraente può recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.

La disciplina generale recata dall’art.2558 c.c., in materia di subentro automatico del cessionario in tutti contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda dal cedente (salva espressa pattuizione contraria), si applica quindi a tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale.

Nella nozione di “contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda” si possono indicare i contratti di azienda, ossia quelli aventi per oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquistati per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e i contratti d’impresa, ossia quelli non aventi per oggetto i beni aziendali, ma attinenti all’organizzazione dell’impresa stessa (quali, per esempio, i contratti di somministrazione con fornitori, di assicurazione, di appalto e simili).

In tali contratti vanno ricompresi anche quelli collegati all’azienda in un momento successivo a quello della loro conclusione. Si può, infatti, trattare di contratti originariamente conclusi da un terzo e poi ceduti all’alienante dell’azienda, naturalmente prima del trasferimento di questa, o di contratti stipulati dall’alienante, ma inizialmente non attinenti all’esercizio della sua impresa.

Di contro devono essere esclusi dall’ambito di applicazione della norma i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che, seppur a prestazioni corrispettive, hanno però “carattere personale”; i crediti e i debiti relativi all’azienda trasferita che, anche laddove derivino da obbligazioni di fonte contrattuale, rappresentano comunque un rapporto sinallagmatico ormai non più “in atto”, bensì già “esaurito” al momento del trasferimento dell’azienda, con conseguente applicazione della diversa disciplina stabilita dagli art.2559 (per quanto concerne i crediti aziendali) e 2560 (per quanto concerne i debiti aziendali) c.c.; i contratti unilaterali, ossia i rapporti obbligatori che non prevedono prestazioni corrispettive delle parti.