L’impresa come contrived system

Le imprese sono dei “contrived system”: le imprese sono sistemi imperfetti perché limitate dalla razionalità dei decision maker aziendali, nonché dai conflitti del sistema delle parti e dalle disarmonie e dalle disfunzioni.

L’approccio sistematico all’analisi delle imprese tenta di superare quello meccanicistico, focalizzandosi sull’insieme piuttosto che sulle parti e sottoparti. La totalità è l’oggetto dell’analisi, perché il “tutto insieme” è prevalente sulle parti: la sopravvivenza nel tempo dell’impresa può dipendere differentemente da una ricapitalizzazione, da una scelta strategica (es.: partnership), da un’innovazione eccetera, ma la diagnosi non può essere limitata alla copertura meccanicistica della singola disfunzione: si deve procedere ad un approccio olistico, comprendendo come sia possibile che tale disfunzione si sia verificata.

Al limite potrebbe esistere una società funzionante, priva di Consiglio di Amministrazione (o con mia nonna a capo), ma con degli ottimi dirigenti o manager. Per questo, non è lecito errare nella scelta del manager. I soci che apportano capitale possono anche riunirsi una volta all’anno e poi contare su dei dirigenti professionalmente agenti.

La situazione giuridico-civilistica, tuttavia, si discosta dall’andamento reale delle società: diritti e doveri ricadono sulla proprietà, mentre sono i direttori a prendere le decisioni.

La Public Company, ad esempio, verifica al massimo questa situazione, poiché, come già anticipato, il livello D è soggetto economico.

La funzione dell’integrazione ha a che fare con il lavoro del manager. In impresa il meccanismo della mano invisibile, di Adam Smith, subisce un clamoroso fallimento, perché l’intervento della visibile mano dei manager è fondamentale. Essi devono:

  1. dare luogo a coordinamento
  2. sviluppare il controllo
  3. mostrare leadership (sotto varie forme): non è scontato che il capo sia un leader (non è il contratto a conferire la leadership: non è una nozione contrattuale)

Di per sé il lavoro di un dirigente implica soltanto un lavoro subordinato: è nelle grandi imprese delocalizzate che la funzione del dirigente o della cordata dei dirigenti assume anche una funzione di Governance. La struttura ha un idealtipo unico, mentre le sue modalità di applicazione assumono stili diversi intesi come stili di leadership:

  1. Autoritario o weberiano (old style) o tayloristico.
  2. Partecipativo o barnardiano: implica coinvolgimento e tempo speso per la persuasione (creatività, slancio ed immedesimazione nei fini aziendali secondo principi bottom-up). Ricordiamo che Barnard aveva scoperto che i lavoratori giocavano a carte anziché lavorare.
  3. Cognitivo: viene constatata l’importanza del know-how, dell’innovazione dei prodotti; l’enfasi è stressata sull’ingegno e l’informazione circolante; il manager deve ricercare i champions di nuove idee (e valorizzarli facendo l’orchestrator). Il soggetto economico deve essere informato sulle modalità di evoluzione dell’impresa ancor prima che sul bilancio.
  4. Clanistico (ha molto a che fare con lo stile giapponese): si sviluppa il senso di appartenenza all’impresa, garantendo un lavoro vitalizio. In Giappone non è sorprendente che i lavoratori si riuniscano in circoli di qualità (senso di solidarietà di gruppo) per il miglioramento della produttività. Per essere estremamente efficienti (principio del toyotismo), bisogna sviluppare dei clan all’interno dell’impresa stessa per metterli in concorrenza tra loro.
  5. Orientato al coordinamento e controllo dei confini (imprese reticolari decentrate nel processo produttivo e delegate nelle funzioni, nella direzione e nella distribuzione dei prodotti): è il management a distanza.