Il trasferimento dell’azienda

Il trasferimento dell’azienda è regolamentato dall’art.2556 c.c., coordinando la sua lettura con la legge n.310/1993.

Il co.2 dell’art.2556 c.c. sancisce il regime pubblicitario dell’atto di trasferimento richiedendone, ai fini delle sua opponibilità di terzi, la forma pubblica o la scrittura privata autenticata, condizione indispensabile per l’iscrizione del registro delle imprese a cura del notaio rogante o autenticante entro i successivi 30 giorni dalla formalizzazione.

L’azienda non richiede particolari modalità di trasferimento, per cui circola secondo le forme proprie dei singoli beni che la compongono, salvo che nell’ambito del complesso aziendale trasferito risultino compresi singoli elementi patrimoniali (quali, per esempio, immobili o beni mobili registrati), per i quali la legge prescrive forme particolari di circolazione.

Il mancato trasferimento per difetto di forma di alcuni elementi aziendali non impedisce il trasferimento dell’azienda solo nell’ipotesi in cui essa, privata di quegli elementi, possa ancora essere qualificata tale. Il che è da escludere quando tali elementi siano determinanti in relazione della funzionalità o delle qualità dei prodotti e non possono essere facilmente sostituiti, con la conseguenza della nullità totale del contratto ai sensi e per gli effetti del disposto dell’art.1419 c.c.

I contratti così conclusi sono soggetti a iscrizione nel registro delle imprese in cui vi è iscritto l’imprenditore alienante ovvero concedente nel termine di 30 giorni dalla loro definizione, nella sezione ordinaria. La forma pubblica e la scrittura privata autenticata devono pertanto essere comunque rispettate per adempiere l’obbligo della pubblicità al registro delle imprese.

In conformità a quanto disposto dall’art.2557 c.c., chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che, per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.

Le parti possono comunque concordare, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, limiti più stringenti per il cessionario rispetto a quelli sopra richiamati, purché tali patti non determinino in capo al cedente la sostanziale impossibilità di esercitare una qualsiasi attività professionale. Inoltre, non è possibile prolungare gli effetti dell’accordo oltre il limite di 5 anni dalla data del trasferimento dell’azienda. E, se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza può valere comunque per il periodo di 5 anni dal trasferimento.

Le sopra indicate disposizioni in materia di divieto di concorrenza trovano l’applicazione anche in riferimento al nudo proprietario che trasferisce l’usufrutto dell’azienda e al concedente che trasferisce l’azienda a titolo di affitto.

Invece, per quanto concerne le aziende agricole, le disposizioni in argomento si applicano solo per le attività a esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.

La norma in commento trova la propria ratio nel contemperamento di 2 opposte esigenze delle parti, ossia, da un lato, quella di garantire al cessionario dell’azienda il pacifico godimento della stessa contro il tentativo dell’alienante di riappropriarsi per altra via di ciò che egli ha alienato (l’avvio di una nuova impresa sarebbe infatti idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta e consentirebbe al cedente di riappropriarsi di fatto dell’avviamento dell’azienda ceduta) e, dall’altro, quella di non ledere la libertà professionale dell’alienante di attivarsi nello stesso ambito di attività commerciale oltre certi ragionevoli limiti.

Ciò rende evidente come la norma del divieto di concorrenza sia speciale ed eccezionale, in quanto deroga al principio d’iniziativa economica e di libera concorrenza.

La giurisprudenza di merito ha avuto modo di precisare che il dies a quo deve essere fatto coincidere con il momento del concreto passaggio di gestione dell’azienda ceduta, anche se il trasferimento del diritto di proprietà è a questo successivo per effetto di riserva di proprietà del venditore fino alla data del pagamento.

Nel caso di consolidamento della clientela o dell’avviamento prima del termine legale, il divieto di concorrenza non viene comunque meno, perché altrimenti si eluderebbe l’esigenza di certezza insita nella norma. Tuttavia il divieto non trova applicazione qualora, prima del quinquennio, termini definitivamente l’esercizio dell’impresa trasferita con l’azienda. Il divieto di concorrenza può, invece, eccedere la durata dei 5 anni nei casi di usufrutto e di affitto, in cui vige per tutta la durata del contratto.

La deroga pattizia può comprendere anche attività non direttamente concorrenziali, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Le predette pattuizioni possono essere sia contenute nell’ambito del contratto con cui si realizza il trasferimento dell’azienda, sia sottoscritte separatamente. Anche nel caso di separata sottoscrizione, vige la necessità che dette pattuizioni risultino per iscritto (ad probationem) e non eccedano la durata di 5 anni, conformemente al disposto dell’art.2596 c.c. sulle pattuizioni limitative della concorrenza sottoscritte in forma autonoma.

A decorrere dalla data di trasferimento dell’azienda, viene quindi riconosciuta alle parti autonomia decisionale rispetto alla durata quinquennale prevista dalla norma. In particolare, le parti possono espressamente prevedere un divieto di concorrenza meno rigoroso di quello previsto dalla norma, fino ad arrivare alla sua completa esclusione e un divieto di concorrenza più rigoroso, con il limite però di non arrivare all’impedimento di ogni attività professionale al soggetto che trasferisce l’azienda.

L’autonomia decisionale delle parti è tuttavia “unidirezionale”, nel senso che la derogabilità della durata quinquennale è solo in senso diminutivo (possono cioè essere previsti periodi di durata inferiore), mentre è preclusa la possibilità di pattuire durate superiori al quinquennio (nel caso in cui le parti vi procedano, infatti, il divieto di concorrenza si intende comunque operante solo per 5 anni).

L’art.2557 c.c. opera solo per i contratti di trasferimento dell’azienda che abbiano per oggetto attività commerciale, escludendo così, tutte le attività agricole. Il divieto di concorrenza, però, trova la sua applicazione se, all’attività agricola, è previsto anche lo svolgimento di un’attività di trasformazione e commercializzazione della produzione agricola.

L’art.2557 non dispone alcunché in merito alle conseguenze che derivano dall’eventuale violazione del divieto di concorrenza nonché dalle eventuali pattuizioni espressamente intercorse tra le parti nel contratto.

A tale proposito, il soggetto cessionario, in quanto danneggiato, potrebbe esercitare un’azione inibitoria al fine di ottenere la cessazione del comportamento “vietato”; un’azione risarcitoria, volta a ottenere il ristoro del danno subito per effetto del comportamento “vietato”; un’azione risarcitoria, volta a ottenere il ristoro del danno subito per effetto del comportamento vietato; richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale della controparte (a condizione che l’inadempimento rivesta i connotati d’importanza, di cui all’art.1445 c.c.).