Permessi 104 e licenziamento: quando le prove non bastano
Nel mondo del lavoro, l’uso improprio dei permessi previsti dalla Legge 104 può condurre a sanzioni disciplinari, fino al licenziamento. Tuttavia, non tutte le prove raccolte dai datori di lavoro sono sufficienti per giustificare un provvedimento tanto grave.

Le prove devono essere solide, chiare e complete
Nel contesto lavorativo, ogni prova conta, ma quando si parla di permessi 104 la questione diventa molto più delicata. I permessi concessi dalla Legge 104/1992 hanno una funzione sociale di estrema importanza: permettono al lavoratore di assistere un familiare con grave disabilità. Tuttavia, non sono esenti da sospetti di abuso.
Molti datori di lavoro, di fronte a comportamenti sospetti, si affidano ad agenzie investigative per documentare eventuali violazioni. Si immagina che pedinamenti, fotografie e video bastino a dimostrare un uso scorretto dei permessi. Ma in ambito giudiziario, i sospetti non sono sufficienti. Le prove devono essere chiare, inequivocabili e complete, altrimenti rischiano di crollare sotto il vaglio del giudice.
La recente sentenza n. 731/2025 del Tribunale di Bologna ha annullato il licenziamento di un dipendente accusato di aver usato i permessi per fini personali. L’azienda aveva documentato con fotografie e rapporti investigativi alcune giornate sospette, durante le quali l’uomo sembrava non prestare assistenza alla madre gravemente malata. Tuttavia, secondo il giudice, il materiale prodotto presentava lacune e non dimostrava in modo inequivocabile l’abuso.
In alcuni giorni, il dipendente era stato perso di vista. In altri era proprio nell’abitazione dove viveva con la madre. E in una delle giornate contestate risultava aver svolto una pratica al CAF per conto della madre, un’attività del tutto compatibile con la funzione assistenziale. Solo due giornate, tra quelle monitorate, risultavano prive di una giustificazione chiara. Ma secondo il giudice, due episodi isolati e privi di dolo evidente non giustificano un licenziamento.
Assistenza non significa solo presenza fisica

Un punto centrale affrontato dal Tribunale riguarda la natura dell’assistenza: deve il lavoratore essere sempre fisicamente presente accanto al familiare disabile? La risposta è no. L’assistenza non si limita alla semplice presenza, ma include una serie di attività indirette ma fondamentali, come pratiche burocratiche, prenotazioni sanitarie, gestione della spesa, o la cura dell’ambiente domestico.
Il giudice ha richiamato il principio della proporzionalità della sanzione disciplinare. Anche se si verificasse un uso improprio sporadico, occorre valutare la gravità concreta della violazione e l’impatto sul rapporto di fiducia. Una sanzione grave come il licenziamento può essere legittima solo se fondata su una ricostruzione completa, coerente e priva di ambiguità.
La sentenza del Tribunale di Bologna non legittima comportamenti scorretti, ma sottolinea l’importanza del rigore probatorio. È possibile e doveroso contrastare gli abusi dei permessi 104, ma senza approssimazione. Le fotografie decontestualizzate, le ricostruzioni parziali e i video di breve durata non possono sostituire una prova concreta.
Quando l’assistenza viene prestata anche in modo indiretto ma con riscontri attendibili, non si può parlare di abuso. In questo senso, la sentenza rappresenta un monito per i datori di lavoro: la tutela dei diritti dei lavoratori e dei familiari disabili non può essere compressa da indagini superficiali. La lotta agli abusi va condotta nel rispetto delle regole, del buon senso e, soprattutto, della dignità delle persone coinvolte.