Corte di cassazione: limiti alle verifiche sui conti terzi
La nuova ordinanza regola l’accesso ai conti bancari di terzi, impedendo controlli indiscriminati e richiedendo prove concrete.

L’ultima ordinanza della Corte di Cassazione ha destato un acceso dibattito sulla possibilità per l’Agenzia delle Entrate di estendere le verifiche fiscali ai conti appartenenti a terze persone. Le implicazioni di questo provvedimento potrebbero ridefinire il confine tra trasparenza fiscale e diritto alla riservatezza.
Un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, contenuto nell’ordinanza n. 13761 del 2025, rappresenta un punto cruciale nella disciplina del controllo fiscale. Il provvedimento si concentra su una questione delicata: fino a che punto l’amministrazione finanziaria può spingersi nelle sue indagini sui conti correnti?
Estensione dei controlli: un nuovo approccio della Giurisprudenza?
L’ordinanza ha introdotto una novità significativa. L’Agenzia delle Entrate può accedere ai conti bancari di persone diverse dal contribuente solo quando emergono indizi tangibili di un loro utilizzo strumentale da parte del soggetto investigato. Non è sufficiente, infatti, che vi sia un nesso familiare o societario. Questo approccio limita le verifiche fiscali sui conti correnti dei coniugi dei contribuenti sottoposti a controllo. Insomma, il rapporto coniugale, da solo, non è un motivo sufficiente per approfondire accertamenti.
La decisione è strategica nella lotta all’evasione fiscale: mira a impedire che contribuenti fraudolenti eludano i controlli intestando formalmente attività e denaro a terze persone. Tuttavia, risulta chiaro che le misure adottate debbano essere giustificate da indicazioni concrete, altrimenti si rischia un approccio indiscriminato.
Il principio sancito dalla Corte Suprema è radicato nella salvaguardia dell’interesse pubblico al giusto prelievo fiscale, bilanciato, però, dai diritti fondamentali delle persone coinvolte nei controlli. La Cassazione ha precisato che i conti di chi gravita intorno al contribuente possono essere indagati solo se ci sono prove oggettive di un’intestazione fittizia del conto o di un uso da parte del soggetto sotto indagine.
In queste circostanze, la presenza di movimenti di denaro tra il contribuente e individui a lui vicini, come parenti conviventi o soci in affari, può giustificare un’intensificazione dei controlli fiscali. Gli indizi raccolti, però, devono essere sostanziali e non basati su semplici sospetti, pena l’invalidazione delle indagini stesse.
L’Intestazione fittizia come strumento di evasione
Il fenomeno dell’intestazione fittizia è tra i più insidiosi nel mondo dell’evasione fiscale. Consiste nell’attribuire formalmente conti o beni a soggetti diversi dal reale titolare, per dissimulare la situazione patrimoniale. Se non affrontato in modo rigido, potrebbe annullare l’efficacia dei controlli fiscali.
La Cassazione ha ribadito che tali misure non possono essere adottate senza prove concrete. La semplice esistenza di rapporti di parentela o affari non è di per sé valida per scatenare verifiche su soggetti terzi. È imperativo che l’Agenzia delle Entrate dimostri la presenza di elementi circostanziati, rispettando al tempo stesso i diritti alla privacy e alla proporzionalità richiesti dalla normativa europea.
Supporto ai contribuenti e tutela della privacy
Il ruolo dell’Agenzia delle Entrate nel condurre verifiche di questo tipo è fondamentale, ma deve essere sempre esercitato con proporzionalità e precisione. Gli esperti fiscali, come dottori commercialisti e avvocati tributaristi, hanno il compito di valutare la legittimità degli atti ispettivi e, quando necessario, opporsi a interventi eccessivamente invasivi. Per i contribuenti, essere trasparenti nelle proprie gestioni patrimoniali è essenziale per evitare equivoci.
Alla fine, uno dei nodi cruciali resta l’equilibrio tra le esigenze dell’Erario e la tutela della privacy individuale. Qualsiasi accesso ai dati bancari di terze parti deve essere adeguatamente giustificato, altrimenti si rischiano acquisizioni illegittime.