Le multinazionali e l’economia mondiale

L’economia mondiale è condizionata da aziende enormi che prendono il nome di multinazionali (rappresentano il 70% del commercio mondiale); fino agli anni ’70 l’egemonia apparteneva agli USA, in seguito si affermò anche il Giappone. Le multinazionali operano prettamente in settori quali quello automobilistico, elettronico, assicurativo, dei carburanti e in misura minore anche in altri settori. Il fenomeno delle multinazionali lo ritroviamo già nel XV secolo nello Stato di Venezia che gestiva tutta una serie di operazioni finanziarie, ma è alla fine del XVIII secolo che si verifica la proliferazione. Inizialmente si trattava di multinazionali specializzate in un settore specifico, che detenevano una sorta di monopolio in quel settore, ma con le leggi antitrust del XX secolo si verifica la tendenza alla diversificazione dei settori. Queste multinazionali hanno un portafoglio prodotti diversificato, cosicché se un mercato fosse in declino, possono contare sugli altri; operano in più nazioni, quindi sono a contatto con situazioni economiche differenti e effettuano investimenti all’estero al fine di proteggersi dalle fluttuazioni economiche (se operassero in un solo Paese e in esso si verificasse una crisi, comprometterebbero i loro profitti. Operando in più Paesi ovviano a questo problema).

Alcune multinazionali si sono sviluppate nel tempo (configurandosi come dei piccoli Stati), espandendo la loro attività ad altri settori, altre invece si sono sviluppate attraverso una serie di operazioni finanziarie dando vita a conglomerati aziendali (come negli anni 60 dato il boom della borsa in seguito alla guerra del Vietnam).

Le multinazionali: strutture mondiali di potere.

Date le loro dimensioni e i settori da loro controllati, le multinazionali si configurano come dei piccoli Stati indipendenti. In genere sono costituite da una sede centrale e da una serie di filiali dislocate in diversi Stati. Il potere è fortemente centralizzato, le filiali hanno una scarsa autonomia e comunque anche le decisioni prese autonomamente dai dirigenti delle filiali devono essere riferite alla sede centrale e devono essere compatibili con la strategia aziendale. La centralizzazione del potere è attuata attraverso un severo controllo sulle filiali, sulla distribuzione delle materie prime e delle altre risorse. Anche le risorse umane sono gestite o comunque controllate dalla sede. La burocrazia della multinazionale è quella che preoccupa maggiormente Weber, in quanto attraverso il suo potere è in grado di influenzare non solo il settore economico, ma anche l’ambiente politico e sociale. Anche se nel XX secolo sono state introdotte le leggi antitrust allo scopo di limitare il potere delle multinazionali e di evitare che queste detenessero il monopolio in specifici settori, questo non ha impedito a molte aziende di ovviare a tali limitazioni. Molte multinazionali hanno optato per accordi di partnership con altre aziende, preferendo la collaborazione alla competizione, hanno stretto accordi volti a definire il mercato di azione delle singole aziende in modo equo, al fine di evitare la competizione tra le stesse (ogni azienda poteva lavorare in quel determinato mercato ma non poteva invadere il mercato dell’altra). Sono stati stretti accordi di joint venture e consorzi (con la joint venture due o più aziende si impegnano a collaborare e sfruttare le risorse a loro disposizione per la creazione di una nuova tecnologia. Se questo accordo è stretto tra un numero elevato di imprese si parla allora di consorzi). Se inizialmente le multinazionali operavano con l’estero, negli ultimi 50 anni oltre che a operare con alcuni Paesi, hanno costituito delle filiali in quei Paesi, cosicché potessero esercitare meglio la loro influenza. L’influenza non è solo economica ma anche politica: spesso le multinazionali riescono a incidere sulle decisioni del Governo o mettono in atto comportamenti atti a far si che la situazione politica vada come vogliono loro. Ne è stato un’esempio nel 1970 il coinvolgimento della Itt nella politica del Cile, per impedire l’ascesa al potere del presidente marxista Salvador Allende. La Itt d’accordo con la Cia creò una situazione di totale caos in Cile al fine di favorire un vero e proprio colpo di Stato da parte della popolazione e arrivò a offrire una somma cospicua alla Casa Bianca in cambio di aiuto nel fermare Allende. A volte le multinazionali hanno più potere politico dell’elettorato attivo.

Le multinazionali: una storia di sfruttamento?

Il dibattito sul ruolo delle multinazionali è costantemente acceso; da un lato alcuni sostengono che gli effetti delle multinazionali nei paesi in cui esse sono instaurate siano positivi, in quanto la multinazionale porta lavoro e offre tecnologie e conoscenze, dall’altro si sostiene che le multinazionali siano entità in grado di influenzare l’ambiente in cui operano e di sfruttare il territorio in cui si insediano e la rispettiva popolazione. Da un lato è vero che la multinazionale porta offerta di lavoro, ma c’è sempre il rovescio della medaglia: quando le multinazionali trasferiscono le loro filiali da un Paese a un altro le conseguenze negative si ripercuotono sul Paese abbandonato: milioni di persone rimangono senza lavoro, lo Stato per far fronte alla situazione stanzia in bilancio cospicue somme a favore dei disoccupati con le dovute conseguenze sull’intero sistema economico del Paese. Le multinazionali tendono a “spolpare” il Paese fino a che è possibile, ma quando le risorse iniziano a scarseggiare o quando le stesse risorse in un altro Paese costano meno, gli stabilimenti vengono chiusi e la filiale trasferita. Questo perché le imprese ragionano secondo il criterio di economicità (essendo enti razionali) e mirano a perseguire obiettivi di efficacia e efficienza e questo le spinge a cercare continuamente fonti di riduzione dei costi (ecco perché molte di esse hanno filiali in paesi poco sviluppati dove il costo della manodopera è quasi nullo). Negli ultimi anni molte filiali sono state trasferite dal Nord USA al Sud, ma anche in Sud america (Brasile, Messico). Per lo Stato ospitante la chiusura di una multinazionale ha effetti sull’intera economia. Alcuni Stati hanno adottato misure che limitassero lo sfruttamento delle risorse del territorio da parte delle multinazionali, ma più un’impresa viene limitata, più è spinta a spostarsi. La maggior parte delle multinazionali dislocate in Paesi in via di sviluppo tende a reperire le risorse a basso costo in quei Paesi ma a spostare la loro lavorazione in altri, dove magari la tecnologia disponibile permette di raggiungere standard qualitativi e quantitativi più elevati. Questo ha spinto i Paesi ad adottare misure tali da impedire il verificarsi di queste situazioni, impedendo l’esportazione di alcune materie prime in altri Paesi, al fine di evitare che la lavorazione avvenga in altre sedi. L’avvento delle multinazionali in alcuni Paesi ha riportato le condizioni che avevano caratterizzato il periodo della Rivoluzione industriale. Le grandi imprese propendono per una manodopera di tipo non qualificato e realizzano prodotti a costi inferiori. Gli operai qualificati non ricevevano offerte di lavoro, a meno che non accettassero di svolgere mansioni non qualificate e così fu. I piccoli artigiani non potevano competere con le multinazionali in termini di costi, efficacia ed efficienza , quindi da artigiani si trasformarono in operai salariati. Ancora, le multinazionali hanno modificato i settori di attività in alcuni Stati; Stati che prima basavano la loro economia sul settore primario, oggi si ritrovano a ospitare imprese che producono beni di esportazione e che insediano le loro filiali nelle aree che prima erano dedicate all’agricoltura e all’allevamento. La produzione di generi alimentari si è via via ridotta, provocando un aumento dei prezzi di quei prodotti (troppa richiesta rispetto alla produzione, ricorso alle importazioni di generi alimentari). La tendenza delle multinazionali è quella di spostare le loro sedi dai Paesi sviluppati, nei quali i dipendenti sono protetti dai sindacati e dallo Stato, ai paesi sottosviluppati, dove donne e bambini vengono costretti a turni di 16 ore per uno stipendio minimo, vista l’assenza di sindacati. Anche se le multinazionali dicono di portare beneficio in questi paesi, in realtà quello che ottengono è nettamente superiore rispetto a quello che danno: al capitale investito in quei paesi corrisponde un ritorno economico dell’ 80% circa! Ulteriore critica: il fatto che un’impresa esporti una tecnologia in un altro Paese non significa necessariamente portare beneficio: spesso nelle filiali dei Paesi in via di sviluppo vengono piazzate le tecnologie che nei paesi all’avanguardia risultano obsolete o non sono più compatibili con i livelli di sicurezza previsti dalla legge. Ancora, le multinazionali riescono a occultare i loro guadagni: nei Paesi in cui la tassazione è bassa dichiarano quasi tutto, in quelli in cui l tassazione è alta, delle merci in entrata fatturano solo quelle ad alto costo e dei prodotti in uscita fatturano quelli a prezzo elevato, facendo così risultare perdite inesistenti. A volte i fondi vengono trasferiti dai Paesi ad alta pressione fiscale a quelli a bassa pressione fiscale. Ma non è tutto qui, consapevoli del fatto che i Governi ospitanti hanno interesse a mantenere localizzate li le filiali, le multinazionali spesso ricorrono a “ricatti” per ottenere trattamenti di favore. Quindi:

  • Le multinazionali dicono di portare sviluppo nei paesi sottosviluppati, quando in realtà li sfruttano finché è possibile e poi si trasferiscono.
  • Dicono di portare tecnologie all’avanguardia, ma in realtà portano le tecnologie che per i paesi sviluppati sono ormai obsolete (è ovvio che per quelli in via di sviluppo sembrano ipertecnologiche).
  • Le multinazionali sono in grado di esercitare il loro potere influendo sull’economia, sulla politica ma anche sul sistema sociale.
  • Le multinazionali piazzano le loro filiali dove conviene, dove cioè il rapporto costo/opportunità è soddisfacente.
  • Giocano sul loro ruolo all’interno degli Stati per ottenere trattamenti di favore da parte dei Governi.

Ma la colpa non è solo delle multinazionali, è anche dei Governi che accettano le loro condizioni. Spesso aziende e Governi stringono accordi tali da favorire l’attività della multinazionale anche a discapito della società, questo secondo l’approccio radicale che sottolinea la netta differenza di potere tra governanti e governati. Secondo altri approcci le multinazionali porterebbero perlopiù benefici.