Il modello del bilancio e il modello della creazione del valore

Analizzeremo sostanzialmente due modelli:

1)     il modello del bilancio: sottostima i valori dell’attivo e sovrastima il passivo per il principio della prudenza, generalmente.

2)     il modello della creazione del valore: più evoluto, tiene conto anche del know-how etc.

Riclassificazione del conto economico: modello a valore aggiunto (lo rivedremo)

Valore della produzione

– Costi esterni della produzione

Valore aggiunto lordo

Ammortamenti

Valore aggiunto netto

– Costo del lavoro

Reddito/Perdita operativa

+/- Saldo della gestione atipica

+/- Saldo della gestione finanziaria

Utile/Perdita corrente

+/- Saldo della gestione straordinaria

Utile ante imposte

Esistono 3 tipi di analisi:

  • strutturali
  • per indici
  • per flussi: “come cambia un fondo da un tempo t1 a un tempo t2”: bisogna ricercare i motivi per i quali i flussi vengono modificati. Gli IAS cercano di allegare al bilancio una spiegazione delle particolari modifiche dei flussi: il rendiconto finanziario.

Il ciclo monetario: il calcolo dà come risultato un numero di giorni (vanno interpretati)

  • è un coordinato insieme di indici che si utilizza per misurare il periodo di tempo intercorrente tra l’uscita monetaria collegata all’acquisizione di fattori produttivi e l’entrata monetaria relativa alle vendite dei prodotti o delle prestazioni.
  • Consente di valutare eventuali crisi o tensioni di liquidità dovute a sfasamenti tra il periodo degli incassi e quello dei pagamenti.

Quanto tempo passa dal momento in cui io pago al momento in cui io incasso? È chiaro che più lungo è questo periodo peggio è. Questo genera grandi tensioni di liquidità, non perché le cose vadano male, ma perché non riesco a stringere questo percorso; si è quindi costretti a ricorrere al finanziamento bancario che richiede costi ingenti. Più tardi pago quello che compro, meglio è; prima vengo pagato meglio è: ma dipende dal potere contrattuale perché, di solito, se io miglioro il mio ciclo monetario peggioro quello del mio fornitore o del mio cliente.

Bisogna anche tener conto dei costi per interesse sulle dilazioni di pagamento. Le aziende che non hanno tensioni di liquidità sono le assicurazioni: prima incassa il premio e poi forse pagherà. Spesso anche la grande distribuzione incassa cash e paga dopo. INDICATORI che formano il ciclo monetario (i primi 4 è bene che abbiano valori bassi):

+ Giacenza media materie prime = (R1 + R2)/2/consumi * 365

(R1 = materie iniziali; R2 = materie finali)

+ giacenza media dei prodotti finiti = (R1+R2)/2/Costi della produzione * 365

È simile al 1° indicatore, anziché il processo di acquisizione analizza quello di produzione.

+ periodo di produzione (semilavorati ecc.) = (R1+R2)/2/Costi della produzione * 365

+ periodo di giacenza media crediti v/clienti = Crediti v/clienti/Ricavi delle vendite * 365

I crediti ed i ricavi sono già disomogenei in partenza a causa dell’IVA, quindi andrebbero omogeneizzati.

periodo di giacenza media debiti v/fornitori = Debiti v/fornitori/Acquisti * 365

È l’unico che è un bene che abbia un valore alto, quindi ha segno “–“.

La solidità aziendale (da non confondere con quella patrimoniale) dipende dalla correlazione tra la struttura degli investimenti e dei finanziamenti (acquisti e vendite ≈ debiti l/t): riguarda la dipendenza dai finanziatori e misura il rischio finanziario.

  • F/K+C/K=1 Più è vicino ad 1 il primo rapporto e più sono rigidi gli investimenti → Fisso alto
  • (N+π)/K+(p/K)=1 Più è vicino ad 1 il primo rapporto e minore è il rischio di richieste di rimborso → ben capitalizzato
  • (N+ π)/F >,<, =1 Più è alto l’indice più è favorevole il giudizio sulla solidità → riesco a coprire le immobilizzazioni fisse
  • N/K: potrebbe esser = 1 per le aziende con capitale proprio, potrebbe essere 0 nelle aziende con capitali di terzi. È stato dimostrato empiricamente che:
    • >0,66 possibilità di sviluppo → poco indebitamento
    • tra 0,55 e 0,66 equilibrio strutturale
    • tra 0,33 e 0,55 struttura finanziaria da controllare: c’è già stato parecchio ricorso al debito
    • <0,33 struttura finanziaria pesante → tanto indebitamento

La relazione tra N, p e π mette in relazione il capitale proprio e di terzi risultante dal passivo di bilancio.

N/n più alto è meglio è: indica che ci sono tante riserve. È un’azienda in grado di auto-finanziarsi.

La liquidità. Possono esistere problemi di liquidità e si può esser costretti a svendere qualcosa per farvi fronte (e ne risente il processo produttivo) o a richiedere un prestito che costa. Bisogna capire la natura dei flussi di cassa: è chiaro che un flusso di cassa molto alto non può esser giudicato positivo tout cour: se svendo impianti non è una cosa positiva. L’indicatore più importante che dovrebbe esser > 1 è: (Li + Ld)/p.

Quozienti operativi: R/K = più è alto meglio è: indice di rotazione. Gli altri indici mettono in evidenza porzioni distinte del capitale investito a seconda dei casi, per poter monitorare un certo fenomeno. Scomponendo K gli indicatori sono quasi infiniti. Il conto economico: 2425 c.c.: a sessioni sovrapposte ed a valore della produzione

a)     valore della produzione

b)    costi della produzione

a – b)            Differenza tra valore e costi della produzione

c)   proventi ed oneri finanziari

d)   rettifiche di valore di attività finanziarie

e)   proventi ed oneri straordinari

Reddito ante-imposte.

Purtroppo è una commistione di elementi eterogenei, quindi non piace molto agli analisti finanziari. Dentro a-b esistono anche elementi di natura non caratteristica, infatti non si chiama “reddito operativo”: per esempio le plus o minusvalenze ordinarie o straordinarie. Per il legislatore la straordinarietà non attiene all’eccezionalità con la quale si sviluppa l’evento ma all’estraneità della fonte che genera il provento. Esempio: è straordinaria la vendita di un immobile civile che non rientra nella produzione. Questo fa sì che talvolta si trovino plus o minusvalenze da traslare in ambito di controllo. Un componente tipicamente da inserire in a5) sono i fitti attivi, anche se non sono caratteristici: se affitto la villa in Costa Smeralda. Depurando a) e b) dai valori non caratteristici si inizia a costruire un CE quasi sicuramente caratteristico (ragionamento inverso per i punti c,d,e che possono esser invece considerati caratteristici). Insomma per il legislatore e per il controller i bilanci hanno valenze diverse. È necessaria una riclassificazione del CE, che di solito avviene in due fasi distinte:

1)     lo spostamento dei costi e dei ricavi effettivamente caratteristici/non, in modo da creare il corretto risultato operativo: il risultato che si avrebbe se non ci fossero componenti finanziari atipici o straordinari

  1. suddivisione in componenti finanziari, atipici e straordinari

2)     a seconda di come decido di suddividere costi e ricavi si può arrivare a 2 classificazioni diverse di CE:

  1. a costo del venduto (poco importante per le aziende di servizi, le riclassificazioni vanno contestualizzate)
  2. a valore aggiunto

Riclassificazione a costo del venduto (è una sorta di “stratificazione”):

Dal reddito operativo in poi è uguale a tutte le altre classificazioni (si sommano o sottraggono i proventi o gli oneri atipici, finanziari e straordinari per avere il reddito ante-imposte). Quel che cambia è il modo con il quale si decide di combinare tra loro i costi ed i ricavi caratteristici che sono suddivisi per funzione di appartenenza:

Ricavi netti delle vendite

–          costi industriali/“costo del venduto”: direttamente attinenti al processo produttivo: rettificati delle rimanenze

=    Utile industriale

–          costi amministrativi

–          costi commerciali

=    Reddito operativo

Di solito le grandi aziende compilano allegato al bilancio anche questa riclassificazione. Spesso si procede a riclassificare con delle percentuali fisse “di comodo”.

Riclassificazione a valore aggiunto: si distinguono i costi interni ed esterni (cioè quelli che mettono in comunicazione oppure no l’impresa con l’esterno; esempio: acquisti son esterni, il personale son interni).

Valore della produzione (il punto “a)” del CE originario)

–          acquisti ed altre spese (esempio: i costi di trasporto)

=    valore aggiunto (alto valore aggiunto: la moda, la swatch etc.: il prezzo finale è molto > dei costi delle MP; spesso dipende dalla pubblicità genera vantaggio economico)

–          spese per il personale

=    MOL (margine operativo lordo)

–          ammortamenti

=    reddito operativo

La redditività operativa è l’attitudine dell’impresa a remunerare in modo congruo gli investimenti utilizzati operativamente nell’impresa e al servizio della gestione caratteristica. È misurata dal ROI = Ro/Ko. Ma bisogna capire da cosa scaturisce il reddito: ad esempio, non è bene che un’impresa faccia reddito per la vendita di impianti o per un’eredità. Le nostre riclassificazioni sono incentrate, infatti, sulla determinazione del reddito operativo, come abbiamo visto, cioè la provenienze del reddito deve essere relativa proprio al reddito operativo e non a fattori straordinari, atipici o fin.

La redditività netta è quindi diversa da quella operativa! Il ROI va confrontato con il settore, tecnicamente non esiste un valore ottimale; esempio: 0,09 potrebbe esser un buon investimento. La redditività globale o netta, invece, esprime il tasso di redditività del capitale proprio ossia la remunerazione del capitale di pieno rischio. E’ rappresentata dal ROE (return on equity). Dipende da numerosi fattori, infatti: ROE = Rn/N = Ro/K * K/N * Rn/Ro. Il segno algebrico dipende dall’andamento economico (prescindendo da deficit patrimoniale). Bisogna trovare una redditività che managerialmente sia soddisfacente: deve almeno esser > del rendimento dei titoli privi di rischio ovviamente. Quindi quando si parla di redditività aziendale bisogna sempre chiedersi se si parla di quella netta o di quella operativa.