Il dopoguerra

L’immediato dopo guerra fu contrassegnato dal rapido smantellamento dei sistemi di controllo statali istituiti durante la guerra. Il ripristino variò considerevolmente da paese a paese. Il boom postbellico riguardò soprattutto quelle economie industriali quali la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che avevano conservato intatte le loro capacità produttive e i paesi produttori di materie prime. Questo boom s’interruppe alla metà del 1920. La più efficace esemplificazione del boom industriale francese fu la crescita dell’industria automobilistica nata prima della guerra con compagnie quali Renault Citroen e Peugeot. La Renault impiantò catene di montaggio in Gran Bretagna e Germania.

Le finanze statali dipendevano dai prestiti a breve contratti per reperire le risorse necessarie alla ricostruzione nella prospettiva di una loro restituzione attraverso le riparazioni però nel frattempo la controversia sulle riparazioni continuava a trascinarsi senza soluzione. La decisione di Poincaré di occupare la Ruhr nel 1923 in segno di protesta contro il tentativo della Germania di eludere i pagamenti stimolò per qualche tempo la vendita di titoli pubblici ma alla fine la metà degli anni 20 fu per la Francia un periodo contrassegnato dal perdurare dell’inflazione e dall’ulteriore deprezzamento del franco. Nel 1926 Poincaré introdusse misure che finalmente stabilizzano il valore del franco e l’economia francese continuò godere di un certo vantaggio fino al crollo del gold standard nel 1931.

Fatta eccezione per la Cecoslovacchia l’espansione industriale della seconda metà degli anni 20 non riguardò quasi per niente l’Europa centro orientale. L’antipatia che questi paesi nutrivano nei confronti dell’Austria impedì a Vienna di riprendere il suo ruolo di perno finanziario. I problemi del commercio dei primi anni 20 furono amplificati dall’iperinflazione che colpì l’Austria e l’Ungheria. Le necessità dei paesi dell’Europa orientale ebbero una azione di stimolo di collaborazione.

La conferenza economica di Bruxelles del 1920 partorì il programma di aiuti. Una seconda conferenza economica ottenuta a Genova nel 1922 ma senza risultati. Il solo risultato durevole uscito dalle conferenze di Bruxelles e Genova fu lo sviluppo della cooperazione tra banchieri centrali i cui principali ispiratori furono Norman della banca d’Inghilterra e strong della federal reserve. Norman partecipò ai progetti di ricostruzione finanziaria post bellica, un processo in tre fasi che cominciò con la stabilizzazione dell’iperinflazione in Austria Ungheria Germania, proseguì con il ritorno della Gran Bretagna al gold standard nel 1925 e fu completato con l’istituzione della banca per i regolamenti internazionali (BRI) nel 1929. Norman e Strong erano dell’idea che i banchieri avessero più possibilità dei politici ma il loro atteggiamento non teneva in considerazione i problemi strutturali: i nuovi confini avevano poco senso perché separavano il carbone dal ferro le filande dagli impianti di tessitura i binari dai nodi ferroviari e gli industriali dai banchieri.

Nei primi anni di pace il valore del marco crollò sui mercati internazionali ma i prezzi interni crebbero più lentamente non riflettendo il deprezzamento esterno della valuta. A partire dal 1922 i negozi chiudevano a mezzogiorno per correggere i cartellini dei prezzi. Per le più semplici transazioni occorreva tanto denaro che bisognava trasportarlo in valigie e carrozzine. L’estate del 1923 fu una desolazione per la Germania. Il marco era pressoché fuori circolazione ed era stato sostituito dal dollaro o da qualsiasi altra cosa avesse mantenuto il suo valore. Altrimenti le transazioni avvenivano per baratto. I pensionati di guerra si erano scoperti privi di ogni risorsa mentre coloro che avevano preso denaro in prestito erano praticamente sollevati da ogni debito. Il 15 novembre fu introdotta una nuova unità di conto il rentenmark il cui valore fu legato alle infrastrutture tedesche. Il problema delle riparazioni fu demandato ad una commissione internazionale di esperti non politici che nell’aprile del 1924 produsse il piano Dawes. La soluzione dei due problemi tedeschi pose le premesse per la stabilizzazione monetaria generale.

La Gran Bretagna tornò al gold standard nell’aprile del 1925. Nel 1926 furono fissati i tassi di cambio per 39 paesi eccetto Giappone Portogallo Romania e Spagna. Inizialmente liquidità e investimenti dovettero essere assicurati dagli Stati Uniti sotto forma di prestiti e uno dei principali beneficiari fu la Germania. A partire dal 1919 industria britannica approfittò per un certo tempo della ripresa tuttavia le commesse riguardavano le vecchie industrie di base quali tessuti e il carbone. Prima declinò l’attività economica interna poi la caduta dei prezzi dei prodotti primari a partire dalla metà del 1920 comportò la contrazione anche della domanda estera. Effetto: una rapida e brusca recessione che colpì la Gran Bretagna fino alla metà del 1922. Con il ritorno al gold standard la sopravvalutazione della sterlina sfavorì le esportazioni. La disoccupazione e le pensioni culminarono nello sciopero generale del 1926.

Anche l’economia Americana fu colpita nel 1921 da una dura depressione. Dal 1923 cominciò però la ripresa e durò fino al 1929. Si trattò di un boom di nuovi prodotti mentre i settori più vecchi subirono un declino. Anche il settore agricolo Americano fu colpito da una grave depressione perché il suo mercato era saturo e i prezzi erano nettamente inferiori ai costi il che comportò un esodo dalle aree rurali. Mentre la ricostruzione dell’Europa fu influenzata dall’iperinflazione l’economia Giapponese subì il terremoto del grande Kanto del 1923.

Nel corso degli anni 20 le tendenze più marcate furono il quadro Picasso e delle capacità produttive nel settore dell’energia elettrica e dell’acciaio. Nel 1928 esistevano in Giappone 4 conglomerati finanziari e industriali chiamati zaibatsu. Nel 1929 il ministro delle finanze annunciò una politica basata sulla parità di bilancio e sul ritorno al gold standard.

L’unione sovietica in quel periodo si trovò isolata. In una prima fase, il governo bolscevico trasferì la terra ha comitati contadini locali che a loro volta provvidero in prevalenza ad una ripartizione individuale. Fino al 1921 il paese rimase impantanato nella guerra civile ed esposto all’intervento straniero. Questa situazione produsse una severissima inflazione paragonabile a quella tedesca. Nel 1921 la produzione agricola era crollata ai due terzi di quella del 1913, quella manifatturiera a un terzo. La nuova politica economica aveva quale tratto distintivo una relativa libertà economica. La liberalizzazione economica consentì lo sviluppo di un ceto di piccoli imprenditori detti “gli uomini della NEP”. Nota: questo argomento mi è stato chiesto all’esame, per cui ecco un approfondimento tratto da Wikipedia:

La NEP, Nuova politica economica, fu un sistema di riforme economiche, in parte orientate al libero mercato, che Lenin istituì in Russia nel 1921e che durò fino al ’29. Essa rappresentò una soluzione temporanea e di riparazione dopo i disastri economici del comunismo di guerra e della guerra civile russa.

La NEP ripristinò la proprietà privata in alcuni settori dell’economia, in particolare in agricoltura. Sostituì il comunismo di guerra, considerato insostenibile in una nazione ancora sottosviluppata e dilaniata dalla guerra civile appena conclusa. Sebbene l’industria fosse totalmente nazionalizzata si introduceva il concetto di autosufficienza e autonomia aziendale e si permetteva per la prima volta ai contadini di vendere i propri prodotti sul libero mercato nazionale, fatta salva la parte che spettava allo stato. Lo stesso Lenin considerava la NEP, per quanto necessaria, un passo indietro nella corsa verso il socialismo: “Non siamo ancora abbastanza civilizzati per il socialismo”, diceva, riferendosi alla condizione prevalentemente agraria della Russia del tempo, con una piccola popolazione urbana e operaia, che non permetteva un passaggio alla società pienamente socialista.

La NEP riuscì a risollevare l’economia sovietica dopo i disastri della prima guerra mondiale, della rivoluzione e della guerra con i bianchi. In particolare essa aumentò enormemente la produzione agricola e rallentò la carestia in corso. Il problema della scarsa produttività del lavoro venne risolto con lo stimolo economico del mercato libero e la concorrenza tra le industrie (per quanto soggette allo stato). La riforma creò una nuova classe dalle caratteristiche originali: gli uomini della NEP, come erano chiamati, erano coloro che si erano arricchiti grazie alle nuove possibilità di mercato, ma che non godevano di alcun diritto politico, in quanto non considerati lavoratori,saranno tra i principali bersagli della persecuzione staliniana successiva alla morte di Lenin.

La NEP fu abbandonata pochi anni dopo la morte di Lenin nel ‘24 in quanto si riteneva che i suoi obiettivi fossero stati raggiunti e si dovesse andare avanti. Fin dall’inizio la NEP fu vista come una misura provvisoria e raccolse pochi consensi tra i marxisti ortodossi del partito bolscevico perché introduceva degli elementi capitalistici.

Il successore di Lenin, Stalin, avrebbe messo fine all’esperimento nel ‘29, non appena ebbe il pieno controllo dell’apparato del partito. Al suo posto furono introdotti i piani quinquennali, una politica economica completamente centralizzata e si intraprese un processo di industrializzazione forzata e collettivizzazione agricola. Stalin ordinò la creazione forzata di comuni agricole (kolchoz) e decise l’eliminazione dei kulaki, i contadini agiati. Grazie a queste radicali misure Stalin riuscì, a prezzo di grandi sacrifici, a dotare l’URSS della capacità produttiva industriale (soprattutto nell’industria pesante) necessaria ad affrontare con successo la lotta della seconda guerra mondiale.

La nuova politica economica quindi pose fine al razionamento e alle requisizioni riaffidando la distribuzione al mercato. Nel 1928 Stalin introdusse il primo piano quinquennale che prevedeva la collettivizzazione dell’agricoltura.