L’ascesa dell’estremo oriente

La crescita e la prosperità riguardarono non soltanto l’Europa del nord America ma tutti i paesi del mondo. Tali fenomeni si manifestarono in modo ancora più spettacolare che in occidente nell’estremo oriente e soprattutto in Giappone. Il Giappone era risultato sconfitto e devastato alla fine della seconda guerra mondiale con limitate risorse naturali sovrappopolato con esportazioni rese difficili dai sentimenti anti Giapponesi e con un basso potenziale di crescita eppure tra i 60 e il 73 i tassi di crescita del prodotto e delle esportazioni Giapponesi surclassarono quelli degli altri paesi avanzati. I prodotti che diedero le maggiori soddisfazioni al Giappone furono quelli più sofisticati che inizialmente furono frutto dell’imitazione ma ben presto i Giapponesi si dimostrarono in grado di progettare in maniera originale e superare l’occidente in certi campi. L’agricoltura divenne assai efficiente.

La struttura peculiare dell’industria Giapponese è stata spesso definita dualismo industriale. Una ampia fetta della forza lavoro lavorava in piccole aziende con capitali limitati e tecniche non aggiornate ma che sopravvivevano pagando salari inferiori. Tuttavia le piccole aziende erano estremamente utili per che svolgevano un ruolo di sub appaltatrici per conto delle gigantesche società. I lavoratori rurali contribuivano a tenere bassi i salari. Una delle cause era la debolezza dei sindacati ma elementi ancora più importanti erano la tradizione Giapponese dell’impiego a vita che dava la sicurezza del posto di lavoro e una reciproca fedeltà. Infine vi era stata la diffusione del sistema nenko con una struttura salariale basata sulla anzianità.

Svariati successi giapponesi furono dovuti all’impiego di manodopera a bassa specializzazione. Salari eccezionalmente bassi sostennero le esportazioni e conferirono al Giappone la sua caratteristica più importante e distintiva: il tasso di investimento più elevato al mondo. Anche il ruolo dello stato Giapponese è stato generalmente considerato positivo; tra i risultati da esso conseguiti vanno annoverati la fine dell’incontrollata inflazione postbellica e la stabilizzazione dell’economia. Le misure protezionistiche comprendevano dazi differenziati e favorivano i produttori nazionali. Fu presa la decisione di sostenere l’industria pesante.

Queste decisioni programmatiche furono attuate mediante la guida amministrativa del ministero per il commercio internazionale e per l’industria cioè il famoso miti. Benché i vecchi gruppi industriali zaibatsu (controllati dalle famiglie) fossero stati sciolti al loro posto si erano costituiti i keiretsu con al centro una o più banche e caratterizzati da attività unificate di vendita e da una lealtà di gruppo. Poiché le banche e le affiliate fornivano gran parte del capitale contro una piccola frazione proveniente dagli azionisti il ceto manageriale aveva mano libera.

Un altro fattore fu la liquidazione della vecchia classe proprietaria e la sua sostituzione con professionisti capaci e ambiziosi. I Giapponesi lavoravano in media 400 ore l’anno in più rispetto agli altri paesi industrializzati. Tra i Giapponesi stentavano a diffondersi i consumi di beni di lusso. In corea del sud Taiwan Hong Kong e Singapore i maggiori successi furono conseguiti con prodotti ad alto contenuto di lavoro cioè nei settori elettrico nella plastica e nei tessuti.

Non è ben chiaro quali ragioni resero possibile tale modernizzazioni visto che questi paesi erano quasi sprovvisti di materie prime e fonti di energia. Singapore divenne il quarto porto del mondo con attività commerciali quali assicurazioni comunicazioni finanza e consulenza scientifica. Taiwan e Corea del sud avevano grandi settori agricoli sempre più efficienti. Entrambi avevano governi stabili una bassa pressione fiscale e scambi commerciali liberi. Tutti si dimostrarono in grado di attirare capitali stranieri ed erano sostanzialmente economie dualistiche con grandi fabbriche moderne finanziate dall’estero e una massa di piccole unità produttive. I successi di questi paesi sono spiegati in due diversi modi la forza lavoro a buon mercato a causa di sindacati deboli e la tradizione culturale orientata verso la lealtà e il lavoro.