L’Inghilterra

Tra rivoluzioni  espansione economica

Il 1600 è un secolo di forti conflitti e di nuovi assetti costituzionali, con nuove classi sociali al comando.

Nel XVI secolo l’Inghilterra si trasformò da paese esportatore di materia prima a paese esportatore di prodotti finiti (lana ó tessuti di lana). Si ampliò la quota di pascolo nelle campagne, perché le new draperies erano tessuti meno pregiati ma più a buon mercato. Tali tessuti aprirono agli inglesi anche i mercati del nord Europa e del Mediterraneo.

Tra i settori trainanti vi fu anche l’industria siderurgica, poco diffusa in passato, ma che ebbe uno sviluppo rapido.

Carlo Cipolla ritiene che tale aumento sia dovuto alla sostituzione dei rari combustibili vegetali con il carbone, poco costoso ed abbondante. Il settore trainante dell’economia fu il commercio. Alla fine del secolo la marina inglese era la migliore al mondo. Nel 1602 venne fondata la compagnia inglese delle Indie Orientali, l’unica in grado di competere con la VOC olandese in Asia e soprattutto in India. La Virginia Company era la compagnia che gestiva la colonizzazione nel nord America e che portò oltre oceano agricoltori e commercianti. Nell’America del Sud la penetrazione fu più difficoltosa, ma gli inglesi si assicurarono, comunque, nell’Atlantico i due commerci più lucrosi: schiavi e zucchero. Londra divenne, al pari di Amsterdam, una nazione colonizzatrice ed esperta nella riesportazione.

Alla base dell’espansione vi era sicuramente il progresso agricolo, con grandi incrementi della superficie coltivabile e l’uso più massiccio di fertilizzanti.

Un altro settore che conobbe un’evoluzione decisiva fu quello creditizio: l’aumento dei servizi e delle tecniche andò di pari passo con un continuo calo dei tassi d’interesse.

Nota: Le enclosures e gli atti di navigazione

In Inghilterra, alla base della futura industrializzazione vi era soprattutto il nuovo assetto socio-economico ed istituzionale, oltre alla non belligeranza ed alla minor incidenza delle crisi demografiche.

Il settore agricolo fu dominato e si sviluppò grazie alla concentrazione fondiaria.

Le classi più abbienti percorsero 3 strade per estendere i propri possedimenti: 1. la trasformazione dei contratti colonici da lungo a breve termine e da trasmissibili ereditariamente a non trasmissibili. Questo segnò la fine del sistema della signoria feudale. 2. l’acquisto di lotti di terra dai piccoli proprietari, colpiti dal crollo dei prezzi. 3. l’accaparramento degli openfield, ovvero i terreni comuni: grazie ad esso, i grandi proprietari potevano accumulare denaro proveniente anche dai pascoli, settore sempre più in sviluppo, visto la crescente richiesta di lana nelle industrie.

Tipico fu l’aumento delle coltivazioni di malto, visto l’incremento del consumo di birra.

L’aumento della pressione fiscale fu assorbito meglio che altrove, per merito dell’innovazione tecnologica e organizzativa.

Gli ex coloni o gli ex piccoli proprietari furono indotti a diversificare le produzioni, a investire in fertilizzanti e a sviluppare l’allevamento. Le politiche dei governi era volti all’accrescimento della ricchezza e della potenza nazionali.

Esse coincidevano perfettamente con gli interessi di un’ampia fascia della popolazione inglese. Il mercantilismo si sviluppò in tutti i ceti sociali. Essendo l’Inghilterra un’isola molto importante era il controllo del traffico portuale e nel 1651, infatti, si estendeva a tutti i porti inglesi il divieto di sbarcare merci da navi che non battessero bandiera britannica.

Nel 1663 si stabilì, con lo Staple Act, che le colonie potessero comprare solo in Inghilterra i prodotti di cui avevano bisogno. Questo garantì l’espansione del mercato interno che poteva contare su prezzi costantemente inferiori a quelli praticati al di fuori dell’Inghilterra. Le classiche compagnie inglesi erano unioni tra mercanti, prive di un proprio capitale sociale, mentre le nuove, chiamate Joint Stock Companies, si organizzarono sul modello delle compagnie olandesi. Molto importante era il commercio di riesportazione.

L’affermazione dell’individualismo agrario e del capitalismo mercantile

L’età degli Stuart fu un periodo decisivo per l’Inghilterra. I poteri che il parlamento riuscì a conseguire crearono un assetto istituzionale nuovo, che gli garantiva ampi poteri economici e fiscali ed, inoltre, garantiva anche per i debiti del Regno, incentivando i sudditi ad imprestare soldi al Sovrano. Il crescente potere politico del Parlamento a discapito del Sovrano, andò a vantaggio delle classi in ascesa. Si generò, dunque, un circolo vizioso che vedeva il reinvestimento del surplus degli affittuari in nuove produzioni.

La nobiltà inglese si distingueva da gran parte di quella continentale anche per il fatto che non disdegnava di impegnare capitali in attività produttive. Le famiglie nobili prestavano soldi e acquistavano azioni delle compagnie.

Essi stessi si facevano promotori di imprese commerciali e manifatturiere e investivano in attività minerarie.

L’altra grande possibilità di investimento era quella legata al commercio dove i rischi ma anche i profitti erano più alti.

Con la trasformazione delle compagnie in SPA tutte quelle persone che erano riuscite ad accumulare un piccolo risparmio investivano in esse.

Il mondo agricolo e quello commerciale erano rappresentati in parlamento e nessuna istituzione rappresentativa in Europa era paragonabile alla camera dei Comuni inglese in campo politico ed economico.

Il sistema parlamentare inglese non perse mai di vista la politica commerciale, il rafforzamento della marina e la privatizzazione delle terre. Dal punto di vista economico gli inglesi seppero sempre imparare, in particolare dagli olandesi, tutto quello che poteva tornare a proprio vantaggio. Nel 1694 nacque la banca d’Inghilterra, che riuscì a sfruttare a pieno le potenzialità di sviluppo ed investimento di un ben regolato debito pubblico.