Domande effettuate nelle prove scritte

Art 11764, 2104: la diligenza.
Questi artt. prevedono la diligenza del pater familias: essa si valuta in base alla natura dell’attività esercitata. Si devono osservare, al riguardo, le mansioni, dati professionali e comportamenti accessori: la richiesta di allacciamento alla linea telefonica è riconducibile all’operare di un’installatrice di postazioni informatiche, mentre il lavoro d’inscatolamento è più assimilabile ad un lavoro di magazziniere. La Cassazione ha escluso la responsabilità del lavoratore per un’obbligazione di mezzi. Sarà da valutare quanto il caso potrà rientrare in una prestazione di risultato. L’onere della prova della condotta colposa grava sul datore: spesso, infatti, le mancate prestazioni o i risultati ridotti possono essere riconducibili meramente a situazioni congiunturali di mercato, ad es.; inoltre, qualora si presti servizio a provvigione, sarà il prestatore stesso a subirne le conseguenze.

Art. 2105 c.c. Divieto di concorrenza e di divulgazione di informazioni
La Cassazione ha allargato il concetto di fedeltà: l’art. regola tutti i doveri del prestatore di lavoro. I fatti relativi alla vita privata, di un banchiere nella fattispecie, hanno incidenza solo qualora possa venire meno la fiducia nel lavoratore: per casi riconducibili all’attività aziendale (e solo, ovviamente, per le attività lecite). Viene meno la fiducia nei casi in cui vengano sottratti documenti interni all’azienda, anche (secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario) se per scopi processuali e persino qualora si rilevino delle irregolarità all’interno dell’impresa.

Art. 2125 c.c. Divieto di concorrenza
A pena di nullità, il patto deve contenere: a) atto costitutivo b) corrispettivo monetario equo e proporzionato c) limiti di: oggetto, tempo e luogo (questo perché non si può limitare eccessivamente il lavoratore, in modo da pregiudicargli la possibilità di divincolarsi dal datore e da non garantirgli un certo margine di attività). Qualora la violazione avvenga durante il rapporto di lavoro, nonché il fatto che si sfruttino conoscenze acquisite nel corso dell’esperienza lavorativa attuale, non è necessario, secondo Cass., che il lavoratore abbia già cagionato il danno: è sufficiente una sua possibilità teorica futura.

Art. 2103 c.c. Mansioni del lavoratore
Lo Jus variandi comprende il potere del datore di lavoro di adibire a nuove mansioni il lavoratore. Il concetto di equivalenza tra le mansioni è stato sviluppato dalla giurisprudenza: non basta che esse appartengano allo stesso livello, ma devono permettere lo sviluppo sociale, morale e professionale del lavoratore. È necessario controllare che le nuove mansioni siano concretamente analoghe: non devono essere solo inquadrate allo stesso livello, ma anche rifarsi alle competenze specifiche del lavoratore e devono permettergli di aumentare il proprio bagaglio di esperienze. La riduzione quantitativa è legittima qualora non implichi anche una riduzione qualitativa. Una modifica quantitativa non deve portare ad un deterioramento delle capacità future. Il consenso del lavoratore non è rilevante, però, nei casi in cui il datore adibisca a funzioni alternative un lavoratore, per evitare di licenziarlo, tale cambiamento è lecito. L’esecuzione del contratto da parte delle donne in attesa è prevista agli artt. 16 e 17 T.U. n. 151/2001: essi impongono al datore un’utilizzazione alternativa temporanea e non pericolosa del lavoro femminile. Successivamente, quindi, la donna dovrà essere riadibita alle funzioni anteriori.

Art. 2103 c.c. Intangibilità della retribuzione:
lo straordinario
La Cassazione non interpreta letteralmente l’art. dove dice “senza alcuna diminuzione della retribuzione”, in quanto gli straordinari sono il corrispettivo di un lavoro aggiuntivo, che, se non effettuato, non può aver ragione di essere.

Art. 2103 c.c. Tutela della professionalità del lavoratore
Esistono 2 orientamenti contrastanti riguardo alla sussistenza dell’onus probandi nei casi in cui vi sia stato uno “svuotamento professionale”: uno sostiene che sussista danno ogni volta che sia stato dimostrato il demansionamento, l’altro no.

Art. 2103 c.c. Diritto alla qualifica per svolgimento di mansioni superiori
Lo svolgimento di mansioni che prevederebbero qualifiche superiori, secondo Cassazione, non implicano la promozione automatica, se non a seguito del superamento dei limiti previsti. Questo anche qualora le attività siano svolte ripetutamente nel tempo (e sommandole superino il limite), ma senza mai superare, per ogni singola volta, il limite previsto. Al contrario, se tale comportamento è palesemente elusivo delle norme di legge, si ha la sommatoria automatica. Per i casi in cui vi sia la sostituzione di un lavoratore con diritto alla conservazione del posto, le opinioni dei giudici divergono: alcuni sostengono che tale sostituzione possa essere considerato un presupposto per una riqualificazione superiore, altri no. Il lavoratore ripetutamente assegnato alle stesse mansioni superiori, per più di 3 mesi, non acquisisce la qualifica se tali assegnazioni sono state effettuate per sostituire lavoratori assenti con diritto di conservazione, e se il lavoratore è assunto come appositamente per una funzione di sostituzione, egli è un c.d. sostituto programmato. Nelle ipotesi di assenza per malattia, infortunio, gravidanza, servizio militare, adempimento delle funzioni elettive, puerperio etc. non è configurabile il salto di qualifica.

Art. 2095 c.c. Il pseudo-dirigente
È legittimo il comportamento secondo il quale il datore di lavoro riconosca, mediante un trattamento di favore ad personam, una qualifica superiore a quella effettivamente esercitata. È il caso dei pseudo-dirigenti, che, tuttavia, non possono vedersi applicata la disciplina in materia di dirigenti, poiché secondo Cassazione solo chi svolge nei fatti l’attività di capo può appartenere a tale categoria. Allo stesso modo è presumibile che, ancora una volta, i fatti abbiano maggiore rilevanza rispetto alla volontà cartolare, e quindi, chi svolge effettivamente attività proprie di un quadro debba considerarsi tale.

Art. 2103 c.c. Art. 13, 35 Statuto dei lavoratori: il trasferimento del lavoratore
Sul datore non grava l’obbligo di comunicare al lavoratore le motivazioni del trasferimento, ma, qualora gli siano richieste, deve dimostrarne l’effettività. Il datore, sec. Cass., non deve dimostrare che il trasferimento è inevitabile e, per poter applicare l’art. 2103 occorre che vi sia un trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra, quest’ultima intesa come unità indipendente. Se, al contrario, si ha uno spostamento all’interno dell’impresa stessa, non si applica l’art. 35 dello Statuto. La distanza deve essere considerata anche logisticamente, nel senso che 10km. potrebbero o meno causare disagi al lavoratore, in caso di traffico, ad es. Il controllo del giudice è limitato all’accertamento delle ragioni tecniche previste dall’art. 13 dello Statuto, salvo contrattazione collettiva e mancanza di correttezza e buona fede.

Accertamenti sanitari
La legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) che regola le norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, all’art. 6 disciplina le visite personali di controllo dell’idoneità fisica. Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti. Potranno comunque essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. Inoltre la visita medica sembrerebbe in contrasto con la legge 12 marzo 1999, n. 68 che detta le norme per il diritto al lavoro dei disabili e all’articolo 11 (Convenzioni e convenzioni di integrazione lavorativa) comma 5 incentiva e favorisce l’inserimento di questa categoria di lavoratori. Il diritto dei disabili all’avviamento professionale è riconosciuto anche dall’articolo 38 Cost.

Potere di vigilanza e Controllo a distanza. Artt. 2, 3, 4, 6 Statuto dei lavoratori, 2086, 2104 cod. civ.
Art. 2. Il datore può eseguire controlli solo per tutelare il patrimonio aziendale (pag. 65). I controlli, secondo Cass., inoltre, non devono essere esasperati e continui. Se sono finalizzati a controllare a distanza l’operato dei prestatori sono da considerarsi illeciti. Art. 3. I nominativi e le mansioni dei vigilanti devono essere comunicati ai lavoratori. Art. 4. Impianti audiovisivi (pag. 65). Non sono illeciti quando abbiano lo scopo di verificare comportamenti illeciti, non inerenti all’attività lavorativa o fuori dell’orario di lavoro. Anche per i software è questione di come vengano utilizzati. Gli artt. di cui sopra, sec. Cass., prevedono che la vigilanza sia legittimata da comportamenti che siano fonte di responsabilità extracontrattuali. Il controllo del passaggio da ali ad altre deve essere giustificato come da artt. di cui sopra. Rif.: Art. 2104. la diligenza del prestatore di lavoro. Art. 2086. la direzione gerarchica.

Art. 2106. Art. 7 Statuto. Potere disciplinare
L’affissione del codice disciplinare, in luogo a tutti accessibile, è obbligatoria per l’attuazione delle norme disciplinari: senza di essa le sanzioni sono nulle. Art. 7. Non è previsto alcun termine temporale per il potere disciplinare, sebbene, sec. Cass., sia necessaria la tempestività: la contestazione deve permettere la difesa e deve contenere, perciò, un’esposizione chiara delle cause della sanzione. Il secondo comma è da interpretarsi nel senso che il datore deve ricevere il lavoratore, per discolparsi, solo sotto richiesta esplicita dello stesso. Il terzo comma prevede che le sedi di assistenza del lavoratore siano le associazioni sindacali. Il quinto comma prevede che i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possano essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa (tra cui anche un utilizzo illecito della struttura aziendale). Per quei cinque giorni vi è la sospensione del potere disciplinare. L’ultimo comma sostiene che non possa tenersi conto delle sanzioni decorsi due anni (1999/2000) dalla loro applicazione.

Art. 7 Stat. Lav. Trasferimento disciplinare
4° comma vieta sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro. Parte della giurisprudenza ritiene legittimo il trasferimento atipico e disciplinare se indicato da contratti collettivi, mentre la dottrina sostiene l’illegittimità di tale provvedimenti, come da comma 4. Si è concordai, tuttavia, nell’affermare che sia legittimo il trasferimento causato da “incompatibilità ambientale”, dovuta a cattivi rapporti con i colleghi, in quanto tale provvedimento non è visto come una sanzione, ma può essere attuato, anche in ragione dell’art. 2103 cod. civ., per comprovate ragioni tecniche ed organizzative (a differenza del mutamento di mansioni, perché non richiede motivazione).

Tempo di lavoro: Art. 36 Cost.; D.lgs 66/2003 di attuazione della dir. CE 93/104 art. 2086 c.c.
Il d.lgs n. 66 del 2003 regola l’orario di lavoro. L’orario c.d. “normale” presume 40 ore alla settimana, riducibili dai contratti collettivi. È previsto anche il concetto di “durata media”, che comprende le ore di più periodi quale media, anziché un’analisi giornaliera, riferendosi fino ad un intero arco dell’anno. Il potere gerarchico direttivo del datore è previsto all’art. 2086 cod. civ. e, di conseguenza, anche il potere di variazione unilaterale della disposizione dell’orario, senza, però, poter aumentare la durata media massima (la durata, infatti, è un elemento essenziale del contratto, ed una sua modifica deve perciò prevedere il consenso da parte di entrambi i contraenti). Il d.lgs. 66 prevede anche la disciplina del lavoro straordinario, sino a 250 ore annuali. Lo straordinario è ammesso per: a) esigenze tecniche b) forza maggiore c) eventi particolari (fiere etc.). Tuttavia, l’art. 5 lascia un ampio margine ai contratti collettivi: la trasformazione dello straordinario in permessi, dunque, potrebbe essere prevista dai contratti collettivi o ammissibile con il consenso del lavoratore, tuttavia è presumibile che sia illegittima l’eventuale perdita di riconoscimenti per non utilizzo delle ore di permesso. Il diritto di variazione unilaterale della fascia oraria, giurisprudenza maggioritaria ha affermato, non è discutibile, nei limiti in cui non travalichi i contratti, il diritto al riposo, la salute e la ragionevolezza. (Il limite minimo del 10% è stato abrogato dal d. lgs. 66, per quanto riguarda la maggiorazione della retribuzione dovuta allo straordinario. Esso prevede anche la disciplina del lavoro notturno: il lavoratore deve riscontrare la salute dei lavoratori notturni e non può adibire, ad es., a lavoro notturno le lavoratrici madri.)

Orario di lavoro e fasi preparatorie
Prima del d.lgs 66/2003 si consideravano, secondo orientamento giurisprudenziale, le fasi preparatorie come lavoro, al contrario del tempo trascorso da casa all’azienda e delle pause di riposo. Il d. lgs ha abbandonato il concetto di lavoro effettivo e considera il tempo di lavoro quale il periodo in cui si resta a disposizione del datore, escludendo, tuttavia, secondo l’interpretazione della Direttiva 93/104 (recepita dal decreto) della Corte di Giustizia, l’obbligo di reperibilità, poiché garantisce una gestione più libera del tempo. Per gli orari di reperibilità, dovrà, però, ovviamente, essere corrisposto un’equa retribuzione (36 Cost.), visto l’orario scomodo.

Riposo settimanale e festività Artt. 7, 8, 9 d.gls 66/2003; 36 Cost.
(L’art. 7 prevede il riposo giornaliero di 11h ogni 24. L’art. 8 prevede una pausa di almeno 10 minuti ogni 6 ore.). 36 Cost. su retr. equa e proporz. L’art. 9 del decreto riprende il 2109 c.c. per quanto riguarda il riposo domenicale (24 ore alla settimana). Le deroghe previste da quest’art. possono far pensare ad un contrasto con l’art. 36 Cost, come, ad es., la deroga da parte dei contratti collettivi, al riposo settimanale. Tale deroga, Cassazione ha affermato, può essere prevista, nei limiti in cui non travalichi i limiti contrattuali (cause di nullità del contratto previste dall’art. 1418 c.c.), il rapporto di 6 giorni di lavoro e 1 di riposo, la salute e la ragionevolezza. Non può essere previsto un compenso per il lavoro nei giorni festivi, in quanto tale ipotesi è vietata per legge: il denaro spettante al lavoratore non è, infatti, una retribuzione, ma un risarcimento: per questo non deve necessariamente essere equivalente alla retribuzione di una giornata normale di lavoro. Essa deve comprendere la normale retribuzione giornaliera, maggiorata a causa della fatica addizionale e del risarcimento del danno per questioni di condizioni di salute psichica e fisica.

Art. 10 D.Lgs. 66/2003 Ferie annuali
Il decreto, che recepisce la dir. CE 93/104, stabilisce che il lavoratore ha diritto a ferie retribuite per almeno un mese all’anno e che tale periodo non può essere sostituito da un’indennità, nemmeno qualora prevista dai contratti collettivi (sarebbero clausole nulle, salvo i casi in cui il rapporto cessi). Questo rafforza, quindi, il principio d’irrinunciabilità delle ferie. Sarebbe illegittimo, quindi, un accordo che prevedesse a priori di non usufruire per un anno delle ferie, perché pregiudicherebbe la reintegrazione delle energie psico-fisiche. Ma, qualora ormai esse non fossero state sfruttate, il lavoratore potrebbe, per il principio citato, usufruirne: il lavoratore mantiene il diritto alla fruizione delle ferie anche dopo un anno e, come da 2058 c.c., il datore può trasformare in risarcimento le ferie non godute, solo per comprovate esigenze tecniche. Altro orientamento, prevede, invece, che, siccome ormai il recupero delle energie psico-fisiche non sarebbe più possibile, il datore è esclusivamente tenuto al risarcimento. (L’art. 2126 c.c. prevede che alla prestazione di fatto debba conseguire una retribuzione, non escludendo, tuttavia, il risarcimento.). Il potere organizzativo del datore di lavoro, previsto all’art. 2086 cod. civ., prevede anche il diritto del datore di organizzare e distribuire nel tempo la fruizione delle ferie per comprovate esigenze tecniche. Tale potere, comunque, non può essere esercitato in maniera vessatoria, (come nel caso di insufficiente anzianità) ovvero con lo scopo di danneggiare il lavoratore. Tenuto conto dell’art. 2109 c.c., inoltre, il datore deve esercitare il proprio potere considerando altresì le esigenze del lavoratore. La possibilità di frazionare il periodo di ferie è legittimo, solo nel caso in cui non pregiudichi la reintegrazione delle energie psico-fisiche del lavoratore, anche in considerazione dell’art. 36 Cost. che prevede un periodo annuale di ferie.

Art. 2099 cod. civ. Retribuzione.
Lo scambio tra retribuzione e lavoro è un elemento essenziale del contratto di lavoro (causa). Non hanno natura retributiva i rimborsi spese. Il sinallagma tra prestazione e retribuzione deve corrispondere alla funzione economica e sociale, e, da art. 36 Cost., al fatto che possa sostenere il lavoratore e la sua famiglia. Principi ricollegabili all’art. 36 Cost. sono anche la proporzionalità alla qualità e alla quantità della retribuzione; e una riduzione della quantità, secondo Cass., genera anche una riduzione della qualità della prestazione. Per quanto riguarda la quantità, il d.lgs. 61/2000 specifica esplicitamente che il lavoro a tempi ridotti origina gli stessi diritti del tempo pieno. La proporzionalità alla qualità, invece, permette dei trattamenti ad personam, conformi ai principi del 36 Cost, ovvero è possibile garantire un minimo salariale per tutti, per poi prevedere premi, senza che essi siano incostituzionali. I premi di cui sopra debbono essere correlati sempre ad una controprestazione, e non possono essere erogati solo per la bella presenza.

Art. 2120, 2121 cod. civ. Onnicomprensività della retribuzione
La Cassazione ha più volte ribadito che il principio di onnicomprensività non esiste nel nostro ordinamento, ma ha specificato anche che, qualora i contratti collettivi parlino di retribuzione globale e quando il giudice abbia accertato che un determinato lavoro notturno sia stato continuativamente prestato, il pagamento assurge a normale retribuzione, e pertanto a base di calcolo per la determinazione di TFR e altri istituti indiretti. I compensi da lavoro straordinario, al contrario, non entrano a far parte della paga normale.

Forme della retribuzione.
Art. 2099 cod. civ. Retribuzione. Art. 2100 cod. civ. Obbligatorietà del cottimo. Art. 2101 cod. civ. tariffe di cottimo. Art. 2102 cod. Civ. Partecipazione agli utili. La retribuzione può avvenire in forma di denaro o in natura e può essere a tempo o a cottimo (art. 2099) pieno, integrale e misto. Al terzo comma prevede anche che si possa retribuire con utili. L’art. 2102 prevede le modalità di partecipazione agli utili. Si rimanda alla contrattazione collettiva la fissazione di un minimo di cottimo (il cottimo deve indurre ad un’operosità minima) ed ogni premio di produzione è parte di un sistema legale di trattamenti ad personam. Tuttavia, se tale premio è reso obbligatorio da contratti collettivi, allora si deve ricordare quanto segue: Le azioni danno diritto agli utili e, se mantenute per un anno, obbligatoriamente si dovrebbe parteciparvi. Tuttavia, la facoltà di distribuzione degli utili è una decisione puramente manageriale, per cui non è sicuro che gli azionisti vedano remunerati i propri investimenti. L’obbligatorietà del cottimo per le prestazioni di risultato è stata affermata da Cass., mentre i giudici l’hanno ribadita anche per le catene produttive, con tempistica e pezzi da produrre prefissati. Si rimanda alla contrattazione collettiva la fissazione di un minimo di cottimo (il cottimo deve indurre ad un’operosità minima) ed ogni premio di produzione è parte di un sistema legale di trattamenti ad personam.

Art. 36 Cost. Retribuzione proporzionale e sufficiente
Si rimanda alla contrattazione collettiva la proporzionalità e l’adeguatezza della retribuzione nella sua globalità. Il contratto collettivo costituisce il parametro di riferimento, ma non è vincolante. Il giudice di merito deve valutarne l’effettiva legittimità in conformità con l’art. 36 Cost., consultando dati statistici ufficiali, anche in considerazione del fatto che i contratti collettivi non hanno efficacia erga omnes e possono esservene più d’uno nella stessa impresa ed anche in considerazione degli elementi addotti dall’azienda per la giustificazione della motivazione ridotta. Sono illeciti i comportamenti ad personam peggiorativi, mentre sono leciti se migliorativi. È lecito l’adeguamento di salario, da un contratto collettivo ad un altro, secondo Cass., qualora vi sia una macroscopica inferiorità rispetto ad altri contratti. Non è possibile giustificare l’importo inferiore con le condizioni congiunturali del mercato, tuttavia per le zone depresse e per i piccoli imprenditori (che altrimenti potrebbero essere indotti ai licenziamenti), sec. Cass., è possibile valutarle in maniera differente rispetto a grandi imprese e zone più produttive. L’esperienza sulle navi italiane sottintende svariati fattori non irrilevanti per un datore di lavoro, per questo la Cassazione ha dichiarato che l’attribuzione, da parte del contratto collettivo, di specifici benefici per i più esperti non danneggia altri lavoratori, né concede loro il diritto di godere degli stessi privilegi, altrimenti andando in contrasto con l’autonomia privata (41 Cost.) e quella sindacale (39), nonché contro l’art. 2086 c.c. che prevede la direzione gerarchica del datore. I trattamenti di favore sono dunque possibili se ragionevoli.

Art. 2120 cod. civ. Disciplina del trattamento di fine rapporto.
V. modifiche della legge 297/1982, il metodo di calcolo del tfr non è più proporzionato all’ultima corresponsione onnicomprensiva, ma è la sommatoria degli accantonamenti realizzati nei vari anni, in proporzione alle retribuzioni di ogni periodo. Il tfr deve soddisfare esigenze di tipo primario (non compensabili con i crediti) e racchiude tutte le somme, compreso il corrispettivo dei pagamenti in natura, mentre esclude i pagamenti occasionali, quali, ad es., i rimborsi spese o gli straordinari occasionali appunto. L’equivalente di un rapporto di lavoro può essere riconosciuto, sec. Cass., anche parzialmente, dall’uso di un’abitazione (messa a disposizione di alloggio) e perciò tale uso, paragonato a compenso, deve rientrare nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto di lavoro, anche perché altrimenti il datore avrebbe potuto dover sostenere le spese relative, che, tra l’altro, non sono paragonabili ad un pagamento occasionale, ma ripetuto.

Art. 2120 cod. civ. Anticipazione del trattamento di fine rapporto. (Legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 7).
Dopo almeno otto anni di servizio il lavoratore può richiedere un’anticipazione fino al 70% del trattamento di fine rapporto di lavoro, ma deve giustificare e provare tale richiesta (nel caso di un acquisto di una casa per sé o per i figli, anche mediante atto del notaio) in conformità a valide motivazioni personali. Le motivazioni possono essere disposte dai contratti collettivi. La richiesta non può essere inoltrata qualora l’acquisto avvenga in un periodo temporale di molto antecedente alla richiesta stessa. Per le spese sanitarie, è richiesto il requisito della straordinarietà (es. non sono straordinarie le spese odontoiatriche), indipendentemente dal fatto che l’intervento abbia luogo in una struttura privata o pubblica.
Le disposizioni di cui sopra non si applicano per le piccole imprese, che altrimenti vedrebbero ridursi la propria già scarsa capacità imprenditoriale di investimento: è richiesta almeno la presenza di 25 dipendenti. Le modifiche apportate dall’art. 7 l. n. 53/2000 prevedono l’ipotesi aggiuntiva dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto di lavoro per le spese sostenibili durante i congedi parentali.

Malattia artt. 32, 38 cost; art. 2110 cod.civ.; st. lav. art.5; l.d.463 del 1983;
Innanzitutto è necessario ricordare che il contenuto della certificazione medica fornita dal lavoratore è sindacabile dal giudice, infatti il giudice può rilevare la mancanza di collegamento tra diagnosi e il periodo necessario al rientro del lavoratore. La determinazione del giustificato motivo d’assenza è molto rilevante, infatti in caso di assenza ingiustificata, il lavoratore secondo la legge 463 del 1983 comma 14 vede decadere il suo diritto a qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo sino a dieci giorni. Recentemente la corte di cassazione ha ridotto l’obbligo di reperibilità alle sole assenze per malattia, escludendo quelle per infortunio, nel nostro caso questa novità innovazione è ininfluente, infatti, il lavoratore non si è infortunato sul lavoro ma svolgendo un’attività extralavorativa. Comunque la cassazione prevede che il lavoratore possa essere assente in caso di ragionevole impedimento, che deve essere provato dal lavoratore stesso. Il ragionevole impedimento deve essere una situazione capitata improvvisamente che porti alla necessità di allontanarsi dalla propria abitazione. Nel caso di assenza per essere sottoposto ad un ciclo di ginnastica rieducativa, prescritta dal medico curante è necessario stabilire se tale trattamento non poteva svolgersi in altre ore, come nel caso in cui lo specialista sia presente solo in tali ore, inoltre i trattamenti cui il lavoratore si è sottoposto devono essere necessariamente ricollegabili all’infortunio e necessari per la guarigione.

Controlli diretti del datore di lavoro sullo stato di malattia del dipendente. Art 5 st.lav.
Secondo l’articolo 5 dello statuto dei lavoratori sono vietati gli accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Inoltre il comma due aggiunge che il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda, escludendo perciò un intervento diretto del datore di lavoro. Al datore di lavoro viene riconosciuta la possibilità di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico. Comunque la cassazione sostiene che l’articolo 5 non impedisca al datore di raccogliere indizi utili per dimostrare che il lavoratore tenga un comportamento atto a ritardare la propria guarigione. La fotografia scattata non potrà essere utilizzata come accertamento sanitario ma il suo utilizzo è da ricondurre a indizi riguardanti lo svolgimento di attività che possono rallentare il recupero del lavoratore.

Malattia e ferie art.36 cost. 2109, 2110 cod. civ.
L’interruzione delle ferie per malattia si ha solo nei casi in cui il prestatore non riesce a sfruttare il proprio tempo libero, perciò le ferie oltre a non essere godute dallo stesso, non gli permettono di ricaricare energie psico-fisiche, perciò viene meno lo scopo tipico delle ferie, spetta in ogni caso al lavoratore l’onere della prova. Non tutte le malattie sono di una gravità tale da poter interrompere le ferie. In questo caso si tratta di due brevi malattie, questa situazione è difficilmente riconducibile al mancato godimento delle ferie con relativo mancato recupero di energie).