La classificazione delle aziende rispetto al mercato specifico di riferimento

La classificazione delle aziende rispetto al fine, se ha avuto l’indubbio merito di operare una sua pur generale distinzione tra aziende di produzione, o imprese, orientate al profitto ed aziende di erogazione, non orientate al profitto, ha tuttavia messo in ombra l’aspetto più propriamente produttivo di tutte le aziende, ossia la circostanza che tutte le aziende esercitano un’attività di produzione, il cui oggetto può essere rappresentato da beni e/o servizi per le prime ed essenzialmente da servizi per le seconde. Quella distinzione ha di conseguenza generato nella pubblica opinione, e notoriamente anche nella nostra classe politica, una distorta concezione della loro amministrazione nel senso che solo le prime (profit organization) dovessero essere gestite in base ai principi di economicità, efficacia ed efficienza, principi pertanto trascurati se non dimenticati nella  gestione  delle seconde (non profit organization).

Quella distinzione, ha condotto, alla confusione tra il fine, differente per le due grandi categorie di aziende, e l’oggetto della loro attività, che è economica per entrambe, oggetto che in quanto tale deve informare l’amministrazione, e quindi anche la condotta di tutte le aziende e quindi anche delle cosiddette aziende di erogazione secondo i principi dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza. Il risultato, comunemente, è sotto gli occhi di tutti: lo stato di cronica inefficienza della pubblica amministrazione, nei suoi vari comparti, regno delle cosiddette aziende di erogazione o, genericamente, non profit organization.

Ciò ha fatto dagli anni ottanta è stata avviata nelle aziende della pubblica amministrazione, una specie di rivoluzione legislativa diretta ad una profonda riforma di queste aziende, improntata ai requisiti della loro economicità, efficacia ed efficienza. Rivoluzione che ha portato all’introduzione obbligatoria in queste aziende di alcuni strumenti tipici di gestione delle imprese, diretti alla misurazione ed al controllo dei risultati ottenuti, rappresentati dal controllo di gestione e da alcuni indici di calcolo, sotto vari aspetti, della performance aziendale.

Sulla scia di questa rivoluzione legislativa e culturale, che è tuttora in corso, la dottrina economico – aziendale italiana ha cercato un nuovo approccio alla classificazione delle aziende che facesse leva o, meglio, che partisse dalla premessa obiettiva (in ombra nella vecchia classificazione) che tutte le aziende, nessuna esclusa, svolgono attività economica di produzione, di beni e/o servizi, per cui tutte indistintamente devono essere condotte in economicità, efficacia ed efficienza. Recuperata l’essenza di qualsiasi azienda in quanto tale, ossia la naturale attitudine delle stesse a produrre beni e/o servizi, bisognava comunque trovare qualche criterio, o parametro che dir si voglia, che le differenziasse considerando che le diverse finalità istituzionali delle aziende pongono influenze, spesso rilevanti, sulla loro condotta di gestione.

E questo criterio o parametro differenziatore delle aziende è stato individuato nel mercato, ossia nel contesto economico nel quale avvengono le fasi più significative della loro attività economica, ai fini del perseguimento dell’equilibrio economico, fasi rappresentate come noto dall’acquisizione dei fattori produttivi e/o servizi, dalla loro trasformazione, nel tempo e nello spazio e dalla cessione dei prodotti e/o servizi realizzati. Sulla base di questo parametro, il mercato appunto, è consuetudine oggigiorno distinguere le aziende in due grandi categorie, che sono le seguenti:

  1. aziende che operano in mercati regolari dal lato della domanda e dell’offerta con lo scopo di conseguire il profitto, dette imprese;
  2. aziende che operano in mercati particolari dal lato della domanda o, con più ricorrenza, dal lato dell’offerta, che potremmo definire, pseudo – imprese, rappresentate da:
  • cooperative;
  • pubbliche amministrazioni (aziende pubbliche di servizi, Stato, province, regioni ed enti locali);
  • associazioni (con finalità ricreative, culturali, sportive, politiche, sindacali, ecc.);
  • fondazioni (con finalità culturali, di assistenza, eccetera, ma di pubblica utilità).

Le prime imprese – svolgono attività economica in mercati regolari nel senso che acquisiscono fattori produttivi e servizi e cedono i loro prodotti a prezzi che si formano liberamente nel mercato ed orientano i prezzi di cessione in modo da recuperare la ricchezza consumata nella produzione e lasciare un margine che remuneri l’attività imprenditoriale, margine comunemente denominato profitto. Tali aziende sono gestite potenzialmente in equilibrio economico.

Le seconde, invece, acquisiscono i fattori produttivi di solito ai prezzi che si formano nel mercato, ma cedono la loro produzione a prezzi inferiori a quelli altrimenti necessari al reintegro della ricchezza consumata, se non a titolo completamente gratuito. Tali aziende operano strutturalmente in perdita e coprono tali perdite con contributi o liberalità da parte di altre economie, rappresentate, nel caso specifico, o dai propri soci o da entità esterne alle stesse aziende. In tali aziende, pertanto, la logica del profitto è più attenuata (cooperative ed aziende di pubblici servizi) se non assente (enti locali, associazioni e fondazioni). Più in particolare, le cooperative sono imprese con scopo essenzialmente mutualistico, che consiste nel procurare ai loro soci:

  1. un maggior guadagno rispetto al mercato per i fattori o servizi ceduti alla cooperativa (es. cooperative di produzione e lavoro, cooperative di trasformazione);
  2. una minore spesa rispetto al mercato per i prodotti acquistati dalla cooperativa (es. cooperative di consumo).

Proprio per tutelare o, meglio, favorire lo scopo mutualistico, vi è per le cooperative una disciplina specifica che limita la distribuzione degli utili e delle riserve di bilancio. In tali aziende i soci hanno una doppia veste di soci/fornitori, come nelle cooperative di produzione e lavoro, oppure di soci/clienti, come nelle cooperative di consumo. Le imprese pubbliche sono organizzazioni di diritto privato, ossia gestite in forma di S.p.A. o S.r.l., costituite da soci pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni) che rappresentano, quindi, anche il loro soggetto economico. Queste imprese sono pertanto denominate pubbliche a causa dei loro soci, soggetti di diritto pubblico. Esse gestiscono, di solito, servizi di pubblica utilità per il consumatore finale come gas, energia, trasporti, smaltimento rifiuti, eccetera. In tali imprese, come nelle cooperative, la logica del profitto è attenuata. Le associazioni, le fondazioni, sono rappresentate da organizzazioni di diritto privato che non hanno scopo di lucro, che cedono i propri beni e/o servizi prodotti prevalentemente:

  • per il consumo dei propri membri (associazioni culturali, politiche, sportive, eccetera);
  • per il consumo di persone esterne alla propria organizzazione (associazioni di volontariato e fondazioni).

La differenza più significativa tra associazioni e fondazioni è rappresentata dal fatto che le fondazioni nascono con un fondo di dotazione finalizzato al perseguimento di uno scopo di pubblica utilità che non può essere modificato né dai soci, né dagli amministratori. Per tale carattere – scopo di pubblica utilità – esse sono sottoposte al controllo di pubblici poteri. La centralità di qualsivoglia azienda come organismo produttivo di beni e/o servizi e quindi anche delle pubbliche amministrazioni in senso lato, ha posto all’attenzione degli operatori il problema dell’efficacia e soprattutto dell’efficienza, o meglio del recupero dell’efficienza di tali aziende, atteso che esse hanno sempre operato, salvo rare eccezioni, ed operano tuttora con largo spreco di risorse, soprattutto  nella fase del consumo della ricchezza, ossia nella fase dell’acquisizione dei fattori produttivi necessari per la produzione dei beni o servizi ceduti alla loro collettività di riferimento.

Proprio per portare a compimento tale azione di recupero, sul finire del secolo scorso nelle aziende della pubblica amministrazione è stata avviata, come già riferito, una rivoluzione culturale e legislativa che ha condotto, tra l’altro, alla imposizione per legge del cosiddetto controllo di gestione, soprattutto attraverso lo strumento della contabilità analitica per centri di costo; contabilità che consente, com’è noto, di misurare i costi, i ricavi ed i margini  realizzati dai vari comparti in cui è possibile suddividere una data azienda. Recuperata, comunque, la centralità del carattere produttivo dei beni e/o servizi per qualsivoglia azienda, e quindi l’attribuzione dei requisiti dell’efficacia e dell’efficienza ad ognuna di queste, senza esclusione alcuna, la classificazione delle aziende secondo il parametro del mercato nel quale esse operano non risolve, purtroppo, il problema della misurazione delle loro performance aziendali.

Detta misurazione, infatti, si presenta più semplice per le imprese che svolgono attività economica nei mercati regolari, al contrario delle pseudo – imprese – che, lo ribadiamo nuovamente, operano in mercati particolari in cui l’acquisizione dei fattori produttivi e/o la collocazione della produzione avviene in base a prezzi a volte notevolmente diversi da quelli che si formano nei mercati regolari – per le quali la valutazione della performance è piuttosto difficile. Sono tuttavia allo studio alcuni strumenti di misurazione di efficacia e di efficienza di tali aziende, capaci di tener conto delle loro specificità particolari. Resta comunque il grande merito di un nuovo approccio alla classificazione delle aziende, che sarà sicuramente foriero di maggiori sviluppi per la comprensione delle cosiddette pseudo – imprese, ai fini di una loro più razionale condotta di gestione e controllo.