Nozione

La nozione di società in nome collettivo è dettata, dal codice civile, all’art.2291 in cui è definita tale, quella società avente tutti i soci solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali.

A differenza della società semplice, non producono effetti nei confronti dei terzi tutti i patti che hanno per oggetto la limitazione della responsabilità ovvero l’esclusione della solidarietà. Tali patti hanno però validità nei rapporti interni tra i soci ed operano come patto di limitazione alle perdite in modo da rispondere nei confronti dei creditori sociali con il patrimonio personale e successivamente rivolgersi con l’azione di regresso nei confronti degli altri soci. La società in nome collettivo è regolata per gran parte della sua disciplina dalle norme dettate per la società semplice, mentre per determinati aspetti, quali l’atto costitutivo, la pubblicità, la responsabilità dei soci, lo scioglimento e la liquidazione, sono fornite norme particolari.

La società in nome collettivo è, più genericamente, un prototipo ben più ampia categoria di società che ha come scopo l’esercizio di attività commerciale e, in quanto tale, è soggetta, a differenza della società semplice, ad una rigida disciplina del rispetto dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, in particolare, nella sezione ordinaria. La mancata iscrizione nel registro delle imprese non comporta l’invalidità o l’inesistenza della società, ma la sua irregolarità. L’irregolarità della società in nome collettivo comporta l’assoggettamento alle norme relative alla società semplice con l’esclusione della possibilità di limitare la responsabilità per alcuni soci e l’inopponibilità verso i terzi in buona fede della non conoscenza delle limitazioni ai poteri di rappresentanza dei soci.

Nelle società irregolari il contratto sociale deve avere soltanto i requisiti di forma richiesti dalla società semplice (cioè la necessità di determinare l’oggetto sociale e l’obbligo di forma scritta si sono conferiti immobili in proprietà o in godimento per oltre 9 anni); se il contratto sociale si desume esclusivamente dal comportamento concludente delle parti, si ha una società di fatto, che si configura come società in nome collettivo irregolare tra persone che di fatto, esercitano in comune un’attività commerciale dividendo le ultime perdite, senza che ci sia alcun atto costitutivo. La specie delle società in nome collettivo è, nella pratica, molto diffusa. Il loro numero è molto superiore a quello delle società in nome collettivo regolari.

La società in nome collettivo regolare, invece, comporta differenze marcanti rispetto alla società semplice relativamente alla riconoscibilità di una maggiore autonomia patrimoniale non potendo, il creditore particolare del socio, pretendere la liquidazione della quota finché dura la società e relativamente alla responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, poiché il creditore sociale non può chiedere il soddisfacimento del debito ad un socio se prima non è stato escusso il patrimonio sociale. In particolare la società in nome collettivo è regolamentata dagli articoli 2291-2312 c.c., e, dove espressamente richiamate, da alcune norme regolanti la società semplice. L’art.2295 c.c. stabilisce il contenuto minimo richiesto per la redazione dell’atto costitutivo:

  1. Il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio, la cittadinanza, il codice fiscale e la professione di tutti i soci. L’art.2294 c.c. ammette la possibilità della partecipazione alla società per l’incapace assoluto nel rispetto delle norme dettate dal codice stesso.

Il rappresentante legale dell’incapace non può partecipare alla compagine sociale della società in nome collettivo al momento della costituzione, ma se il tribunale si pronuncia positivamente per la sua convenienza e i soci ne acconsentano, può diventare socio se acquista quote sociali a titolo derivativo: per successione a causa di morte ovvero per donazione.

  1. La ragione sociale, costituita dal nome di uno o più soci, è il nome della società. La società può conservare il nome del socio receduto ovvero defunto, se lo stesso socio o gli eredi ne rilascino il consenso. La società può difendere l’originalità e l’esclusività della propria ragione sociale impedendo l’uso ad altre società che abbiano provveduto all’iscrizione presso il registro delle imprese in un momento successivo, di una ragione sociale uguale ovvero simile che possa comportare una confusione per l’oggetto ovvero per la sede.
  2. L’indicazione dei soci investiti della carica di amministratore e di rappresentante della società.

Tale indicazione è del tutto superflua se tutti i soci sono investiti del potere di amministrare e di rappresentare la società: infatti, per l’opponibilità ai terzi è richiesta la pubblicità solo se sono previste limitazioni all’amministrazione ed alla rappresentanza per alcuni soci.

  1. La sede ed eventuali sedi secondarie della società cioè il luogo in cui sono ubicati gli uffici sociali e dove viene svolta l’attività amministrativa. Tale indicazione risulta importante in primo luogo per localizzare territorialmente la società, la cui identificazione è determinata anche dalla corrispondenza di iscrizione nel registro delle imprese in cui ha proprio sede la società. Le sedi secondarie, disciplinate dall’art.2299 c.c., sono quelle in cui vengono adibiti uffici di rappresentanza stabili. Tali sedi devono essere iscritte presso il registro delle imprese ove sono ubicate, attraverso il deposito di un estratto dell’atto costitutivo della società, nel termine di 30 giorni dalla sua istituzione. Al deposito dell’atto costitutivo deve accompagnarsi anche quello della firma autografa del rappresentante preposto all’esercizio della sede secondaria. La società deve provvedere, sempre entro 30 giorni dalla istituzione, all’annotazione anche presso il registro delle imprese ove ha la sede principale la società.
  2. L’oggetto sociale, cioè la specifica attività economica cui la società è preposta a svolgere. È evidente che l’oggetto deve indicare un’attività lecita, possibile e la prassi vuole anche ampia.
  3. I conferimenti di ciascun socio, il valore e il metodo di valutazione attribuito ad ognuno. Tale indicazione è comunque superflua se i soci intendono partecipare al capitale attraverso conferimenti uguali tra loro.
  4. Nel caso in cui fosse previsto l’ingresso di soci d’opera, l’atto costitutivo deve indicare le prestazioni cui tali soci sono tenuti ad adempiere in luogo dei concreti conferimenti.
  5. Le norme in base alle quali i soci intendono riportare gli utili conseguiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite. Se l’atto costitutivo non fornisce indicazioni al riguardo, gli utili s’intendono ripartiti integralmente e la partecipazione alle perdite in proporzione ai conferimenti eseguiti, così come previsto dall’art.2263 c.c.

Gli utili distribuibili, in base a quanto stabilito dall’art.2303 c.c., sono quelli realmente conseguiti al netto delle perdite subite negli esercizi precedenti.

Infatti, se nel corso dell’esercizio sono sorti utili, questi sono distribuibili solo nella misura in cui eventuali perdite di esercizi precedenti, siano state ripianate. La copertura delle perdite può avvenire sia attraverso l’estinzione contabile mediante l’utilizzazione di un fondo patrimoniale destinato a tale scopo, sia mediante la reale copertura eseguendo ulteriori conferimenti per la reintegrazione del capitale e sia attraverso la riduzione del capitale originario in misura corrispondente alle perdite, art.2303, co.2, c.c.

  1. La durata della società. Tale indicazione è assolutamente necessaria, nonostante la prescrizione dell’art.2307 c.c., della proroga del termine. Anche nella società in nome collettivo, così come disposto per la società semplice, è ammessa una proroga espressa ed una proroga tacita.

L’importanza dell’indicazione della scadenza del contratto sociale nella s.n.c. si ricollega al concetto di maggiore rigidità dell’autonomia patrimoniale. Infatti, il creditore particolare del socio deve attendere la scadenza della società per poter chiedere la liquidazione della quota. Il creditore del socio, però, nel caso di proroga espressa dalla società, può proporre opposizione entro 3 mesi dalla iscrizione nel registro delle imprese ed in caso di decisione favorevole per il creditore, questi vedrà liquidata la quota del socio debitore entro 3 mesi dalla notifica della sentenza. Nell’ipotesi di proroga tacita, invece, il creditore del socio può chiedere in qualunque momento la liquidazione della quota, sempre che il socio non abbi aaltri beni aggredibili sufficientemente soddisfacenti.

L’atto costitutivo della società deve essere portato a conoscenza dei terzi attraverso la pubblicazione nella sezione ordinario del registro delle imprese. In base all’art.2296 c.c., l’atto costitutivo, redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, deve essere depositato dagli amministratori ovvero dal notaio rogante, entro 30 giorni dalla stipula presso il registro delle imprese della provincia in cui ha sede la società.

Se gli amministratori non dovessero provvedere al deposito dell’atto costitutivo, nel termine di 30 giorni, il co.2 dell’art.2296 c.c., prevede la possibilità, per ciascun socio, di provvedervi a spese della società ovvero far condannare gli amministratori ad eseguirlo.

L’atto costitutivo può essere oggetto di modifiche da parte dei soci, i quali devono decidere,salvo patto contrario inserito nel contratto, all’unanimità, a esclusione delle delibere di fusione e trasformazione in società di capitali per le quali sono previste delibere a maggioranza. Gli amministratori, in base al dettato dell’art.2300 c.c., devono provvedere, entro 30 giorni dalla modifica dell’atto costitutivo, all’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, affinché possano essere opponibili ai terzi.

Gli amministratori devono provvedere all’iscrizione delle modifiche dell’atto costitutivo presso l’ufficio del registro delle imprese, anche nel caso di riduzione del capitale sociale, di recesso del socio e di proroga del termine. La prima ipotesi si ha nel caso in cui i soci decidessero di ridurre il capitale perché ritenuto esuberante per l’esercizio dell’attività sociale. Poiché il capitale è strettamente legato al pagamento dei debiti sociali, i terzi creditori ne devono essere informati per difendersi da un eventuale pregiudizio derivante dalla riduzione del capitale stesso. I terzi creditori possono impedire il procedersi della riduzione del capitale proponendo opposizione entro 3 mesi dalla delibera di riduzione.

La riduzione del capitale avviene attraverso il rimborso ai soci delle quote pagate in esubero ovvero attraverso la liberazione degli stessi soci dall’obbligo di ulteriori versamenti. Il tribunale può disporre, nonostante sia stata presentata opposizione alla riduzione del capitale, l’esecuzione della riduzione non prima di una prestazione da parte della società di un’idonea garanzia. Il secondo caso, è la possibilità concessa ai soci di recedere nel caso di continuazione delle operazioni sociali benché sia intervenuta la scadenza del termine della società. In tal caso, in base al co.3 dell’art.2307 c.c., i soci possono sempre recedere dalla società con preavviso, così come disciplinato dall’art.2285 c.c., e il creditore particolare del socio può chiedere la liquidazione della quota del proprio debitore applicandosi la disciplina dettata dall’art.2270 c.c.

Il capitale sociale, indicato negli articoli 2303 e 2306, è una nozione diversa da quella di patrimonio sociale, il quale è formato dai beni e dai rapporti giuridici attivi facenti capo alla società. All’inizio della società, il capitale coincide con il valore del patrimonio sociale, nel corso della vita della società, mentre il capitale rimane inalterato fino a quando non intervenga una modifica del contratto, il patrimonio sociale varia quotidianamente. Il co.1 dell’art.2303 vieta la ripartizione di somme tra i soci, se non per utili realmente conseguiti.

È quindi fatto esplicito divieto ai soci di ripartire tra loro somme che, non rappresentate da utili, possano equivalere a un rimborso dei conferimenti. Il co.2 dell’art.2303 detta un’altra norma a salvaguardia dell’integrità del capitale sociale.

Se si verifica una perdita del capitale sociale, non è possibile dare luogo alla ripartizione di utili fino a quando il capitale non sia integrato o ridotto in misura corrispondente. In base a tale norma, è utile distribuibile non quello conseguito nel corso di un singolo esercizio, ma l’utile rappresentato da una eccedenza del patrimonio sociale rispetto al capitale.