Funzione obiettivo degli investitori e dei prenditori di fondi

Dopo aver analizzato gli strumenti che possono essere utilizzati per soddisfare il bisogno di finanziamento/investimento, bisogna capire quali sono le variabili rilevanti per gli investitori, quando devono decidere come allocare il proprio denaro, e per i prenditori, quando devono decidere quale strumento utilizzare per ottenere denaro.

Investitori

Per un investitore, la scelta del modo migliore per allocare il proprio denaro è funzione di due variabili principali: il rischio, collocato sull’asse delle ascisse, e il rendimento, collocato sull’asse delle ordinate. La scelta di posizionare il rischio sull’asse delle ascisse e il rendimento sull’asse delle ordinate caratteristica dei possibili investimenti, assunto. È infatti abbastanza intuitivo interessi alti agli investitori se non li rischiose. non è arbitraria, ma dipende da una precisa ossia il fatto che il rendimento è funzione del rischio che nessun prenditore sarebbe disposto a pagare coinvolgesse in operazioni potenzialmente molto.

Per capire come si comporta un investitore, immaginiamo che esistano tre titoli con le seguenti caratteristiche.

Il titolo A e il titolo B presentano lo stesso livello di rischio, ma B offre un rendimento superiore. In una situazione del genere, nessun investitore sceglierebbe il titolo A, e questo ci porta ad enunciare il primo principio della teoria finanziaria.

– Principio di non sazietà: a parità di altre condizioni (rischio), i risparmiatori sceglieranno il titolo che offre un rendimento più alto (preferisco il “più” al “meno”). B>A.

Tuttavia, in un mercato che funziona correttamente, chi è in possesso del titolo A cercherà di venderlo per comprare il titolo B; in questo modo il prezzo di B sale e il suo rendimento scende, mentre il prezzo di A scende e il suo rendimento sale. Perciò, si parte da una condizione di squilibrio di partenza per arrivare all’equilibrio.

Ora confrontiamo il titolo B con il titolo C: i due titoli hanno lo stesso rendimento, ma il titolo C è più volatile, più incerto. In una situazione di questo tipo, la stragrande maggioranza degli investitori considererà C un titolo peggiore rispetto a B, dato che generalmente il rischio è considerato una componente negativa. Questo ci porta ad enunciare il secondo principio della teoria finanziaria.

– Principio di avversione al rischio: a parità di altre condizioni (rendimento), gli investitori sceglieranno il titolo che presenta il minor grado di volatilità. B>C.

Come abbiamo detto, questo principio caratterizza la maggioranza degli investitori, ma vi sono alcune eccezioni. Esistono soggetti che vengono definiti neutrali al rischio, in quanto l’unica variabile che interessa loro è il rendimento: per soggetti del genere, i titoli B e C sarebbero equivalenti. Infine, vi sono soggetti che vengono definiti propensi al rischio o amanti del rischio, che saranno addirittura disposti a pagare pur di rischiare (tipicamente, i giocatori d’azzardo): per questi soggetti, il titolo C sarà preferibile al titolo B.

Adesso consideriamo il titolo A e il titolo C. Il titolo A presenta poco rischio ma offre anche poco rendimento; il titolo C, al contrario, presenta un alto livello di rischio ma offre anche un rendimento notevolmente superiore. In questo caso, la scelta dipenderà dalla funzione di utilità di ciascun investitore, ossia dal modo in cui ogni soggetto prezza il rischio. In generale, dipenderà tutto dall’investitore e dal suo grado di avversione al rischio. Definiremo il differenziale di rendimento, RC – RA, premio per il rischio: se l’investitore considera il premio più che adeguato al rischio sceglierà il titolo C, se lo considera non adeguato al rischio sceglierà A, mentre se considera il premio perfettamente proporzionato al rischio, il titolo A e il titolo C saranno per lui equivalenti.

Vi è poi una terza variabile che rientra nella funzione obiettivo dell’investitore: la liquidità. La liquidità è definita come l’insieme dei tempi e dei costi necessari per trasformare l’investimento in moneta. Un investimento, infatti, è sempre un’immobilizzazione del risparmio.

La liquidità può essere declinata in varie tipologie:

– liquidità naturale (scadenza): tanto più è breve la vita residua del titolo, tanto più alta è la sua liquidità naturale;

– liquidità secondaria (mercato): la liquidità secondaria dipende dal fatto che ci siano o meno mercati efficienti in cui gli investimenti possono essere smobilizzati velocemente e senza grandi variazioni di prezzo.

A parità di altre condizioni, l’investitore preferirà titoli più liquidi, dal momento che la liquidità è, in qualche modo, una particolare tipo di rischio.

Mettendo insieme queste tre variabili, andiamo a descrivere le diverse tipologie di investimento.

Fonti di rischio (tipologie di investimento)

Procedendo per livelli crescenti di rischio, e conseguentemente anche di rendimento, possiamo individuare diverse tipologie di investimento.

Lo strumento che, convenzionalmente, costituisce il punto di partenza ed è considerato a zero rischio è il Risk Free (RF). Questo strumento prende anche il nome di BOT (Buoni Ordinari del Tesoro), in Italia, o di T-Bill (dove T sta per Tresury, mentre Bill è il termine usato per indicare le obbligazioni a breve scadenza) nel resto del mondo. Si tratta di titoli di investimento con scadenza inferiore o uguale ai 12 mesi. Dal momento che questo strumento è considerato a zero rischio bisogna chiedersi perché preveda una remunerazione. La ragione è che, in realtà, esiste una componente insita di rischio: dal momento che viene remunerato il valore nominale, il rischio è l’inflazione attesa. Perciò, la prima fonte di rischio è:

rischio di inflazione: variazione del livello generale dei prezzi

Tuttavia, affinché un investitore si lasci convincere ad utilizzare il denaro per acquistare questo titolo anziché altri beni, è necessario che esso non gli garantisca solo la possibilità di comprare lo stesso quantitativo di beni alla scadenza, ma che gli dia anche un minimo di incentivo, ossia un po’ di rendimento reale. Perciò, il poco rendimento che i BOT offrono può essere distinto in due componenti: remunerazione per inflazione e remunerazione reale.

Ad un livello leggermente superiore rispetto ai titoli di Stato a breve termine, troviamo i depositi bancari a scadenza equivalente. Il motivo per cui una banca, che raccoglie denaro alla stessa scadenza del governo, è tenuta a remunerare gli investitori in maniera maggiore è che questo tipo di investimento presenta anche una seconda componente di rischio:

rischio di credito, o di insolvenza

Salendo ancora, troviamo i titoli di Stato a scadenza prolungata, che in Italia vengono definiti BTP (Buoni del Tesoro Pluriennali), mentre a livello internazionale prendono il nome di T-Bond. Si tratta di titoli di investimento con scadenza compresa tra i 5 e i 30 anni. L’emittente dei T-Bond è lo stesso dei T-Bill e, in una situazione sufficientemente stabile, lo Stato risulta praticamente privo di rischio di insolvenza. Il motivo per cui i T-Bond devono essere più remunerativi dei T-Bill è che presentano un’ulteriore componente di rischio, direttamente collegata alla scadenza prolungata:

rischio di liquidità (naturale)

I T-Bond sono inoltre caratterizzati da un’ulteriore componente di rischio, anch’essa legata alla scadenza prolungata. A tale proposito, bisogna ricordare che i BTP sono titoli a tasso fisso, ossia stabilito l’importo della cedola, l’emittente continuerà a pagare tale importo su base annua, fino alla scadenza. Tuttavia, i tassi di interesse di mercato variano, quindi è possibile che il titolo paghi sempre lo stesso importo, sebbene il tasso di interesse di mercato sia salito. Perciò, i titoli a lunga scadenza sono sottoposti anche al:

rischio di interesse

Procedendo ancora, troviamo la categoria dei Corporate Bond che, a livello di scadenza, è confrontabile con quella dei BTP, dai quali però si differenzia per emittente: in questo caso si tratta di imprese. Il motivo per cui un titolo emesso da un’impresa debba rendere di più rispetto a un BTP con la stessa scadenza è lo stesso che determinava una maggiore remunerazione dei depositi bancari rispetto ai BOT, ossia la componente de rischio di credito.

In realtà, è opportuno ricordare che, tra le imprese, esistono prenditori di fondi molto sicuri e prenditori di fondi meno sicuri. Per capire quanto rischio di credito sta assumendo, un investitore deve valutare il rating dell’impresa che emette il titolo.

In particolare, è previsto uno spartiacque, dato dal livello di rating BBB: tutto ciò che sta sopra alla tripla B prende il nome di Investment Grade, mentre ciò che sta sotto prende il nome di Speculative Grade. Ciò significa che, acquistando un titolo emesso da un impresa con un rating superiore o uguale alla tripla B, un investitore compie una scelta di investimento, dal momento che la probabilità di insolvenza dell’impresa che emette il titolo è ancora totalmente sotto controllo. Al contrario, investendo in un titolo emesso da un’impresa con un rating inferiore alla tripla B, i rischi potenziali aumentano, e si entra perciò in un’ottica più speculativa. Oltre alla minore probabilità di fallimento, un’impresa con rating superiore alla tripla B avrà anche un ammontare attivo tale da poter assicurare il pagamento degli investitori anche in caso di fallimento.

Salendo ulteriormente, troviamo le azioni “Blue Chps”, ossia i titoli azionari delle società più grandi e più negoziate (in Italia sono, ad esempio, l’ENI, l’ENEL, la Fiat, l’Unicredit). Le azioni emesse da queste società, pur essendo estremamente sicure dal punto di vista del rischio di credito, remunerano maggiormente gli investitori proprio in quanto azioni. Infatti, gli azionisti, a differenza degli obbligazionisti, non hanno diritto al rimborso: essi vengono definiti residual claimants, il che significa che vengono pagati solo in maniera residuale, dopo il pagamento di tutti gli obbligazionisti. La nuova componente di rischio che individuiamo è:

rischio di prezzo: il prezzo delle azioni varia e, non essendo prevista liquidità naturale, più il prezzo è volatile e meno gli investitori sono in grado di prevedere quale ammontare ricaveranno dalla vendita

Salendo ancora di livello, troviamo la categoria delle azioni emesse dalla piccole e medie imprese. In realtà, sarebbe opportuno distinguere tra piccole e medie imprese quotate e non quotate, che appartengono alla categoria di Private Equity. Rispetto alle azioni “Blue Chips”, queste azioni non presentano nuove componenti di rischio, ma vedono enfatizzati tutti i rischi individuati in precedenza: una società piccola è molto più rischiosa sia dal punto di vista del rischio di insolvenza, sia dal punto di vista del rischio di liquidità (se l’impresa non è quotata, un investitore che intende vendere le azioni emesse da questa impresa dovrà trovare un compratore sul mercato privato), sia dal punto di vista della volatilità del prezzo.

Ancora oltre troviamo i titoli in valuta estera. In questo caso, a tutti i rischi base, si aggiunge un’ultima componente di rischio:

rischio di cambio

I tassi di cambio e i prezzi dei mercati azionari tendono ad avere lo stesso livello di volatilità, mentre i tassi di interesse sono meno volatili.

Prenditori di fondi

Per quanto riguarda i concetti di base, i prenditori di fondi sono grosso modo la figura simmetrica degli investitori. Se un investitore ricerca il massimo rendimento a fronte del minimo rischio, un prenditore di fondi ricercherà il minimo costo a fronte del minimo rischio: massimo rendimento e minimo costo sono, ovviamente, due facce della stessa medaglia.

Un prenditore di fondi, quindi, non sceglierà lo strumento con cui finanziarsi solo sulla base del costo, ma anche sulla base dei rischi, che però non sono speculari rispetto a quelli degli investitori. Ragionando su finanziamenti a medio – lungo termine, in cui il denaro rimane vincolato per un periodo di tempo abbastanza lungo, il rischio passa per la capacità del prenditore di fondi di controllare tutta una serie di aspetti contrattuali. In particolare ricordiamo:

– la durata: il prenditore di fondi deve valutare se lo strumento con cui si finanzia garantisce con sicurezza che il denaro sarà a sua disposizione per una durata di tempo stabilita. Se il prenditore di fondi non controlla il finanziatore, egli potrà decidere, in qualunque momento, di ritirare il finanziamento;

– il costo: bisogna valutare se è il prenditore di fondi o il finanziatore a stabilire il costo complessivo del finanziamento;

– la governance: il prenditore di fondi deve valutare quanto lo strumento emesso può influenzare l’assetto proprietario dell’impresa.

Procedendo per categorie, esistono tre principali forme attraverso cui un prenditore può ottenere dei fondi: obbligazioni; finanziamenti bancari; azioni.

La seguente tabella mostra il controllo dell’impresa sulla durata, sul costo e sulla

governance per ciascuna tipologia:

 

OBBLIGAZIONI

 

FINANZIAMENTI

BANCARI

 

AZIONI

 

DURATA

 

MEDIO – ALTO  MEDIO – BASSO  ALTO

COSTO

 

BASSO  MEDIO -ALTO  ALTO 

GOVERNANCE

 

MEDIO – ALTO  MEDIO – BASSO  BASSO

Durata:

– per quanto riguarda le azioni non è prevista una scadenza, perciò il controllo sulla durata sarà massimo;

– le obbligazioni prevedono che l’emittente rimborsi il denaro ricevuto alla scadenza. Tuttavia, quando il titolo viene emesso, gli obbligazionisti tendono a considerare se il contratto prevede o meno condizioni che permettano di chiedere il rimborso anticipato in caso di eventi imprevisti. Perciò, in condizioni normali il controllo sarà alto, ma l’impresa non sarà mai in grado di prevedere tutto;

– i finanziamenti bancari sono strumenti di tipo bilaterale, in cui, normalmente, la banca finanziatrice inserisce la clausola “salvo revoca” o “fino a revoca”. Il diritto di revoca può essere esercitato sulla base di criteri oggettivi, ma, in una situazione come quella attuale, viene esercitato molto pesantemente. Il controllo sarà perciò medio in momenti di stabilità e basso in momenti di criticità.

– per quanto riguarda le obbligazioni, il controllo sul costo è praticamente inesistente, perché il prenditore di fondi pagherà la cedola stabilita fino a scadenza;

Costo:

– i finanziamenti bancari, generalmente, sono più flessibili dal punto di vista dei costi rispetto alla raccolta obbligazionaria: le imprese, normalmente, ottengono linee di credito revolving e gli interessi sono pagati soltanto sulla quota utilizzata. Tuttavia, il livello di controllo non è massimo perché, alla fine dei conti, il tasso di interesse è stabilito dalla banca;

– il costo della azioni, invece, è controllato in maniera totale, dato che i dividendi saranno pagati soltanto se viene realizzato un utile e se l’impresa decide di distribuire quell’utile.

Governance:

– l’emissioni di azioni provoca un cambiamento della struttura del passivo in maniera definitiva: gli azionisti entrano di diritto al comando delle imprese, perciò l’impatto sulla governance sarà massimo, mentre il controllo da parte dell’impresa sarà minimo;

– le obbligazioni, per una serie di ragioni contrattuali, hanno un impatto sul passivo solo temporaneo, che si esaurisce al momento del rimborso. Ciò che bisogna valutare, quindi, è l’impatto sulla governance prima del rimborso: gli obbligazionisti, generalmente, sono tanti e piccoli e difficilmente riusciranno ad accordarsi per impattare significativamente sulla governance, perciò il controllo dell’impresa sarà piuttosto alto;

– se l’impresa ottiene fondi attraverso i finanziamenti bancari e la situazione comincia a non essere favorevole, la banca ha un maggiore potere di controllo sulle imprese, ossia potrà premere affinché adotti determinati comportamenti. L’impresa, quindi, non eserciterà un controllo totalmente basso, ma quantomeno medio – basso.