TFR per la pensione anticipata: geniale svolta

Autore:
Antonella Palumbo
  • Giornalista

TFR per la pensione anticipata: geniale svolta

Il tema della previdenza pensionistica in Italia è un cantiere sempre aperto, con soluzioni che appaiono in continua evoluzione e mai definitive. A pochi passi dalla prossima legge di Bilancio, i partiti di governo sono impegnati a consolidare le proprie strategie su questioni chiave.

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Il TFR come ponte verso la pensione anticipata

L’idea di utilizzare il TFR per permettere ai lavoratori di andare in pensione anticipata non è priva di complessità. In Italia, meno di 10 milioni di persone aderisce a forme di previdenza complementare, un numero esiguo rispetto ai 24 milioni di lavoratori. L’adesione a tali fondi pensione è ostacolata primariamente dagli stipendi bassi, che limitano la capacità di risparmiare per il futuro.

C’è una pressante esigenza di rendere il sistema pensionistico più flessibile. Attualmente, l’uscita dal mondo del lavoro è fissata a 67 anni per garantire la stabilità dei conti dell’INPS, ma diverse categorie di lavoratori vorrebbero una finestra di uscita precedente. Durigon propone di permettere l’uscita a 64 anni, utilizzando il TFR come parte di un meccanismo esistente che consentirebbe la pensione anticipata, a patto di rispettare certi requisiti: avere almeno 25 anni di contributi dal 2025 e 30 dal 2030, far parte del sistema contributivo puro e ricevere un assegno superiore a tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro nel 2025).

L’iniziativa della lega sotto la lente

Tra i dettagli dell’iniziativa della Lega c’è l’intenzione di allargare l’accesso alla pensione anticipata a chi rientra nel sistema misto, ovvero quei lavoratori che hanno cominciato a versare contributi prima del 1996. Tuttavia, l’importo minimo dell’assegno resta una barriera. La soluzione? Utilizzare il TFR gestito dall’INPS per integrare il montante contributivo necessario ad anticipare la pensione.

Un aspetto interessante del piano è che i lavoratori avrebbero la possibilità di rinunciare a ricevere il TFR al termine dell’impiego, optando invece per una rendita mensile complementare alla pensione. Sebbene questa possa essere una scorciatoia attraente per alcuni, legare il TFR alla pensione introduce interrogativi cruciali. Il TFR è infatti una parte differita del salario del lavoratore, un accantonamento annuale obbligatorio presso l’INPS per le grandi imprese, mentre per le altre aziende rimane una scelta del lavoratore.

Le implicazioni del legare il TFR alla pensione

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La proposta della Lega ha già sollevato dibattiti. Inizialmente, il trasferimento degli accantonamenti TFR all’INPS fu aspramente criticato dalla stessa Lega, che lo definì un “tentato esproprio” ai danni di lavoratori e imprese. È bene ricordare che il TFR aiuta a sostenere la liquidità delle aziende, poiché viene considerato come una risorsa attiva nei bilanci aziendali.

Perché utilizzare il TFR come strumento pensionistico potrebbe non essere un’idea vincente? Concettualmente, distoglie l’attenzione dal nodo cruciale rappresentato dai salari bassi. Suggerisce ai lavoratori di arrangiarsi con le risorse già disponibili, anziché guidarli verso un sistema di previdenza complementare più sostenibile. Negli anni, il governo ha cercato di spingere verso l’accantonamento TFR presso l’INPS tramite il meccanismo del silenzio-assenso. In parallelo, per i dipendenti pubblici, il trattamento di fine servizio (TFS) è soggetto a un dilazionamento per somme superiori a 50.000 euro. Tale retribuzione differita è oggetto di discussione come se non spettasse di diritto al lavoratore, ma fosse una leva per altri obiettivi.