Le organizzazioni e lo sfruttamento dei dipendenti

Per comprendere questo aspetto della vita organizzativa possiamo rifarci al dramma di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore”. Willy Loman è un commesso viaggiatore dell’azienda Wagner, che per trentaquattro anni ha consegnato i prodotti dell’azienda per tuta la Nuova inghilterra. Inizialmente aveva accettato positivamente il lavoro (pagato 65 dollari alla settimana), che gli permetteva di mantenere la sua famiglia. Dopo 34 anni, e vari esaurimenti nervosi dovuti ai ritmi del lavoro, provò a chiedere al titolare dell’azienda uno spostamento a New York, dove viveva la sua famiglia, ricevendo però una risposta negativa. Tentò quindi di accontentare il suo titolare chiedendo si un trasferimento, ma proponendo anche una riduzione della sua paga settimanale, i suoi figli erano cresciuti e si erano resi indipendenti e lui e sua moglie potevano vivere anche con meno. Non servì a nulla, la conversazione termino con il licenziamento di Willy che si sentì dire “l’azienda non ha più bisogno di te”. L’azienda che per anni lo aveva sfruttato e succhiato come un frutto adesso stava gettando via la buccia. Willy si suicidò. Questo è ovviamente un caso estremo ma serve a fare capire come le organizzazioni sfruttino i dipendenti, prendano finché è possibile e poi li gettino via quando li considerano ormai inutili. Ecco perché al giorno d’oggi molte persone ancora in età lavorativa si ritrovano senza lavoro e quasi senza possibilità di trovarlo, data la loro età. Spesso si sente parlare di piani di prepensionamento, che colpiscono perlopiù i dirigenti o comunque persone importanti all’interno dell’organizzazione. Anche se le organizzazioni cercano di indorare la pillola attraverso cerimonie di addio e pensioni elevate, l’ego dei dirigenti prepensionati risulta scosso. Il motivo che spinge molte organizzazioni ad attivare questi piani deriva dal fatto che molti di questi dirigenti sono in possesso di informazioni chiave, e se venissero semplicemente licenziati potrebbero come contromossa divulgare queste informazioni. Il prepensionamento serve in poche parole a dare loro il contentino e a pagare il loro silenzio.

Organizzazioni, classi e controllo.

Le origini della struttura gerarchica nelle organizzazioni moderne ha le sue radici nella storia. Basti pensare a quelle società antiche in cui una classe predominava sugli altri (solitamente in seguito a un processo di conquista); con il tempo tra la classe dominante e quella dominata si instaurò una sorta di classe intermedia, costituita da individui che offrivano favori alla classe dominante ma non partecipavano alle attività produttive dirette. Nelle organizzazioni moderne riscontriamo la presenza di queste tre classi: quella dominante, costituita dai proprietari, quella intermedia costituita dai dirigenti e quella dominata costituita dai lavoratori. Per comprendere meglio il fenomeno della divisione in classi possiamo analizzare il processo di industrializzazione che ha interessato l’Inghilterra a partire dal 1760 e gli USA nei primi anni dell’ottocento. L’Inghilterra del 1760 fondava la sua economia prettamente sull’agricoltura, mentre erano secondarie le attività minerarie, edilizie e le botteghe gestite da piccoli artigiani. Quest’ ultime erano organizzate in corporazioni (la corporazione stabiliva chi poteva avere accesso e il livello salariale) e al loro interno i dipendenti erano divisi in livelli: il maestro, il giornaliero e l’apprendista. I produttori capitalistici misero in atto provvedimenti volti a eliminare le incertezze dell’impresa familiare di fronte a un mercato in continua espansione; la produzione avveniva per mezzo delle fabbriche, situate prevalentemente in città, e i proprietari delle piccole imprese familiari diventarono dipendenti salariati delle grandi fabbriche. Negli Usa lo sviluppo industriale si avviò intorno ai primi dell’800. La popolazione era concentrata per lo più nelle zone rurali e l’80% di essa era impegnata nell’agricoltura (di cui il 20% schiavi e lavoratori a contratto) e il restante 20% era costituito da proprietari e professionisti. Con l’avvento del capitalismo e dell’industria si assistette alla diffusione del lavoro salariato e anche coloro che prima erano artigiani si ritrovarono a diventare dipendenti in quanto non potevano reggere la concorrenza delle grandi fabbriche.

Il capitalismo si sviluppa grazie alla presenza di forza lavoro salariata, preferita alla schiavitù e al subappalto; la prima perché inefficiente, il secondo perché le perdite di profitto da esse derivanti non dipendevano direttamente dalla produzione, ma dal modo in cui il mercante era in grado di adempiere alle consegne e a mantenere gli standard qualitativi (il mercante acquista beni prodotti da altri e li rivende aumentando il prezzo di una percentuale che rappresenta il suo profitto). Il profitto del capitalista dipende invece direttamente dalla produzione; egli deve controllare attentamente che tutte le mansioni vengano svolte in maniere corretta se vuole realizzare un profitto soddisfacente. L’espansione delle fabbriche e l’incremento del lavoro salariato ha portato a una suddivisione dei lavoratori in base alle mansioni da loro svolte: i dipendenti primari o qualificati e quelli secondari o non qualificati. Negli anni successivi alla rivoluzione però i capitalisti modificarono la struttura delle organizzazioni, propendendo per una standardizzazione delle mansioni, i dipendenti qualificati vennero così sostituiti con quelli non qualificati che costavano meno (che costituivano l’80% dei dipendenti). Nelle organizzazioni moderne i dipendenti primari sono i dirigenti e coloro che hanno specifiche competenze in relazione alle diverse aree dell’organizzazione, sono elementi chiave e per questo motivo assunti con contratti solitamente a tempo indeterminato (anche se negli ultimi anni nonostante le loro capacità vengono assunti con contratti di lavoro a tempo determinato); i dipendenti secondari sono quelli non qualificati quali segretarie e operai, assunti perlopiù con contratti a tempo determinato per favorire la flessibilità dell’azienda e quindi il suo adattamento alle fasi del ciclo economico (in recessione si diminuisce il numero di dipendenti e viceversa). I lavoratori hanno status differenti che rispecchiano la vecchia divisione in classi.

Rischi, malattie professionali e incidenti sul lavoro.

In un capitolo dell’opera “Capitale”, Karl Marx descrive le condizioni in cui i capitalisti di quel tempo facevano lavorare i loro dipendenti; il tutto è dimostrato e testimoniato dalla documentazione dell’ispettorato del lavoro e del tribunale.  In un industria di Nottingham bambini di età compresa tra nove e dieci anni lavoravano circa 20 ore al giorno per un salario da fame. Sempre basandosi su documentazioni ufficiali, nell’opera viene trattata la situazione dell’industria della ceramica; molti dipendenti del settore erano affetti da malattie polmonari (sono stati letti i referti medici) e in base allo studio di tre medici venne notato come ogni generazione successiva di lavoranti nel settore della porcellana fosse meno robusta della precedente, arrivando addirittura a osservare persone affette da malformazioni e invecchiamento prematuro. Nelle fabbriche produttrici di fiammiferi la maggior parte dei lavoratori era costituito da bambini e da giovani minorenni, sottoposti a duro orario di lavoro e spesso infettati da tetano (malattia molto diffusa nella lavorazione dei fiammiferi). Nell’industria della carta da parati donne e bambini erano costretti a lavorare sedici ore al giorno senza pausa pranzo. Questi sono solo alcuni degli esempi riportati nell’opera. Ovviamente la situazione odierna non è nemmeno paragonabile a quella dell’ottocento; le nuove normative impongono il risarcimento degli infortuni sul lavoro, prevedono la mutua, ma per arrivare a questa situazione ci sono voluti decenni (anche se oggi ogni giorno 17 persone muoiono per un incidente sul lavoro, 16000 si feriscono e 137 risultano affette da malattie riconducibili al loro lavoro). Il problema alla base di tutto è che la prevenzione sanitaria e antinfortunistica comporta costi elevati, il che va contro i principi di efficienza e molte azienda prima di adottare le dovute misure hanno aspettato che l’incidente o la morte sul lavoro si verificasse. Per ciò che concerne la salute dei lavoratori, spesso risulta difficile dimostrare che le malattie del dipendente sono direttamente collegate al lavoro che svolge. Le aziende di oggi utilizzano migliaia di prodotti chimici e la metà di essi risulta essere tossica (se usata singolarmente, si può immaginare cosa possa derivare dalla loro combinazione). Da uno studio è emerso che il 78% dei lavoratori è sottoposto ogni giorno a un qualche rischio. Il caso più palese e meglio ricordato di malattie causate dalle condizioni di lavoro è quello dell’industria dell’amianto (si stimano 50000 morti all’anno negli USA). Nel libro “Death on the job” si racconta la storia di Marco Vela, operaio di una fabbrica di amianto, che ha iniziato a lavorare nel 1935. nel 1959 l’azienda decide di sottoporre i dipendenti a un controllo periodico dei polmoni:

  • 1959: a Vela viene riscontrata una malattia ai polmoni riconducibile al suo lavoro ma non viene informato.
  • 1962: altro controllo del medico aziendale, dalla radiografia risulta una malattia polmonare ma ancora una volta non viene informato.
  • 1965: viene diagnosticata una forma di cancro ai polmoni, ma non viene informato.
  • 1968: Alla visita periodica vela lamenta di avere la tosse e l’affanno. La radiografia evidenziò un’anomalia nei polmoni ma non venne nuovamente informato.
  • Tempo dopo Vela venne ricoverato in ospedale e morì.

Questo perché all’epoca molte aziende preferivano risarcire direttamente i famigliari dell’infortunato piuttosto che sostenere annualmente e per ogni operaio costi per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro. Questi rischi oggi sono visti come una componente collaterale e inevitabile dello sviluppo industriale; il rischio spesso deriva dalle caratteristiche strutturali dell’impresa o dall’impiego di prodotti tossici (necessari per la produttività o la competitività) e la salute dei dipendenti viene messa in secondo piano rispetto ai criteri di economicità.

L’impresa preferisce risarcire il diretto interessato piuttosto che sostenere costi per migliorare le condizioni di sicurezza; alcune aziende chiamano appositamente ispettori della sicurezza, i quali si trovano tra l’incudine e il martello, da un lato l’impresa che offre loro lavoro e dall’altra i dipendenti che a volte lavorano in condizioni non proprio ottimali. Le aziende a volte cercano di mascherare il numero di incidenti sul lavoro, ad esempio chiedendo al dipendente infortunato di venire lo stesso a lavoro ma spostandolo a una mansione più semplice.

Ubriacarsi a lavoro.

Se i dipendenti secondari sono i più esposti a malattie collegate al loro lavoro e a infortuni dovuti alla struttura aziendale, i dipendenti primari sono esposti ad altri rischi, primo tra tutti il rischio stress. Le malattie cardiache sono chiamate “il killer dei dirigenti” in quanto colpiscono coloro che sono maggiormente sottoposti a stress (anche i dipendenti secondari comunque). Diverse sono i fattori che determinano il livello di stress:

  • Condizione di lavoro.
  • Status del dipendente.
  • Aspirazioni di carriera.
  • Clima aziendale.

La personalità ambiziosa, competitiva, efficiente spesso è quella più sottoposta a stress (come le persone che stanno intorno ad essa). Coloro che vogliono apparire bene agli occhi del capo e fare carriera, danno il 100% sul lavoro, fanno straordinari per portare a termine i loro compiti il prima possibile. Non sempre i dirigenti apprezzano il lavoro da loro svolto, le promozioni aspettate non sempre arrivano, e questo li spinge a lavorare ancora di più. Lo stress accumulato in alcuni casi può sfociare in violenza fisica sul lavoro, negli USA ogni mese 5/6 datori di lavoro vengono uccisi. Lo stress causato dal lavoro influisce anche sulle relazioni personali del dipendente; un dipendente estremamente impegnato nel suo lavoro e con ottime prospettive di carriera tende a concentrare i suoi sforzi sul lavoro e a sacrificare il proprio tempo libero. Di questa situazione ne risentono tutte le persone che gli stanno intorno, la famiglia prima di tutto. Il tempo libero viene speso lavorando, sacrificando le esigenze famigliari (spesso per fare carriera si accettano i continui trasferimenti di sede). La situazione si complica ancora di più se sia marito che moglie sono persone estremamente ambiziose, pronte a sacrificare tutto per fare carriera. Ne risultano così individui ubriachi dal lavoro, il lavoro diventa una droga e questo porta a squilibri della personalità.

Politica organizzativa e organizzazione radicalizzata.

Le organizzazioni occidentali sono state caratterizzate da una cultura di tipo radicale fino agli anni novanta, quando le lotte di classe sono giunte al culmine e i continui tagli aziendali hanno spinto la classe dirigente quasi sullo stesso piano della classe operaia. L’approccio radicale prevede una netta distinzione tra dirigenti e operai, i primi chiamati colletti bianchi e gli ultimi colletti blu. La classe dirigente guadagna di più lavorando di meno, al contrario della classe operaia. I dirigenti lavorano in condizioni migliori rispetto agli operai che sono continuamente esposti a rischi sanitari e fisici. Molte aziende radicalizzate tendevano a marcare questa differenza, addirittura dirigenti e operai pranzavano in due mense diverse: quella dirigente con tavole imbandite e vino, serviti da cameriere in uniforme e quella operaia caratterizzata da lunghe tavolate spoglie e servizio self-service.

I dirigenti avevano prospettive di lavoro più lunghe rispetto agli operai, che spesso venivano assunti con contratti a breve termine; era inutile all’epoca parlare di team di lavoro quando l’operaio non aveva nemmeno la certezza che avrebbe lavorato la settimana successiva. Gli operai non si sentivano parte di un team unitario, in cui tutti lavorano per perseguire lo stesso obiettivo, l’operaio si sentiva sfruttato dall’organizzazione e tendeva a dare vita a coalizioni con gli altri operai per cercare di ottenere qualcosa di più dai datori di lavoro. È in questo periodo che il sindacalismo si diffonde, la classe operaia è supportata dai sindacati che curano i suoi interessi, scontrandosi spesso con le organizzazioni. I tagli al budget del ’90 spingono i colletti bianchi quasi nella stessa situazione dei colletti blu, lavori precari, stipendi poco soddisfacenti. In questo periodo tende a prevalere l’approccio pluralista.