Motivazioni degli investitori

Gli investitori operano sul mercato monetario per vari motivi. Innanzitutto, possono essere spinti dalla volontà di ricercare investimenti poco rischiosi: il basso rischio deriva dal fatto che gli emittenti sono di buona qualità e, in parte, anche dalla ridotta scadenza, che garantisce una liquidità naturale molto alta e una minore esposizione al rischio di interesse.

Una seconda motivazione può essere quella di “posteggio temporaneo”: in questo caso, la motivazione ultima non è quella di investire nelle attività meno rischiose presenti sul mercato, anzi, il vero fine è quello di investire in attività più remunerative. Tuttavia, in casi di eccessiva volatilità del mercato e di eccessiva incertezza interpretativa, gli investitori possono decidere di aspettare prima di prendere una decisione a lungo termine; in attesa che la situazione si calmi possono quindi decidere di mantenere il denaro in forma quasi liquida e comunque fruttifera, sebbene in misura minore. Non appena l’investitore avrà chiaro come agire, smonterà l’investimento monetario, sempre che non sia già scaduto, per occuparsi di investimenti più strutturati.

Classificazione per tipologia di emittente

–          TESORO: T-Bill = BOT (3, 6 e 12 mesi) metà fine mese

–          BANCHE: Operazioni (depositi) interbancarie P/T e Certificati di deposito

–          IMPRESE: Accettazioni bancarie e Cambiali finanziarie

Gli emittenti degli strumenti del mercato monetario possono essere suddivisi in tre principali categorie:

–          Tesoro (Stato);

–          Banche;

–          Imprese.

Lo strumento di mercato monetario per eccellenza è quello emesso dal Tesoro, il T-Bill, o BOT (Buoni Ordinari del Tesoro), con scadenza a 3, 6 o 12 mesi. Il Tesoro segue una scaletta nota e ricorsiva di emissione dei titoli di Stato: i BOT a scadenza 3 e 6 mesi vengono emessi ogni mese a metà mese; i BOT a scadenza 12 mesi vengono emessi ogni mese a fine mese. Vedremo le caratteristiche tecniche dei BOT parlando dei titoli obbligazionari, siccome i BOT, in realtà, rientrano in questa categoria.

I principali strumenti del mercato monetario emessi dalle banche sono tre:

–          operazioni (o depositi) interbancarie;

–          operazioni di pronti contro termine;

–          certificati di deposito.

Gli strumenti più utilizzato sono i primi due, mentre i certificati di deposito, soprattutto a causa del regime fiscale penalizzante del nostro Paese, vengono usati raramente.

I principali strumenti del mercato monetario emessi dalle imprese sono:

–          accettazioni bancarie;

–          cambiali finanziarie.

Questi strumenti non vengono usati da nessuna impresa italiana, dato che la normativa ha creato prodotti poco efficienti, non graditi né alle imprese emittenti né agli investitori. Ciò non significa che le imprese italiane non si finanzino a breve termine, ma semplicemente che non hanno un loro canale di mercato, perciò sono costrette a ricorrere al canale bancario e lo strumento principe da loro utilizzato è l’anticipo in conto corrente. Tuttavia, questo strumento non risulta ottimale, perché moto oneroso.

Nel resto del mondo, invece, lo strumento corrispondente alle cambiali finanziarie, che prende il nome di commercial paper, viene utilizzato molto frequentemente, grazie all’esistenza di un fiorente, liquido, efficiente e poco costoso mercato cui le imprese possono accedere. La mancanza di un mercato del genere costituisce un grosso handicap per le imprese italiane.

Depositi interbancari

Parlando di depositi interbancari incontriamo per la prima volta un mercato di dealer, in cui vale il principio del “two-way quotation system”, ossia si tratta di un mercato in cui, per ogni bene, vengono fissati due prezzi. All’interno di questo mercato troviamo un dealer che, scadenza per scadenza, presenta i prezzi a cui è disposto a raccogliere e a concedere depositi. Nel linguaggio comune, siamo abituati a pensare al deposito come al versamento in banca di una somma di denaro, oppure come alla banca che raccoglie denaro, perciò dobbiamo ricordare un passaggio terminologico: si parla di depositi passivi per indicare l’azione di “prendere liquidità”, mentre si parla di depositi attivi per indicare l’azione di “dare liquidità”.

Il tasso a cui il dealer raccoglie liquidità prende il nome di tasso denaro, o BID. Il tasso a cui il dealer concede liquidità, invece, prende il nome di tasso lettera, o tasso offer/ask in inglese. Le banche, quindi, sono clienti del dealer: se la banca ha liquidità in eccesso investirà presso il dealer, che la remunererà al tasso denaro; se la banca ha bisogno di liquidità, invece, si finanzierà presso il dealer al tasso lettera.

I tassi interbancari maggiormente conosciuti sono il tasso Libor e il tasso Euribor: il tasso Libor è il tasso a cui il mercato interbancario più importante al mondo, quello di Londra, offre liquidità in tutte le valute; il tasso Euribor è il tasso di riferimento per le operazioni interbancarie in euro e, tipicamente, viene fissato a Francoforte.

Il mercato interbancario, quindi, è un vero e proprio mercato di deposito, in cui i depositi concessi dalle banche sono vincolati anche se a scadenza brevissima. Il nome dei diversi depositi viene attribuito in funzione della durata: ad esempio, prendono il nome di overnight i depositi con scadenza a 12 ore. Tra gli altri, ricordiamo solo il tomorrownext, o tom-next, che si riferisce ai depositi con scadenza a 24 ore, ma a partire da t1, ossia dal giorno seguente.

I depositi interbancari sono un tipico strumento con cui le banche operano e il loro collegamento con i pagamenti è molto forte: infatti, la liquidità circola in funzione degli squilibri tra entrate e uscite, che si verificano a seguito delle operazioni svolte all’interno del sistema dei pagamenti. Se il mercato interbancario non esistesse, le banche sarebbero costrette a tenere in forma liquida una quota eccessiva dei depositi che raccolgono.

Il mercato interbancario, quindi, è uno strumento fondamentale per le banche, che a lungo l’hanno considerato una fonte inesauribile di denaro, qualora si presentasse la necessità di raccogliere liquidità. Questo ha portato le banche ad utilizzare il mercato interbancario in maniera sempre più intensiva e non più solo per la finalità con cui era nato, ossia bilanciare gli squilibri di liquidità, bensì anche per costruire un attivo immobilizzato, supportato da raccolta interbancaria anziché da raccolta stabile. In questo modo, la banche si trovavano ad avere operazioni poco liquide all’attivo a fronte di una raccolta molto liquida al passivo. Per questo, nel 2008, ha cominciato a diffondersi il timore che la qualità dell’attivo delle banche fosse degenerata molto e il mercato interbancario ha praticamente cessato la propria attività, dal momento che i vari istituiti bancari non si fidavano più l’uno dell’altro e, per finanziarsi reciprocamente, chiedevano interessi troppo elevati. Questo episodio ebbe gravi ripercussioni sulle banche, cosa che mette in evidenza l’importanza del mercato interbancario: se questo mercato non funziona correttamente può mettere in crisi le modalità attraverso cui le banche reggono la propria attività.

Il mercato interbancario è un mercato spontaneo, organizzato dagli intermediari stessi, e nel nostro Paese funziona in maniera eccellente, tanto che il modello italiano è stato esportato anche in altre realtà. Il modello italiano prende il nome di e-MID ed è costituito da una piattaforma telematica in cui i prezzi vengono quotati e gli operatori che hanno liquidità da dare/prendere possono interfacciarsi. Il sistema e-MID, come tutti i sistemi interbancari italiani, è strettamente collegato con il sistema dei pagamenti, in particolare con il segmento BI-REL, dal momento che la liquidità deve arrivare immediatamente, operazione per operazione. È anche opportuno ricordare che i vari sistemi REL a livello europeo sono collegati tra loro: le banche italiane non si rapportano solo tra di loro per dare o prendere denaro, ma, tendenzialmente, gli scambi avvengono tra tutte le banche dell’area euro, che quindi devono essere fortemente connesse l’una con l’altra.

Pronti contro Termine (P/T)

Dal punto di vista del funzionamento, i Pronti contro Termine seguono lo schema delle operazioni di Pronti contro Termine che hanno luogo quando le banche hanno bisogno di rifinanziarsi presso la Banca Centrale, con la differenza che le controparti dell’operazione sono una banca e un soggetto diverso dalla Banca Centrale, che può essere un’altra banca o un operatore non finanziario.

Il termine P/T, o REPO (Repurchase Agreement) in inglese, sta ad indicare due operazioni di segno contrario, una a pronti e una a termine. Quindi, l’operazione di P/T è un’operazione di vendita (o di acquisto) di titoli a pronti e, contestualmente, di acquisto (o di vendita) di titoli della stessa specie a termine. Il riacquisto (o la vendita) a termine viene effettuata al prezzo stabilito oggi, a pronti.

Si parla di acquisto di un P/T quando si acquista liquidità, ossia quando si vende il titolo a pronti e lo si riacquista a termine. Si parla invece di vendita di un P/T quando si vende liquidità, ossia quando si acquista il titolo a pronti e lo si vende a termine. Ciò che interessa è il tipo di posizione contrattuale che si va ad assumere.

I P/T sono da sempre operazioni importanti per le banche, ma, dal 2008, quando le banche hanno cominciato a fidarsi meno l’una dell’altra, hanno acquistato ancora più importanza.

Il titolo che sta alla base dell’operazione di P/T svolge il ruolo di garanzia: in un’operazione di questo tipo, il rischio di credito ricade sul venditore (ossia chi ha concesso liquidità e ha acquistato il titolo), perché l’acquirente (ossia chi ha comprato liquidità e venduto il titolo) potrebbe non essere in grado di rimborsare la somma dovuta alla scadenza, ossia di riacquistare il titolo. Se questa situazione si verifica, i titoli restano di proprietà del venditore, in modo da tutelare maggiormente chi ha concesso liquidità.