La gestione delle organizzazioni pluraliste

Dall’analisi dell’organizzazione come fenomeno politico emerge che ogni individuo mira a realizzare i propri interessi anche a discapito degli altri; gli interessi variano da individuo a individuo, quindi sono contrapposti, da qui il sorgere di conflitti di interesse. Emerge inoltre che gli individui per quanto abbiano interessi diversi, possono anche avere alcuni interessi convergenti e dare vita a una sorta di coalizioni per realizzare un obiettivo comune. Per questo motivo possiamo definire le organizzazioni come “pluraliste”. Il pluralismo è un termine utilizzato dalla scienza politica per indicare alcuni ideali in cui le tendenze autoritarie sono tenute sotto controllo dalla libera interazione tra gruppi di interesse diversi che partecipano al governo. La concezione pluralista ipotizza una società in cui gruppi con interessi diversi contrattano e competono per una divisione più equilibrata degli interessi. Essa si contrappone ad altre concezioni quali quella:

  • Unitaria: concepisce la società come un insieme integrato nel quale gli interessi dello Stato e degli individui coincidono. Sottolinea la sovranità dello Stato e l’importanza che gli individui si sottomettano al suo servizio, in quanto è attraverso la sottomissione che si può realizzare il bene comune e gli interessi del singolo.
  • Radicale: concepisce la società in termini di interessi di classi contrapposti (risente dell’influenza marxiana). La collettività è divisa in gruppi (per ragioni sociali o politiche) con interessi diversi e gli interessi di coloro che sono in posizioni svantaggiate possono essere tutelati modificando la struttura della società e rimuovendo i gruppi dirigenti attuali.

Le organizzazioni di tipo unitario sono quelle che hanno alle spalle una storia di gestione paternalistica e nelle quali si è venuta a creare una cultura del rispetto dell’autorità. Le caratteristiche della radicalità invece le ritroviamo in quelle organizzazione all’interno delle quali è possibile osservare una distinzione razziale o di classe tra i diversi gruppi professionali, ma anche in quelle caratterizzate da una tradizione di relazioni conflittuali tra il management e la forza lavoro.  Le organizzazioni possono essere concepite come piccoli Stati e il rapporto organizzazione/individuo sotto certi aspetti può essere paragonato al rapporto individuo/collettività. I tre modelli sono sia strumenti di analisi usati dalle organizzazioni per capire a quale modello si avvicinano maggiormente ma rappresentano anche ideologie organizzative alle quali i dirigenti possono ispirarsi (nel primo caso prevale lo spirito collaborativo, nel secondo caso l’organizzazione accetta di essere frammentata dal punto di vista degli interessi e propone di trovare un accordo per risolvere le divergenze e nel terzo caso si accetta la diversità di interessi ma non si cerca un accordo, tutti sono in guerra contro tutti). Il modello predominante può insediarsi liberamente all’interno dell’organizzazione, ma può anche essere stabilito dal dirigente se considerato come il migliore per soddisfare i propri interessi. A ogni modello corrisponde una diversa concezione della funzione di direzione:

  • Approccio unitario: il dirigente rimarca la sua autorità all’interno dell’organizzazione e al contempo diffonde uno spirito di collaborazione tra i suoi sottomessi per il perseguimento di un fine comune (“tutti per uno e uno per tutti”). Ci si aspetta che i dipendenti svolgano solo ed esclusivamente la loro mansione, si esclude la possibilità di conflitto (se dovesse sorgere viene visto come qualcosa di disfunzionale e indesiderato). Definire il conflitto come una fonte di guai può aiutare a mobilitare l’organizzazione contro i promotori del conflitto. Il dirigente riconosce un unico potere: il suo. I dipendenti non devono avere potere politico, non devono interferire con i processi direzionali. I sindacati sono considerati una maledizione e il perseguimento di obiettivi personali (attraverso l’uso del potere) è considerato un comportamento scorretto. Molte organizzazioni moderne si rifanno a questo approccio (nonostante la realtà politica odierna caratterizzata da un continuo conflitto di interessi), dando un’immagine di se più unita e meno caotica delle concezioni pluraliste e radicali.
  • Approccio pluralista: il dirigente accetta il fatto che i singoli individui hanno interessi diversi e che possano strumentalizzare l’organizzazione per perseguirli. Il ruolo del dirigente di un’organizzazione di tipo pluralista è quello di mediatore degli interessi: da un lato deve cercare di mantenere i conflitti ad un livello accettabile e non troppo caotico e trarre il massimo beneficio da essi (coordinando i diversi interessi al fine di spingere i membri dell’organizzazione nella direzione da lui desiderata), dall’altro deve assicurarsi che un livello di conflitto sia sempre presente per stimolare gli attori dell’organizzazione. Un livello scarso di conflitto renderebbe gli attori dell’organizzazione soggetti passivi, privi di stimoli, mentre un livello accettabile di conflitto viene considerato una caratteristica positiva: esso stimola gli individui a confrontarsi, a trovare punti di incontro (per il bene dell’organizzazione), a prendere decisioni migliori (se in sede di discussione gli individui hanno opinioni diverse, questo li spinge a confrontarsi e ad analizzare tutti i diversi punti di vista della situazione, ad ampliare i loro orizzonti). Il dirigente per mantenere il livello ottimale di conflitto può agire attraverso una pluralità di strumenti. Se i conflitti sono numerosi, si propenderà per tecniche di risoluzione del conflitto o per tecniche atte a incanalare il conflitto nella direzione giusta; se il livello di conflitto è quasi impercettibile, il dirigente può portare allo scoperto conflitti preesistenti (rendendo manifesti i conflitti latenti) o crearne di nuovi.
  • Ignora i conflitti sperando che si risolvano da soli.
  • Considera a lungo i problemi.
  • Adotta procedure lente per smorzare il conflitto.
  • Utilizza norme burocratiche come strumento per risolvere il conflitto.

Compromissorio:

  • Negozia.
  • Cerca di concludere accordi convenienti.
  • Trova soluzioni soddisfacenti e accettabili.

Competitivo:

  • Da luogo a situazioni “vinci o perdi”.
  • Ha un atteggiamento battagliero.
  • Fa giochi di potere per ottenere ciò che vuole.
  • Costringe gli altri a sottomettersi.

Accomodante:

  • Si fa da parte.
  • E’ sottomesso e disponibile.

Collaborativo:

  • E’ orientato alla risoluzione dei problemi.
  • Condivide con gli altri le proprie idee e le informazioni di cui dispone.
  • Ricerca soluzioni integrative.
  • Trova soluzioni in cui tutti sono vincenti.
  • Considera i problemi come delle sfide. 

Quando servirsi di quale stile nella gestione del conflitto. Competitivo:

  • Quando è richiesta un’azione rapida e decisiva (emergenza).
  • Contro coloro che approfittano di atteggiamenti non competitivi.
  • Quando bisogna adottare decisioni poco popolari relativamente a problemi importanti (taglio dei costi, adozione di normative poco piacevoli).
  • In presenza di problemi di importanza vitale quando si è sicuri di avere ragione.

Collaborativo:

  • Per trovare soluzioni integrative quando gli obiettivi delle controparti sono troppo importanti per poter dar luogo a compromessi.
  • Quando ci si propone di imparare.
  • Per impegnare tutti accettando di portare avanti tutte le strategie.
  • Per sanare ferite che hanno reso difficili certi rapporti.
  • Per sfruttare le intuizioni di individui con diverse prospettive.

Compromissorio:

  • Quando gli obiettivi sono ugualmente importanti ma non vale la pena combattere fino all’ultimo minuto.
  • In presenza di contendenti dotati di uguale potere e ugualmente impegnati alla realizzazione dei loro obiettivi.
  • Per trovare soluzioni temporanee a problemi complessi.
  • Per inventare una soluzione quando ce n’è urgenza.
  • Soluzione di ripiego quando la collaborazione e la competizione non hanno successo.

Sfuggente:

  • Quando si tratta di un problema irrilevante o di importanza secondaria.
  • Quando non si ha alcuna speranza di realizzare i propri obiettivi.
  • Quando per affermare la propria opinione si corre il pericolo di distruggere tutto.
  • Quando altri possono risolvere meglio il conflitto.
  • Quando i problemi sembrano falsi problemi o sintomi di altri problemi.
  • Quando la raccolta delle informazioni è più importante di una decisione immediata.
  • Per permettere agli individui di calmarsi e vedere il problema da un’altra prospettiva.

Accomodante:

  • Quando ci si rende conto di avere torto, per poter fare emergere altre opinioni, per imparare o per dimostrate che si è ragionevole.
  • Quando i problemi interessano di più gli altri.
  • Per procurarsi dei crediti in caso di conflitti futuri.
  • Per minimizzare le perdite quando si è meno forti.
  • Quando l’armonia e la stabilità sono di importanza cruciale.
  • Per permettere ai subordinati di crescere imparando dai loro errori.