La gestione delle risorse idriche e dei servizi idrici

Il ciclo naturale dell’acqua e l’allocazione delle risorse idriche

L’acqua è la sostanza di gran lunga più diffusa e fino a pochi decenni fa tanto abbondante da essere considerata una risorsa libera, non dotata di valore di scambio, se non in particolari condizioni. Di recente si è posto il problema della scarsità, verificandosi uno squilibrio fra la domanda e l’offerta, imputabile principalmente a due fattori:

  • L’incremento del fabbisogno idrico conseguente allo sviluppo economico e alla crescita demografica.
  • L’aumento degli effetti dannosi sulla disponibilità di acqua dovuti alle attività dell’uomo che ne compromettono la capacità futura di ottenere una certa qualità e in quantità sufficiente a soddisfare la domanda per vari usi.

La gestione delle risorse idriche è un problema distinto da quello della gestione dei servizi idrici. Il primo consiste nel ripartire la risorsa fra usi diversi e, in questo caso, occorre fare in modo che i benefici marginali derivanti dall’uso delle risorse idriche siano uguali per tutti gli usi potenziali. La gestione dei servizi, invece, ha a che vedere con la loro efficienza. Per definire lo schema allocativo ottimale occorre avere informazioni sulla domanda  e offerta in relazione ad ogni uso: occorre perciò che l’operatore pubblico provveda a stimare le curve di domanda, in modo da ottenere la disponibilità a pagare in relazione ai diversi usi dell’acqua. In Italia, in assenza di prezzi di mercato e di stime delle curve di domanda, è la legge 36/1994 (legge Galli) che definisce i criteri per l’allocazione delle risorse e cioè quali usi privilegiare. Essa disciplina l’impiego delle risorse idriche nei suoi aspetti di prelievo, uso e restituzione. La legge disciplina l’acqua quale risorsa da tutelare, secondo modalità di impiego tese al risparmio e fissa alcuni principi generali da osservare nel soddisfacimento della domanda idrica per usi concorrenti. Spetta all’autorità di bacino il compito di definire e aggiornare periodicamente il bilancio idrico diretto e assicurare l’equilibrio tra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell’area di riferimento e i fabbisogni per i diversi usi. A tale scopo l’autorità di bacino adotta le misure di pianificazione dell’economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse. Nel fare questo il regolatore tiene conto di alcuni criteri specifici: ad esempio la legge afferma la concezione solidaristica della risorsa acqua e che ogni uso del bene deve essere finalizzato alla salvaguardia delle aspettative e dei diritti delle generazioni future. Per le priorità d’uso dell’acqua (consumo umano, deflusso minimo vitale e uso agricolo) per il soddisfacimento della domanda la legge fa riferimento al concetto di fabbisogno che consiste in un coefficiente tecnico (litri/persona/giorno, metri cubi/ettaro) definito su base di alcuni parametri locali (clima, reddito medio pro capite) e poi applicato alla ricerca dell’equilibrio nel bilancio idrico. Alle autorità di bacino competono sempre le decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse idriche in base alle priorità definite dalla legge.

Fallimento del mercato e dell’operatore pubblico nel settore delle risorse idriche

Anche se il mercato fosse in grado di ripartire le risorse idriche tra i vari usi, di fatto ci sono molte imperfezioni che non permettono una divisione efficiente. Esse riguardano sia la risorsa acqua, sia i servizi volti alla sua gestione e sono:

  1. La natura dell’acqua, quale bene pubblico e di mercato
  2. La presenza di monopoli naturali nel settore dei servizi idrici, aziende municipalizzate, concessionarie o gestite direttamente in economia
  3. Diseconomie esterne dovute all’inquinamento delle acque
  4. Carenza di informazioni in relazione alla disponibilità di acqua

Altre imperfezioni sono causate dall’operato pubblico, come ad esempio i prezzi politici applicati al settore agricolo.

La gestione dei servizi idrici

La disponibilità di risorse idriche è costituita da diverse componenti: quella per usi civili, agricoli industriali e ricreativi. Si ritiene che l’attuale disponibilità di acqua non sia sempre in grado di soddisfare tutti, in particolare esiste conflittualità tra usi ricreativi, industriali e agricoli. Ciò è dovuto a diversi fattori: scarsità dell’acqua, carenza di infrastrutture, insufficiente sviluppo dei servizi e un uso dissipativo del tentativo di far fronte ai problemi di scarsità delle risorse. In relazione a ciò esistono due tipi di interventi: il primo ha come obiettivo di aumentare la disponibilità di acqua in un certo periodo ed in un certo luogo, mediante la predisposizione di opere di tipo ingegneristico, il secondo cerca di ridurre il consumo dell’acqua con un razionamento preventivo o un aumento del costo di approvvigionamento pagato dagli utenti. In entrambi i casi è indispensabile l’azione di un regolatore che decida le modalità e i livelli di intervento opportuni per risolvere i conflitti generati da tale scarsità. In Italia i servizi idrici sono gestiti direttamente dall’operatore pubblico; il problema è che la  loro organizzazione è molto frammentata, senza una visione integrata del ciclo economico dell’acqua. La frammentazione si riflette sui costi del servizio idrico, soprattutto nel caso in cui esso è caratterizzato da economie di scala o di integrazione verticale o di produzione congiunta. Nel determinare l’efficienza dei servizi è rilevante l’aspetto tecnologico, in particolare l’esistenza o meno di economie di scale e di economie di scopo, che determinano rispettivamente le dimensioni minime efficienti che ogni gestore di servizio dovrebbe avere, e i vantaggi di una produzione integrata (verticalmente / orizzontalmente) rispetto ad una produzione specializzata monoservizio. Le economie di scala sono significative nelle fasi alte del ciclo (captazione, adduzione, distribuzione) e scarsamente rilevanti nelle fasi basse (depurazione e smaltimento). Ciò spiega i casi di concentrazione nelle prime fasi e di frammentazione delle gestioni nelle fasi basse del ciclo. Economie di scopo. Le economie di integrazione verticale si hanno quando l’ente produce uno o più servizi di diverso tipo, integrati verticalmente (es: la distribuzione dell’acqua potabile e la raccolta di acque reflue). Il costo medio di produzione DIM e, pertanto, il servizio potrebbe essere realizzato in modo efficiente da gestori verticalmente integrati. In aggiunta a queste, si possono verificare economie di produzione congiunta, che si hanno quando per tutti gli output il costo della produzione congiunta è minore del costo della produzione separata di ciascun output. Per ottenere maggiore efficienza a uno stesso operatore dovrebbero essere affidate fasi di produzione afferenti a cicli diversi. Es: la fase dello smaltimento dei fanghi di depurazione potrebbe essere effettuata congiuntamente a quella di inceneritore dei rifiuti solidi.

Costo dell’acqua e struttura delle tariffe

A determinare il costo sociale dell’acqua concorrono diverse voci raggruppabili in due categorie: costi industriali di produzione e costi esterni. I costi industriali sono dati dai costi di realizzazione delle diverse fasi del ciclo idrico (captazione, adduzione, distribuzione, raccolta, trattamento, smaltimento delle acque reflue e dei fanghi) e dai costi di gestione delle risorse. Tra i costi esterni assumono rilevanza quelli ambientali riguardanti l’inquinamento delle acque o l’impatto sul paesaggio dovuto alla permanenza di deflussi ridotti, dighe, rischio idraulico. La valutazione dei costi esterni è uno dei nodi critici nella definizione del costo delle risorse: si tratta della determinazione delle tariffe pagate dall’utente all’ente gestore dei servizi e dei canoni pagati dall’ente gestore all’apparato pubblico. Determinato il costo totale d’uso dell’acqua, occorre provvedere alla sua copertura finanziaria. La soluzione ottimale, in teoria, è quella di fare in modo che ogni utilizzatore sia tenuto a pagare i costi marginali complessivamente generati. Ogni utilizzatore potrebbe valutare autonomamente la convenienza di usare acqua, o di adottare tecnologie che ne rendano più efficiente l’uso, o riducano l’inquinamento. In pratica, il sistema di determinazione delle tariffe certe può soddisfare anche esigenze di equità e comunque deve permettere di reperire risorse finanziare per la realizzazione degli investimenti nel settore dell’acqua. La struttura delle tariffe può assumere diverse configurazioni: tariffazione forfettaria, tariffazione volumetrica uniforme; tariffazione binomia con una parte fissa (allacciamento) e una variabile (in funzione dei consumi). Tariffazione a blocchi dove la parte variabile può crescere o decrescere rispetto al consumo; tariffe in funzione della domanda giornaliera o stagionale. In genere per l’acqua potabile sono adottate tariffe binomie, mentre per il servizio di depurazione e fognatura si ricorre a tasse di scopo, alle volte correlate ai consumi di acqua.

La regolamentazione dei servizi idrici

Di solito l’apparato pubblico interviene per regolamentare la struttura del mercato, le tariffe e la qualità delle risorse idriche. La regolamentazione del mercato è uno degli obiettivi dell’intervento pubblico e consiste nel modificare la struttura monopolistica del settore incentivando la concorrenza. Ciò è realizzabile nel caso di contendibilità dei mercati, separando la gestione della rete da quella dell’erogazione dei servizi. Tuttavia i servizi idrici sono poco contendibili, questo limita la possibilità di ricorrere a forme di concorrenza. Per quanto riguarda la determinazione delle tariffe, la regolamentazione dei prezzi delle imprese che gestiscono i servizi può avvenire in base a diversi criteri:

  • Cost plus: consiste nel far variare la tariffa in ragione di un incremento dimostrabile dei costi sopportati. Tuttavia, a causa dell’asimmetria informativa riguardante i costi di produzione, l’ente regolamentatore non è in sempre in grado di accertare le determinanti della variazione dei costi.
  • Rate of return: il criterio è basato sul tasso di profitto dell’impresa e fa si che questa fissi i prezzi in modo che il ricavo sia tale da coprire la somma dei costi variabili e degli ammortamenti, oltre a una quantità di profitto predeterminata, calcolata su capitale investito. La tariffa è T=k+π+cg, considerando: k = capitale investito da ammortizzare, π = rendimento del capitale investito, cg = costi di gestione. Anche in questo caso sono notevoli i problemi informativi: occorre conoscere i costi di investimento e di gestione.
  • Price cap: in base ad esso la variazione della tariffa avviene sulla base dell’indice dei prezzi al consumo diminuito di un tasso di produttività X garantito ex ante (tasso di crescita della produttività che il gestore si impegna a conseguire): Pt=pt-1(varizione P-X) cioè il prezzo applicato al servizio fornito è uguale al prezzo applicato nel periodo precedente, adeguato all’andamento dei prezzi meno l’incremento di produttività sotto forma di minor prezzo di servizio. Con questo metodo l’impresa è incentivata a ridurre i costi di gestione. Se il gestore aumenta la propria produttività ad un certo tasso maggiore di x, esso può godere di minori costi e quindi maggiori profitti. Se non riesce a raggiungere x avrà profitti minori o incorrerà in una perdita ma in nessun caso potrà aumentare le tariffe al di sopra di quanto previsto dal price cap.
  • Qualità risorse: la regolamentazione dei prezzi deve essere affiancata da un controllo efficace della quantità dei servizi erogati. Il problema della qualità è legato a quello degli investimenti, poiché miglioramenti di qualità dipendono da investimenti addizionali in rete. Occorre quindi tenere conto dei progetti di investimento previsti attraverso una specificazione (da parte del concedente servizio) sugli investimenti necessari, o chiedendo alle imprese concessionarie di presentare il proprio piano di investimenti.

La regolamentazione dei servizi idrici in Italia

Per quanto riguarda la gestione dei servizi idrici una norma di carattere innovativo è stata la legge Merli del 1976 che ha cercato di realizzare una effettiva pianificazione idrica, basandola sui seguenti aspetti:

  • Disciplina degli scarichi e criteri di utilizzazione
  • Organizzazione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione
  • Creazione di piani regionali di risanamento delle acque
  • Rilevamento delle caratteristiche qualitative e quantitative delle acque

Per quanto riguarda le norme più recenti è doveroso ricordare la legge Galli del 1994 che riordina la materia e si pone l’obiettivo della gestione integrata in ambiti ottimali dei servizi del settore mediante un servizio idrico integrato secondo tre principi cardine:

  • I nuovi servizi devono essere organizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO) definiti nel rispetto dell’unità dei bacini idrografiche, nel contempo, di dimensioni in grado di permettere una gestione ottimale sul piano della specializzazione tecnologica e della capacità di investimento; tale delimitazione spetta alle regioni;
  • In ogni ATO, il servizio idrico integrato deve gestire in maniera unitaria il ciclo completo dell’acqua, dalla captazione, alla distribuzione, alla fognatura fino alla depurazione in capo a un unico soggetto gestore per ATO
  • I soggetti gestori il Servizio idrico integrato devono attuare una gestione imprenditoriale dello stesso, con l’obbligo del raggiungimento dell’equilibrio economico – finanziario e con tariffe aventi natura di corrispettivo del servizio fornito.