Le piccole imprese nell’industria italiana

Negli anni ’60 il nostro sistema industriale è diverso rispetto ad altri Paesi.

Nel decennio ’70 – ’80 inizia il decentramento produttivo e la de verticalizzazione (downsizing): tra il 1970 ed il 1995 l’occupazione in imprese con più di 500 addetti si dimezza e quella in imprese sino a 99 aumenta.

Anni ’80 – ’90 il settore servizi assorbe la disoccupazione prodotta dall’industria.

La crescita del comparto è un cambiamento strutturale dello sviluppo industriale, interpretazione secondo cui si sviluppano due modelli:

  • Modello dualista: Piccola Impresa è dipendente dalla Grande Impresa, manodopera – qualificata, sindacalmente – protetta/remunerata
  • Modello della specializzazione flessibile: dove la Piccola Impresa acquisisce il proprio ruolo autonomo attraverso la specializzazione completa di determinate fasi di produzione con l’impiego di manodopera qualificata. E’ un modello di successo delle PI nell’organizzazione dei processi produttivi e del lavoro, consente:
    • Elasticità della struttura tecnico/produttiva = capacità di risposta ad aumento di domanda a parità di costi unitari;
    • Flessibilità = capacità di adeguamento alla variabilità qualitativa della domanda (differenziazione ed innovazione dei prodotti) che portano a:
      • Impiego di impianti de-specializzati e di lavoratori con professionalità polivalenti;
      • Committenza a lavoratori autonomi;
      • Produzione più artigianale, personalizzata, di alta qualità;
      • Orari flessibili;
      • Ricomposizione delle mansioni;
      • Rapporti di collaborazione.

La specializzazione flessibile negli anni ’70 ha portato vantaggi differenziali a favore delle Piccole Medie Imprese che hanno assunto un ruolo non marginale nei sistemi economici, tuttavia Ash Amin ha mosso le seguenti critiche:

  • Non può essere decretata la fine del fordismo;
  • Le condizioni di lavoro non sempre migliorative;
  • La differenziazione del prodotto non contraddice le logiche di produzioni di massa;
  • La flessibilità è comunque connaturata alla specializzazione flessibile;
  • Meno assorbimento di forza lavoro rispetto a produzione di massa;
  • Strategie di globalizzazione e di integrazione internazionale verso confini localistici.

Questioni critiche del modello di specializzazione flessibile:

  • E’ vero che i sistemi articolati di produzione seguano la fine del fordismo e delle produzioni di massa?
  • E’ vero che la loro flessibilità li sottrae totalmente a fenomeni recessivi?
  • E’ vero che migliorano le condizioni del fattore lavoro? E l’occupazione?
  • I sistemi locali sono punto di arrivo e superamento della grande impresa verticalizzata in grado di resistere a strategie di globalizzazione?