L’organizzazione come organismi

Le difficoltà emerse dall’approccio meccani stico hanno spinto i teorici dell’organizzazione ad’allontanarsi dalle concezioni meccanistiche e ad’avvicinarsi a quelle biologiche per spiegare il fenomeno organizzativo. Questo approccio vede le organizzazioni come sistemi viventi collocati in un ambiente dal quale dipendono per una serie di bisogni; sono individui a volte diversi tra loro, collocati in ambienti a loro volta diversi per via di esigenze diverse (come gli orsi polari stanno al Polo, i cammelli nel deserto eccetera). La disciplina dell’organizzazione si configura come una disciplina biologica, nel senso che a ogni elemento dell’organismo umano corrisponde un elemento dell’organizzazione:

  1. molecole/individui.
  2. cellule/gruppi.
  3. organismi/organizzazione.
  4. specie/popolazioni.
  5. ambiente/ecologia sociale.

La metafora organicista quindi:

  1. concepisce le organizzazioni come sistemi aperti e mira a capire i processi attraverso i quali le organizzazioni si adattano all’ambiente.
  2. concepisce le organizzazioni in termini di cicli vitali.
  3. evidenzia i fattori rilevanti per il benessere e lo sviluppo delle organizzazioni.
  4. individua i diversi tipi di organizzazioni e le relazioni tra esse esistenti, nonché le relazioni tra i diversi ambienti.

Scoperta dei bisogni organizzativi.

La teoria dell’organizzazione come organismo parte dal presupposto che gli individui avvertono bisogni complessi e che coloro che hanno una vita soddisfacente sono in grado di operare in modo più efficiente. Questa concezione oggi potrebbe sembrare ovvia ma nel XIX e XX secolo non lo era, all’epoca il lavoro era considerato come una necessità primaria e gli esponenti dell’approccio organizzativo classico erano fermamente convinti che la produttività dell’operaio venisse stimolata con il giusto salario. Tra il 1920 e il 1930 è stato condotto uno studio sotto la guida di Helton Mayo allo stabilimento di Hawthorne della Western Electric di Chicago per comprendere l’incisione della fatica sulla noia dei dipendenti; con il progredire la ricerca venne ampliata al di la della prospettiva tayloristica interessandosi alle preoccupazioni dei dipendenti e all’incidenza su di essi delle variabili sociali esterne all’ambiente di lavoro, giungendo ala conclusione che può esistere un organizzazione informale all’interno della quale sono presenti gruppi di dipendenti in grado di soddisfare questi bisogni (riducendo la produzione) mettendo in atto azioni non pianificate. Questi studi hanno condotto a importanti conclusioni: gli individui e i gruppi danno il meglio di loro stessi solo quando i loro bisogni sono soddisfatti, ne consegue che gli studiosi delle organizzazione devono dare massima importanza alla componente umana (a differenza della teoria classica). Grande contributo è stato dato dalle teorie motivazionali, in particolare modo quella di Maslow, che rappresenta l’individuo come un organismo psicologico che lotta per soddisfare i suoi bisogni. Questa teoria ha messo in evidenza come la burocratizzazione tenda ad’annullare l’individuo (specialmente ai livelli più bassi dell’organizzazione), limitandone lo sviluppo e motivando i dipendenti solo attraverso un meccanismo monetario e garantendo loro un posto sicuro. Iniziò ad’affermarsi il concetto che si dovessero integrare i bisogni degli individui con quelli dell’organizzazione; psicologi del’organizzazione quali Chris Argyris, Frederik Harzberg e Douglas McGregor hanno dimostrato che è possibile modificare la struttura burocratica dando vita a mansioni arricchite per far sentire più importante il dipendente, affidandogli maggiori responsabilità, mansioni più significative, riconoscendogli l’importanza del lavoro da lui svolto (e per coinvolgerli maggiormente nel lavoro). Nasce l’approccio della gestione delle risorse umane. Maslow propone una serie di strumenti atti a motivare i dipendenti soddisfacendo i diversi livelli di bisogni, in questo modo aumenta il coinvolgimento del dipendente senza doverne aumentare la retribuzione. Si riconosce la necessità di integrare gli aspetti tecnici dell’organizzazione con quelli umani, le organizzazioni vengono concepite come sistemi socio – tecnici.

Importanza dell’ambiente: le organizzazioni come sistemi aperti.

Le organizzazioni, così come gli individui, dipendono per una serie di risorse dall’ambiente in cui sono inserite; l’approccio sistemico aperto si basa sul presupposto che le organizzazioni sono sistemi aperti nei confronti dell’ambiente in cui operano e che devono stabilire con esso un rapporto tale da poter sopravvivere. La teoria generale dei sistemi si prende l’organismo vivente per rappresentare un sistema complesso aperto e può essere estesa a tutte le realtà; l’approccio sistemico ha analizzato una serie di problematiche chiave:

  1. importanza dell’ambiente esterno: la teoria dell’organizzazione classica teneva limitatamente conto dell’ambiente esterno, l’organizzazione veniva vista come un sistema chiuso e ci si preoccupava prettamente dei problemi di progettazione interorganizzativa; l’approccio sistemico ha evidenziato che le attività di progettazione organizzativa devono tenere conto dell’ambiente esterno. Si è prestata attenzione al task o business environment, ovvero l’ambiente in cui opera l’impresa, definito dalle interazioni dirette dell’organizzazione (clienti, fornitori, concorrenti). le organizzazioni devono essere capaci a captare i cambiamenti esterni e tenere conto di questi cambiamenti nell’elaborazione delle loro strategie.
  2. l’organizzazione è costituita da sottosistemi: come l’organismo vivente è costituito da organi, cellule e molecole (che a loro volta sono sistemi a se che interagiscono tra di loro per il corretto funzionamento dell’organismo), anche le organizzazioni al loro interno si articolano in divisioni, che a loro volta si articolano in gruppi di individui e singoli individui (molecole). Tutti questi sottosistemi devono relazionarsi, quindi sono interdipendenti, e nei loro rapporti devono tenere conto dell’ambiente esterno.
  3. tra i sottosistemi esiste una congruenza, un allineamento.

Tutte queste prospettive emerse hanno portato i teorici dell’organizzazione ad allontanarsi dalla concezione classica (allontanarsi dalla burocratizzazione) e a concepire organizzazioni in grado di rispondere alle domande dell’ambiente.

Approccio situazionale: adattamento dell’organizzazione all’ambiente.

Concezioni di base:

  1. le organizzazioni sono sistemi aperti che devono essere gestiti in modo da soddisfare i bisogni interni e da adeguarsi ai cambiamenti esterni.
  2. non c’è un modello organizzativo valido in ogni situazione; il modello varia in funzione dell’obiettivo e dell’ambiente.
  3. il management si deve preoccupare di creare allineamenti e integrazione.
  4. può essere necessario utilizzare stili di direzione diversi per realizzare compiti diversi all’interno dell’organizzazione.
  5. sono adatte specie organizzative diverse a seconda dei diversi tipi di ambiente con cui l’organizzazione interagisce.

Negli anni cinquanta Tom Burns e G.M Stalker hanno realizzato una ricerca che ha contribuito all’affermarsi di questo approccio. La ricerca era basata sull’osservazione di aziende appartenenti a settori diversi (fibra artificiale, progettazione e elettronica): quando un’azienda opera in un settore in cui i cambiamenti aziendali sono all’ordine del giorno, è necessario uno stile organizzativo aperto e flessibile, al contrario, quando un’azienda opera in un settore in cui il fattore ambiente è stabile, può essere utilizzato uno stile organizzativo chiuso e rigido. L’azienda produttrice di rayon (fibra artificiale) operava in un ambiente relativamente stabile, utilizzando una tecnologia routinizzata, l’organizzazione quindi era fortemente meccanizzata: gli operai sapevano esattamente quali mansioni svolgere e in che modo svolgerle. La produttività di quest’azienda era elevata e per far fronte a scostamenti tra domanda e offerta veniva richiesto l’intervento dell’ufficio vendite (promozioni per espandere la domanda o strategie per contenerla in modo da non dover modificare il piano di produzione). L’azienda produttrice di cambi meccanici operava invece in un settore caratterizzato da instabilità ambientale; in questo caso l’approccio meccani stico doveva essere abbandonato per lasciare spazio a un approccio più organico e flessibile, per poter adattare stili di comunicazione e organizzazione del lavoro alle diverse situazioni ambientali. La struttura gerarchica formale definiva la divisione delle mansioni e i rapporti tra le diverse mansioni, ma venivano effettuate riunioni per scambiare informazioni e analizzare i problemi in modo da pianificare al meglio la strategia aziendale più adatta. L’azienda operante nel settore dell’elettronica ha a che fare con un ambiente ancora più instabile; essa deve sempre restare al passo con la tecnologia e l’organizzazione deve essere ancora più flessibile e organica. Quando nacque la prima azienda elettronica alla fine della seconda guerra mondiale, non esisteva ancora un mercato commerciale per tali prodotti; l’azienda dovette sia creare il prodotto sia il mercato e con il tempo perfezionarsi e modificare le tecnologie per realizzare prodotti sempre più adatti alle esigenze degli individui. Atri due autori hanno contribuito allo sviluppo dell’approccio situazionale: Lawrence e Lorsch; la loro ricerca si basa su due presupposti:

  1. per affrontare condizioni tecnologiche di mercato diverse sono necessarie organizzazioni diverse.
  2. organizzazioni che operano in ambienti turbolenti hanno bisogno di un livello di differenziazione interna superiore rispetto a imprese che operano in ambienti più stabili.

Sono state analizzate organizzazioni caratterizzate da diversi gradi di successo e operanti in settori diversi caratterizzati da diversi tassi di crescita e sviluppo tecnologico (alti, medi, bassi):

  1. ambiente turbolenti: settore della plastica.
  2. ambiente stabile: settore dei container.
  3. ambiente misto: settore alimentare.

I risultati della ricerca dimostrarono che tutte e tre le aziende vincenti nel settore avevano diversi livelli di integrazione e differenziazione (maggiore nei settori turbolenti e minore in quelli stabili), è stato dimostrato inoltre che può essere necessario adottare stili organizzativi diversi alle diverse sottounità dell’organizzazione (ad’esempio l’unità di produzione è caratterizzata da obiettivi ben definiti e prospettive di breve termine, ne consegue che a essa può essere applicata una modalità organizzativa più formale e burocratica, mentre all’unità di R&S hanno obiettivi meno chiari e prospettive di medio lungo periodo, di conseguenza a essa deve essere applicata una modalità organizzativa di più flessibile).

Approccio situazionale: promuovere la salute dell’organizzazione.

Come può un’organizzazione conseguire una rispondenza al suo ambiente? Come può adeguarsi ai cambiamenti aziendali? Come può assicurarsi che le relazioni interne siano equilibrate e appropriate? Cosa comporta tutto questo dal punto di vista operativo?  Per rispondere a queste domande è necessario prima comprendere altri fattori interni e esterni all’impresa:

  1. di quale natura è l’ambiente dell’organizzazione? (stabile o turbolento, quali sono i cambiamenti che si verificano nel settore economico, tecnologico, del mercato e a livello socio politico eccetera).
  2. qual è la strategia impiegata? (l’impresa non adotta strategia e si limita solo a reagire a eventuali cambiamenti quando questi si manifestano, l’impresa analizza l’ambiente per cogliere opportunità e evitare minacce, l’impresa adotta un comportamento innovativo e attivo per cercare nuove opportunità).
  3. che tipo di tecnologia viene impiegata? (l’impresa ha una tecnologia standardizzata o flessibile, quali sono le alternative tecnologiche alla tecnologia impiegata, è possibile sostituire sistemi rigidi con sistemi più flessibili).
  4. quali sono le caratteristiche dei dipendenti e qual è la cultura dominante nell’organizzazione? (qual è l’atteggiamento dei lavoratori, i lavoratori stanno all’interno dell’azienda perché hanno uno stipendio assicurato o perché sono coinvolti).
  5. qual è la struttura dell’organizzazione e quali sono gli stili direzionali prevalenti? (organizzazione burocratica o organica, stile direzionale autoritario o basato su controllo e responsabilità individuali).

Rispondendo a queste domande è possibile individuare le caratteristiche dell’organizzazione e determinare il grado di compatibilità tra i diversi sottosistemi. È possibile identificare tre posizioni:

La selezione naturale: la prospettiva ecologica e demografica.

Le organizzazioni (come gli individui che ne fanno parte) sono diversificate, ognuna avverte bisogni diversi e può sviluppare strutture tali da permettere l’adattamento all’ambiente mutevole. Per sopravvivere l’impresa deve essere capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali e l’approccio situazionale ha permesso di identificare in che modo l’adattamento può essere realizzato. Tuttavia tale approccio è stato criticato dai teorici che identificano la sopravvivenza con la selezione naturale; la critica di base parte dal presupposto che considerare le aziende come capaci di modificarsi e adattarsi ai mutamenti ambientali attribuisce troppa importanza alle organizzazioni (si da per scontato che esse siano in grado di sopravvivere attraverso un semplice adattamento) e si sottovaluta l’importanza della forza ambiente. Secondo questa prospettiva è l’ambiente che seleziona le organizzazioni che operano al suo interno (alla base di tale prospettiva c’è la teoria dell’evoluzione di Darwin). La sopravvivenza delle organizzazioni, come quella degli organismi viventi, dipende dalla capacità di acquisire le risorse presenti nell’ambiente (che sono limitate) in modo migliore rispetto alle altre organizzazioni (o agli altri organismi viventi). Nell’acquisire tali risorse le organizzazioni devono affrontare la concorrenza delle altre organizzazioni e quindi solo chi riesce ad’ottenere il maggior numero di risorse è in grado di sopravvivere. L’ambiente diventa il fattore cruciale che determina quali specie di organizzazioni sono destinate a sopravvivere o morire e seleziona i concorrenti più forti eliminando quelli deboli. Secondo Darwin la selezione è il meccanismo attraverso il quale si realizza l’evoluzione della specie, ma la selezione non può essere realizzata se non ci sono differenze tra gli organismi e lo stesso vale per le organizzazioni: se c’è differenza tra le organizzazioni, può esserci selezione e quindi evoluzione. Le variazioni nella specie sono il risultato di una riproduzione incrociata o nella variazione delle caratteristiche della specie stessa e alcune variazioni possono conferire un vantaggio competitivo tale da garantire la sopravvivenza e quindi da superare la selezione. Queste caratteristiche saranno poi soggette a modifiche nel tempo che causeranno la loro evoluzione. L’evoluzione si realizza attraverso la modifica dei singoli individui appartenenti a una stessa specie, ma gli esponenti dell’approccio ecologico sostengono che sia meglio analizzare l’evoluzione della specie nel suo complesso e non singolarmente (membro per membro), infatti membri di una stesa specie presentano punti di forza e di debolezza simili e questo determinerà se essi sono in grado di sopravvivere o morire; una specie può essere destinata a morire ma al suo interno possono essere presenti membri più forti di altri, che nel breve periodo riescono a resistere meglio, ma nonostante ciò esse nel lungo periodo saranno destinati a soccombere come i loro simili (ed’è per questo che è più utile analizzare la specie nel suo complesso). Esistono infinità di specie di organizzazioni diverse, con tassi di natalità e mortalità diversi e tassi di crescita e declino diversi, è possibile quindi dire che le organizzazioni (come gli individui) hanno cicli di vita differenti.

L’ecologia organizzativa: la creazione di futuri comuni.

La prospettiva demografica e quella situazionale presentano le organizzazioni in uno stato di continua tensione con l’ambiente esterno. Queste concezioni sono state messe in dubbio prima dall’approccio sistemico, che vede le organizzazioni non come realtà a se stanti ma come parti integranti di un sistema in continua evoluzione e che porta a sua volta le singole organizzazioni all’adattamento per la sopravvivenza e poi dall’approccio ecologico, che ha una concezione di base opposta a quella della teoria della sopravvivenza (vince il più forte): secondo tale approccio nel momento in cui un ambiente evolve, evolvono anche le strutture al suo interno; è la struttura ad’evolvere e non le singole unità, di conseguenza non vince il più forte ma vince “la forza”. In sintesi: “Secondo Darwin vige la legge del più forte: nel momento in cui l’ambiente evolve, le unità più forti di ogni specie saranno in grado di adattarsi mentre le altre saranno destinate a soccombere. Secondo l’approccio ecologista invece in reazione al cambiamento aziendale è l’intera struttura organizzativa che si evolve e non le singole unità al suo interno, ne consegue quindi la sopravvivenza della capacità (che per Darwin è la specie) e non la sopravvivenza del più capace (che per Darwin è il più forte della specie)”. Nella natura l’ambiente di un organismo è costituito da altri organismi, nella natura organizzativa l’ambiente organizzativo è costituito da altre organizzazioni nella quale ognuna produce l’altra. Secondo questo punto di vista possiamo quindi dire che le organizzazioni sono in grado a loro volta di influenzare l’ambiente organizzativo, attraverso il sistema della concorrenza, ma sono anche in grado di cooperare per la sopravvivenza in tale ambiente attraverso la collaborazione (che ormai è diffusa quasi ai livelli della concorrenza). Basti pensare alle situazioni in cui imprese operanti nello stesso settore concludono accordi sulle aree di concorrenza, sulla spartizione del mercato o ancora accordi per la fissazione dei prezzi. Queste forme di collaborazione sono presenti anche tra organizzazioni in rami diversi dello stesso settore o addirittura tra organizzazioni di settori diversi (è il caso delle joint ventures attraverso le quali diverse organizzazioni collaborano per condividere i rischi della ricerca e sviluppo e degli accordi tra organizzazioni, fornitori e produttori per dare vita a integrazioni verticali). Possiamo quindi affermare che:

  • nelle concezioni dell’organizzazione che tendono a privilegiare la sopravvivenza del più forte si da maggior peso alla concorrenza e il concetto di collaborazione è pressoché assente;
  • nelle concezioni organizzative che tendono a privilegiare la sopravvivenza della forza e della capacità, il concetto di collaborazione viene tenuto maggiormente in considerazione.

Potenzialità e limiti alla metafora dell’organismo.

Questa metafora concepisce le organizzazioni come organismi; gli studiosi dei comportamenti delle organizzazioni hanno quindi valutato il loro comportamento e la loro evoluzione in relazione alle altre organizzazioni e all’ambiente di cui esse fanno parte, arrivando così a elaborare una serie di concezioni differenti (approccio situazionale, la selezione organizzativa e la prospettiva ecologica) e in alcuni casi contrastanti, per questo motivo analizzare i pro e i contro di tale metafora non è semplice. È possibile però fare un resoconto dei principali aspetti comuni a tutte le sfaccettature della metafora. Potenzialità:

  • Viene riconosciuta importanza all’ambiente: le organizzazioni vengono definite come sistemi aperti, (a differenza delle precedenti concezioni che tendevano a definire le organizzazioni come sistemi chiusi) che intrattengono continui rapporti di scambio con l’ambiente che le circonda.
  • La gestione dell’organizzazione può essere migliorata: l’obiettivo dell’organizzazione è la sopravvivenza (non solo della singola unità ma di tutta l’organizzazione). Mentre nelle precedenti teorie il fine era la realizzazione di un determinato obiettivo, solitamente di carattere operativo, nella concezione organistica il fine è la realizzazione di un obiettivo più grande e complesso quale la sopravvivenza; questo macro obiettivo può essere a sua volta articolato in tanti micro obiettivi i quali sono interdipendenti tra loro e non a se stanti come nella teoria meccanicistica. I singoli obiettivi fanno parte di un progetto ben più grande.
  • Grande attenzione prestata ai bisogni: per bisogni si intendono i bisogni dell’intera organizzazione ma anche i bisogni dei sottosistemi dell’organizzazione stessa; essi devono essere soddisfatti in modo che la soddisfazione del bisogno dell’organizzazione non precluda la soddisfazione del bisogno di un sottosistema (non gioverebbe all’intera organizzazione) e viceversa. Basti pensare a un esempio banale: se agli operai fossero affidate solo mansioni di routine a discrezionalità limitata (come nella teoria meccanicistica), queste provocherebbero un atteggiamento di noia e insoddisfazione nel personale che nell’orario di lavoro cercherebbe il divertimento e lo svago (giocare sul lavoro o in casi peggiori l’assenteismo), il tutto a discapito dell’organizzazione. I bisogni organizzativi devono essere armonizzati al fine di evitare che tra i sottosistemi si intersechino relazioni e interazioni di tipo corrosivo che tenderanno a dare origine a una lotta continua tra dipendenti e direzione, incrementando l’assenteismo con conseguenze sulla produzione.
  • Evidenzia la scelta tra più alternative: data l’esistenza di specie diverse di organizzazioni la metafora sottolinea la possibilità dell’organizzazione stessa di scegliere tra più alternative; l’efficacia dell’organizzazione dipende dalla qualità di tutte queste scelte. L’approccio ecologico – demografico e quello situazionale hanno punti di vista differenti a riguardo: il primo attribuisce alle scelte operate all’interno dell’organizzazione un’importanza relativa, in quanto secondo tale approccio ciò che influenza maggiormente il successo di un organizzazione è il fattore ambiente e la capacità di quest’ultima di reagire ai cambiamenti esterni; il secondo approccio invece evidenzia quanto le scelte effettuate correttamente siano importanti per la sopravvivenza dell’organizzazione.
  • Evidenzia la capacità delle organizzazioni di innovarsi: mentre le organizzazioni di tipo meccanicistico tendono a essere più rigide e restie all’innovazione, quelle di tipo organicistico sono più flessibili e di conseguenza particolarmente propense all’innovazione.
  • Offre contributi alla teoria e alla pratica dello sviluppo organizzativo: specialmente seguendo il modello di analisi dell’approccio situazionale. L’adozione di una prospettiva implica però la rinuncia ad’altre prospettive; dopo avere compreso la metafora organicistica risulta difficile comprendere come gli autori della metafora meccanicistica abbiano potuto tralasciare l’importanza del fattore ambiente. La spiegazione è semplice: la teoria meccanicistica è stata elaborata in una periodo in cui il contesto organizzativo risultava molto più semplice; arrivando ai nostri giorni tale contesto è andato via via complicandosi, soggetto a continui mutamenti e ciò ha spinto alcuni teorici a elaborare teorie tali da permettere di comprendere come un’organizzazione potesse adattarsi alle nuove realtà.

Come ogni teoria anche questa presenta però una serie di punti sfavorevoli:

  • induce a considerare le organizzazioni e il loro ambiente in modo troppo concreto: questa teoria parte dal presupposto che gli organismi (soggetti concreti) vivano nell’ambiente a loro più adatto dal quale ricevono ciò che è necessario a loro per vivere; questo ambiente può essere visto e toccato con mano. Le organizzazioni sono paragonate a organismi, anch’esse dotate di una struttura fisica tangibile e costituite al loro interno da individui. Ciò di cui non si tiene conto è che tali organizzazioni oltre all’aspetto materiale hanno anche un aspetto sociale, che è una caratteristica intangibile, costituito dall’insieme di rapporti che esse o gli individui al loro interno instaurano con tutto ciò che le circonda. Sono quindi caratterizzate da una componente immateriale (idee, norme, credenze, creatività) che influenza la loro capacità di sopravvivenza; è possibile dire che l’ambiente in cui operano e il contesto organizzativo è il risultato anche di questo aspetto intangibile. Non è del tutto corretto dire che le organizzazioni devono adeguarsi all’ambiente che le circonda (approccio situazionale) e che l’ambiente seleziona le organizzazioni (approccio ecologico), in quanto un organizzazione è costituita da individui razionali e tali individui sono soggetti attivi (mentre con le affermazioni precedenti si tende a inquadrare l’individuo come soggetto passivo inerme di fronte al cambiamento ambientale).
  • Ipotizza l’unità funzionale delle organizzazioni: dal momento che l’organizzazione viene paragonata a un organismo si ipotizza che tutte le sub – unità cooperino per il bene dell’organizzazione stessa; basti pensare all’organismo umano: tutte le unità (gli organi) cooperano in armonia per il corretto funzionamento dell’organismo; in questa situazione il corretto funzionamento degli organi e la loro cooperazione è la regola mentre le disfunzioni (ad’esempio un infarto) sono l’eccezione. Nella realtà organizzativa è pressoché impossibile che le singole unità operino con spirito altruistico in modo da non interferire le une con le altre per il bene dell’organizzazione, in questo caso quindi la disfunzione è la regola e la cooperazione e l’armonia sono l’eccezione. Questo punto debole della metafora ha spinto i teorici a riconoscere maggiore importanza al potere organizzativo (anche se non tutti hanno completamente abbandonato l’ipotesi dell’unità funzionale), l’obiettivo dell’unità funzionale ha spinto i dirigenti a tenere insieme l’organizzazione e a monitorare continuamente i rapporti intercorrenti tra le singole unità.
  • Pericolo che la prospettiva possa diventare una vera e propria ideologia