La meccanizzazione va in cattedra: le organizzazioni come macchine

L’utilizzo delle macchine ha trasformato radicalmente le attività produttive e ha condizionato l’immaginazione, i pensieri e i sentimenti degli uomini, basti pensare a come molti scienziati danno rappresentazioni meccanistiche della natura o gli psicologi e i filosofi riproducono teorie meccanistiche per spiegare i comportamenti umani. La vita organizzativa spesso si esplica mediante comportamenti di routine (routine organizzativa) al punto da raggiungere la precisione di un orologio; la vita dell’individuo stesso si svolge attraverso comportamenti di routine (alzarsi al mattino e andare a lavoro, dormire nelle ore giuste e risvegliarsi al mattino); molti lavori sono di natura meccanica e ripetitiva, non solo quelli di fabbrica, ma anche quelli di ufficio, dove i dipendenti eseguono i compiti in modo abitudinario e ripetitivo come se fossero componenti di macchine: tali organizzazioni sono state concepite per essere delle macchine e i lavoratori al loro interno devono comportarsi come se fossero delle componenti (ad’esempio nei fast food). Le organizzazioni progettate e gestite come se fossero macchina sono denominate burocrazie e la maggior parte delle organizzazioni sono più o meno burocratizzate. Ci riferiamo alle organizzazioni come se si trattasse di macchine e ci aspettiamo che come tali funzionino (in modo routinizzato, efficiente, affidabile e prevedibile), ma non sempre l’approccio meccanistico ha conseguenze positive, è necessario quindi capire quando e perché utilizzarlo.

Come nasce l’organizzazione meccanistica?

Le organizzazioni sono strumenti creati per perseguire obiettivi e non si sviluppano come fini in se (dal greco organon, ovvero organo, strumento. Organi e strumenti sono impiegati per raggiungere degli obiettivi, quindi si può affermare che strettamente connessi all’analisi organizzativa siano i concetti di fine, funzione, compito e obiettivo); la nascita dell’organizzazione non è recente ma ha radici nel passato, basti pensare alle organizzazioni utilizzate per costruire le piramidi e alle organizzazioni militari. Federico il Grande di Prussia diede vita a un’organizzazione militare meccanizzata: egli era affascinato dal funzionamento dei giocattoli automatici e in particolare degli uomini meccanici, fu così che trasformò il suo esercito (costituito perlopiù da criminali, mecenari stranieri e poveri) attraverso una serie di riforme ispirandosi al modello delle legioni romane e a quello degli eserciti riformati del sedicesimo secolo; per prima cosa vennero introdotte le uniformi e i gradi, la specializzazione dei compiti, l’addestramento sistematico, il linguaggio apposito per il comando e la standardizzazione dell’equipaggiamento. L’esercito divenne una struttura meccanizzate, le cui componenti (ovvero i militari) vennero trasformate in automi, attraverso procedure di addestramento in grado di trasformare il materiale grezzo in componenti. In secondo luogo rivoluzionò la struttura dell’organizzazione militare attraverso la suddivisione dei compiti (separazione tra funzioni di comando e funzioni consultive affidate a consiglieri) e la decentralizzazione in modo da affidare la gestione dei diversi conflitti bellici a determinati funzionari. Con la rivoluzione industriale e il proliferare delle macchine le organizzazioni hanno acquisito natura meccanistica e paripasso al progresso industriale si può notare una sempre più forte tendenza alla burocratizzazione e routinizzazione della vita nel suo complesso. All’interno delle fabbriche si verificarono cambiamenti radicali dovuti al progresso industriale, molte di esse si riorganizzarono per poter sfruttare in modo efficiente le macchine, si assistette alla subordinazione del lavoro manuale al lavoro automatizzato (il lavoro manuale veniva utilizzato per il controllo delle macchine). Molte idee e metodi di Federico il Grande risultarono utili per risolvere i problemi inerenti all’incremento delle fabbriche dovuto al progresso industriale, gli imprenditori dovettero ricercare forme organizzative adatte alle nuove tecnologie. Adam Smith elogiò la divisione del lavoro manuale nel libro “La ricchezza delle nazioni”, nel 1801 Eli Withney diede una pubblica dimostrazione della produzione di massa mentre Charles Babbage (inventore di uno dei primi calcolatori) pubblicò un trattato in cui sosteneva l’importanza dell’utilizzo di un metodo scientifico per la risoluzione dei problemi organizzativi e gestionali. Tutte queste idee entrarono solo nel ventesimo secolo a fare parte della teoria dell’organizzazione aziendale, insieme ai contributi di alcuni dirigenti aziendali del nord America che gettarono le basi della teoria dell’organizzazione classico o scientific management. Il sociologo Max Weber ha sottolineato la correlazione tra meccanizzazione dell’industria e proliferazione delle forme burocratiche: la burocrazia routinizza i processi amministrativi come le macchine routinizzano la produzione. Egli diede una prima definizione di burocrazia intesa come “forma organizzativa caratterizzata da rapidità, precisione, chiarezza, regolarità, affidabilità ed’efficienza”. Weber in quanto sociologo era interessato alle conseguenze sociali di tale proliferazione e concepì il pericolo che la burocratizzazione portasse a una meccanizzazione di ogni aspetto della vita umana facendo sparire ogni forma di agire spontaneo. I maggiori esponenti della teoria classica furono:

  1. Henry Fayol.
  2. F.W Mooney.
  3. Lyn dall Urwick.

Tutti e tre in quanto organizzatori di successo e concordi sul fatto che la gestione fosse un processo di pianificazione, organizzazione, comando coordinamento e controllo, cercarono di codificare la propria esperienza in modo che anche altri potessero approfittarne; le loro teorie sono oggi alla base della direzione per obiettivi e del planning, programmino budgeting system. Se si applica questa teoria, si ottiene un’organizzazione caratterizzata da mansioni definite con precisione (possiamo renderci così conto di come questi teorici progettavano le organizzazioni come se fossero macchine: un ingegnere deve progettare tutte le singoli componenti delle macchine, in modo da evitare il malfunzionamento di una che potrebbe comportare il malfunzionamento delle altre). L’organizzazione viene concepita come un insieme di reparti (le diverse aree funzionali) che sono a loro volta suddivise in una serie di mansioni definite nel dettaglio; le responsabilità delle diverse mansioni si intrecciano tra loro in modo da completarsi reciprocamente e in maniera tendenzialmente perfetta e sono subordinate al controllo di un capo. La teoria classica presta particolare attenzione alla gerarchia, uno strumento caratterizzato dalla capacità di dare ordini e di ottenere obbedienza. La divisione gerarchica deve riuscire a perseguire un obiettivo: i comandi emanati al vertice devono diffondersi rapidamente all’interno dell’organizzazione in modo da ottenere l’effetto desiderato. Le organizzazioni dovrebbero essere sistemi razionali che funzionano nella maniera più efficiente possibile; il problema è che i teorici classici hanno prestato poca attenzione agli aspetti umani: all’interno di un’organizzazione meccanistica operano individui che non sono ingranaggi (gli autori riconoscono l’importanza degli atteggiamenti personalistici, dell’iniziativa degli indipendenti, ma studiano l’organizzazione solo dal punto di vista tecnico tendendo ad’adattare le persone ai requisiti dell’organizzazione). Per questo motivo la teoria classica è stata spesso molto utilizzata, anche se oggi è ancora alla base del modo di pensare dei dirigenti aziendali: negli anni novanta in Nord America e Europa si è diffuso il reenginering con il quale si riconosce che l’organizzazione burocratica è superata e priva di utilità pratica e si propone un progetto meccanistico basato non sulla burocratizzazione ma sui processi aziendali fondamentali (ipotesi: se il progetto di ingenierizzazione è corretto il fattore umano è destinato a trovare il suo equilibrio). Anche il reenginering ha avuto gli stessi insuccessi delle teorie classiche.

Organizzazione scientifica del lavoro.

Altri principi fondamentali della teoria classica vennero enunciati da Federico Taylor, esponente della scuola dello scientific management, ingegnere americano dalla personalità esuberante e un po’ squilibrata che si guadagnò la fama di “nemico numero uno del lavoratore” (nel 1911 venne convocato davanti a una commissione del Parlamento americano per difendere il suo sistema dell’organizzazione). Anche se criticato, i suoi principi sono restati alla base dell’organizzazione aziendale della prima metà del XX secolo:

  1. affidare la responsabilità organizzativa del lavoro ai dirigenti lasciando agli operai la sola realizzazione pratica (frase tipica di Taylor: “voi non dovete pensare, in azienda ci sono altre persone pagate per farlo”).
  2. usare metodi scientifica per individuare il modo più efficiente di svolgere una mansione, che deve essere progettata di conseguenza specificando come il lavoro deve essere fatto.
  3. selezionare le persone più adatte a svolgere quella mansione.
  4. addestrare l’operaio a svolgere il lavoro in modo efficiente.
  5. tenere sotto controllo la produttività dell’operaio per verificare se le procedure lavorative sono rispettate.

Taylor promosse lo studio tempi e metodi, per analizzare le mansioni: anche la più semplice operazione veniva analizzata nel dettaglio per trovare la modalità realizzativa più efficiente (anche mansioni insignificanti come lo stirare vennero osservate). Oggi l’approccio tayloristico lo possiamo ritrovare nelle catene di fast – food, dove tutte le mansioni sono articolate in una serie di fasi predefinite che devono essere svolte secondo una sequenza predeterminata dai dirigenti e all’operaio viene affidato solo il compito esecutivo. I metodi tayloristici hanno permesso di moltiplicare le produzioni, ma hanno implicato ingenti costi umani, trasformando gli individui in automi privi di ogni iniziativa; questa tendenza viene oggi definita come McDonaldizzazione (in quanto le modalità di lavoro all’interno della catena di fast – food si basano sull’importanza della quantità, sulla prevedibilità, sul controllo e su mansioni dequalificate). I problemi umani sono emersi immediatamente dopo le prime applicazioni del modello; quando Henry Ford impiantò la prima catena di montaggio per produrre il modello Ford T, il turnover dei dipendenti incremento del 380%. I dipendenti dovettero adattarsi alla nuova tecnologia che aveva sostituito il lavoro manuale e si ritrovarono a svolgere le stesse meccaniche e noiose mansioni (ritrovandosi magari a svolgere le stesse 6/7 mansioni ogni 40/50 secondi). La General Motors adottando questo tipo di approccio riuscì negli anni ’60 a passare da una produzione di 60 auto al giorno a una produzione di 100: alcuni lavoratori avevano solo 36 secondi per svolgere otto mansioni (spostarsi, manipolare, sollevare eccetera). I principi tayloristici vennero applicati alla realtà aziendale, ma si diffusero anche rapidamente in tutta la società; oggi possiamo trovare reminescenze di tali principi in alcuni comportamenti umani (basti pensare all’atleta che si prepara per una gara e che si impone uno scema di allenamento dettagliato in base al periodo che ha a disposizione per prepararsi).

Potenzialità e limiti della metafora della macchina.

Concetti della metafora della macchina:

  • Stabilisci scopi e obiettivi e poi perseguili. Organizza razionalmente, efficientemente e con chiarezza.
  • Specifica in ogni dettaglio in modo che tutti sappiano con chiarezza quali mansioni devono espletare.
  • Pianifica, organizza e controlla, controlla, controlla.

Le metafore offrono solo una visuale parziale della realtà, facendola vedere da una sola angolazione e sottovalutando gli altri punti di vista; è possibile riassumere le potenzialità e i limiti dell’organizzazione meccanistica. Gli approcci meccanistici sono utili quando si verificano le seguenti condizioni:

  1. presenza di un compito molto chiaro.
  2. ambiente sufficientemente stabile da garantire risultati dei prodotti appropriati.
  3. si vuole produrre esattamente lo stesso prodotto più volte.
  4. quando la precisione gioca un ruolo fondamentale.
  5. quando le componenti umane rispettano i compiti loro assegnati.

Un esempio di successo dell’approccio meccanistico lo riscontriamo nella catena McDonald: le mansioni sono realizzate seguendo schemi specifici, viene offerto un servizio preciso e standardizzato (addirittura McDonald ha una struttura didattica per insegnare la “scienza degli hamburger” ai dirigenti i quali a loro volta la trasmetteranno agli altri dipendenti e un manuale contenente le modalità di espletamento di ogni singola mansione). Non manca comunque l’innovazione e il dinamismo, localizzati nei dirigenti aziendali i quali elaborano la strategia aziendale e le modalità organizzative, affidando ai dipendenti solo lo svolgimento delle mansioni (decentralizzazione, separazione tra il potere di controllo e quello esecutivo, subordinato comunque al primo). L’approccio meccanistico presenta comunque dei limiti:

  1. sviluppo di strutture organizzative rigide e poco adattabili ai mutamenti ambientali.
  2. dare vita a una burocrazia priva di senso della realtà.
  3. dare luogo a effetti imprevisti e indesiderati qualora gli interessi di coloro che operano nell’organizzazione abbiano il sopravvento.
  4. effetti disumanizzanti sui dipendenti, specialmente su quelli ai livelli più bassi.

Tali organizzazione sono strutturate per perseguire obiettivi predeterminati, senza tenere conto della dinamicità dell’ambiente esterno; basti pensare a un macchinario utilizzato per trasformare input in output: se si volesse cambiare l’output si dovrebbe modificare e riprogettare il macchinario. Lo stesso paragone vale per la struttura, ovvero una struttura eccessivamente rigida può reagire ai cambiamenti ambientali solo modificandosi radicalmente, il ché richiede tempi abbastanza lunghi. In un ambiente dinamico la flessibilità è fondamentale, è importante fare la cosa giusta in un tempo ragionevole e non fare la cosa giusta in un tempo eccessivamente lungo o fare bene una cosa sbagliata. La meccanizzazione e specializzazione delle mansioni, nonché delle aree funzionali è fonte di rigidità per l’azienda, accompagnata da un inadeguato coordinamento delle diverse aree. Spesso i problemi non vengono risolti in modo unitario, ma vengono frammentati tra le diverse funzioni, cosicché ognuna li risolve nel modo più efficiente per se stessa, a discapito magari delle altre. Inoltre anche l’educazione imposta ai dipendenti (fare solo il proprio lavoro) porta a un’incapacità di affrontare i cambiamenti ambientali e a una difficoltà di adattamento (frasi tipiche di un dipendente addestrato ad’essere un automa: “non è compito mio”, “è una responsabilità sua e non mia”, “io faccio solo quello che mi viene detto di fare”). Lo spirito di iniziativa del lavoratore viene annullato, egli deve solo realizzare le mansioni a lui attribuite, svolgendo mansioni di routine (i costi umani sono elevati), le capacità umane vengono limitate piuttosto che incoraggiate. L’individuo viene adattato all’organizzazione piuttosto che adattare l’organizzazione alle capacità dell’individuo. Iniziano a svilupparsi così altri modelli organizzativi per ovviare ai problemi derivanti dall’organizzazione meccanistica (anni ’80 e ’90 nascono i total quality management).