Il rischio

“Come gestire i rischi?”

  1. Alcuni si riconoscono e si evitano, ma questa non può essere una risposta generalizzata: se la banca non rischia non fa affari.
  2. (NB) Si assumono e si prezzano interamente, ovvero vengono coperti dai ricavi attraverso il pricing: una parte di ricavi alimenterà il fondo rischi (ovvero: il P deve incorporare il rischio).
  3. Si assumono e si riducono: si cerca di contenerli, ad esempio attraverso i controlli ed i meccanismi organizzativi, oppure mediante logiche di portafoglio come la diversificazione (NB).
  4. Si trasferiscono o coprono mediante la stipulazione di contratti assicurativi oppure operando sul mercato dei derivati o attraverso la securitisation.
  5. Si possono condividere in Pool. Si condivide il rischio con altri, come accade per esempio con i fidi multipli.

L’evoluzione del contesto del business ha aumentato i rischi esistenti e ne ha generati di nuovi. Il rischio strategico è molto più importante oggi di ieri, perché il mercato è instabile.

1a classificazione dei rischi. I rischi si dividono in 2 grandi categorie:

    1. rischio puro: il suo verificarsi produce un danno alle economie dei soggetti esposti ai rischi stessi. È fronteggiabile mediante assicurazione. È da evitare o minimizzare (chiaramente se la copertura costa più del rischio preferisco tenerlo).
    2. rischi speculativi: sono quelli che possono anche portare vantaggi: anche il rischio favorevole è definito rischio. Esempio: il rischio di un’azione è la perdita di valore dell’azione stessa, che, tuttavia, può anche aumentare.

Emerge così il concetto contro-intuitivo del rischio finanziario favorevole. Tuttavia, non è detto che, se un’azione aumenta, ciò dia sempre luogo a rischi favorevoli: se un’azione guadagna meno del previsto genera comunque un rischio sfavorevole.

Nozione di rischio

(NB) La variabilità del rendimento è la misura del rischio. Il prezzo è una variabile casuale. Ciò considerato, il rischio è la diversità tra rendimento ex post e rendimento ex ante, tra rendimento ottenuto/effettivo e rendimento previsto/atteso. Questi è un secondo concetto contro-intuitivo. Partendo da una definizione di rischio molto aggregata, tralasciando il rischio di impresa, collegandoci alle nozioni di equilibrio patrimoniale, finanziario e reddituale, possiamo riconoscere una classificazione dei rischi

2a classificazione dei rischi:

  1. Il rischio reddituale o rischio economico: è rappresentato dalla possibilità o eventualità che il risultato economico/l’utile/il reddito/il ROE non corrisponda alle aspettative del soggetto economico. Un ROE positivo ma minore di quello atteso o di quello di settore è un rischio reddituale. Rischio reddituale non significa soltanto perdita!
  2. Il rischio patrimoniale: è l’eventualità che la dimensione dei mezzi propri si discosti da quella ottimale. Anche qui ragioniamo in modo speculativo, non vedendo i rischi solo nella loro accezione estrema, bensì di variabilità di scostamento rispetto all’optimum. Siamo in una situazione di rischio patrimoniale anche quando i mezzi propri sono eccessivi: superiori al livello necessario. Certamente ciò non porta all’insolvenza, e va benissimo alle autorità di vigilanza, ma non va bene alla gestione, perché la proporzione mezzi propri/remunerazione non è ottimale. Avere pochi mezzi propri porta all’insolvenza e questo sarebbe certamente peggio che avere un ROE basso (perché sono presenti troppe equity). Ovviamente la vigilanza si occupa del rischio di insolvenza, mentre il management deve stare attento anche alla bassa redditività dovuta ad un eccesso di mezzi propri.
  3. Il rischio finanziario è il rischio di liquidità o di convertibilità dei depositi (ricorda il vincolo di convertibilità). È l’asincronia o lo squilibrio tra flussi finanziari, in entrata ed in uscita, prodotti dalla gestione, che compromettono la capacità della banca di far fronte tempestivamente ed economicamente ai propri impegni di pagamento. È tipico degli intermediari finanziari, ma, nonostante ciò, non viene percepito, grazie alla fiducia della collettività nei confronti delle banche. Da cosa dipende?
    • dal verificarsi degli altri rischi
    • mismatch di scadenza: le passività sono più a breve delle attività.
    • dalla discrezionalità dei comportamenti della clientela (soprattutto nel caso delle banche). Per esempio, per tutti i crediti a vista, l’impatto sulla liquidità dipende dai comportamenti della clientela, che può prelevare molto o utilizzare molto il fido (generando ampi flussi in uscita). Anche i rimborsi anticipati dei mutui generano problemi di liquidità.
    • la fiducia nella politica monetaria: più è forte, minore è il rischio di liquidità per la banca.

Strumenti per fronteggiare il rischio di liquidità:

    • la funzione monetaria
    • riserve di liquidità di 1a (denaro in cassa) o 2a linea (i titoli sono di 2a linea perché non sono immediatamente liquidi)
    • indebitamento
    • alto grado di capitalizzazione: maggiore è l’eccesso delle attività sulle passività minori saranno le tensioni di liquidità.
    • Pianificazione dei flussi finanziari: budget di cassa; la programmazione consente di ridurre la necessità delle riserve.
    • Strumenti di gestione degli altri rischi: riducendo gli altri rischi si riduce anche il rischio di liquidità. Per esempio, la diversificazione, oltre ad essere una politica dei prestiti ed un principio di gestione dell’attività in prestito o in titoli, è anche uno strumento di gestione del rischio di liquidità.

Ora scendiamo di un livello nella classificazione dei rischi e giungiamo ad uno stadio più analitico (il rischio di liquidità può rientrare anche qui).

3a classificazione dei rischi:

Rischio di insolvenza della controparte: è quello tipico dell’intermediario creditizio. Si può definire come l’impatto sugli equilibri e soprattutto sul reddito, conseguente all’insolvenza di chi ha stipulato un contratto con la banca. Un esempio classico è il fallimento. Il più importante di questi rischi di insolvenza è, naturalmente, il rischio di credito, ovvero il rischio che il debitore (l’impresa) non sia in grado di rimborsare capitale ed interessi maturati. Non è detto che sia un’insolvenza totale. È palese che questo abbia un impatto sulla liquidità. In senso lato, il rischio di credito può essere definito non come rischio di insolvenza, ma come rischio di downgrading, cioè di peggioramento del merito creditizio e del rating. Il rischio c’è anche se non c’è insolvenza. Facciamo un esempio. Se un’impresa ha rimborsato il prestito, ma ha avuto un tracollo di rating, questo fatto verifica un peggioramento della qualità creditizia, perché prima si era fissato un tasso, e, successivamente, al peggiorare della situazione, il tasso è rimasto invariato. Il rischio di credito ha 2 componenti: i. Rischio di prima linea: rischio di insolvenza o fallimento. Dipende esclusivamente dalla qualità di credito del debitore e dalla sua capacità di reddito e prescinde dalle forme tecniche e dalle condizioni contrattuali. ii. Rischio di seconda linea: probabilità che, una volta saltata l’impresa, non si recuperi il prestito. Dipende dalla garanzia (es.: ipoteca): dalle forme tecniche e dai diritti accessori. Dipendendo anche dalla garanzia, il rischio può essere diverso anche a parità di capacità di reddito. Una volta definite queste due linee, va da sé che la gestione deve essere oculata nella differenziazione, in modo ottimizzante: il trade-off deve essere optimum. Sarà necessario chiedere garanzie forti con forti rischi di default. Bisognerà abbassare il secondo argine quando il primo è alto. A parità di qualità del debitore, sarà necessario alzare il secondo argine se l’economia è in espansione (e viceversa). Questo mette in forte discussione le politiche indiscriminatamente garantiste delle banche: è errato chiedere sempre e comunque una garanzia alta. Questa è una grave critica rivolta alle banche italiane. In un mercato concorrenziale l’eccesso di garanzia fa perdere clienti: ciò genera rischio competitivo. Ultima considerazione sul rischio creditizio: l’importanza del capitale nelle logiche di risk management. Il rischio creditizio, in realtà, non è dato dalla perdita attesa (cioè dal prodotto delle AD x PD x LGD). Come anticipato, il rischio è la differenza tra valore conseguito ed atteso. Questo implica che la migliore stima del costo del rischio è la expected loss (perdita media attesa), che va considerata quale costo (come se fosse certa). La si copre alzando il tasso di interesse: i ricavi devono coprire il rischio! Il tasso di interesse deve essere alzato di una quota definita “premio per il rischio (va accantonato anche se il rischio non si manifesta, non è un utile!). Il rischio è la probabilità che si manifesti la perdita ex post diversa dalla perdita ex ante, cioè che il costo per il rischio effettivo che si manifesterà sia maggiore del valore medio atteso. La parte non coperta dai ricavi genera la perdita. Da cosa dipende, allora, il fallimento della banca? Dall’equity (azione): la perdita si assorbe mediante un ribasso delle azioni. La perdita diventa, quindi, una diminuzione di capitale netto. Se si è privi di riserve e capitale sociale, per cui la perdita azzera l’equity e tocca i depositi, la banca fallisce. In formula:

Unexpetced loss = Worst caseexpected lossóla perdita inattesa è uguale al caso peggiore meno la perdita attesa. ia = ip + COU + EL% + E% tasso attivo sul prestito = tasso passivo + costi operativi unitari + perdita attesa in % + azioni in %. Bisognerebbe poi dividere il tutto per la quota che recupero: 1 – EL. Altri rischi di insolvenza diversi dal rischio di credito sono: i. il rischio Paese, collegato non al merito creditizio del debitore, ma alle moratorie internazionali: si manifesta quando la controparte è inadempiente per cause estranee alla propria volontà e indipendenti dalla propria situazione economico-finanziaria, ma addebitabili a fenomeni che riguardano il Paese di residenza della controparte (es.: crisi valutaria). ii. Il rischio di regolamento: si manifesta nel caso in cui la controparte non è in grado di far fronte al pagamento alla scadenza del contratto, mentre la banca ha già provveduto a far fronte alle proprie obbligazioni nei confronti della controparte. iii. Il rischio di sostituzione: si manifesta nel caso in cui il cliente non sia in grado di adempiere ai termini del contratto e costringa la banca a rimpiazzare il contratto a costo di mercato (implica un rischio di mercato oltre ad un rischio di credito).

  1. rischio di mercato (li approfondiremo successivamente):
    1. dei valori mobiliari
    2. delle commodities
    3. variazione dei tassi di cambio
    4. entità e segno della posizione in cambi (a pronti ed a termine) (rischio di cambio sul capitale)
    5. differenza tra ricavi e costi finanziari in valuta (rischio di cambio sugli interessi)
    6. rischio di interesse sono accomunati dall’esposizione al rischio di variabilità del mercato
    7. rischio di prezzo:
    8. rischio di cambio (non lo approfondiremo), che dipende da: i. sia in conto capitale: nello Stato patrimoniale si ha un mismatch o gap in valuta (esempio: attività in $ e passività in €). ii. sia in linea economica: il problema è sui tassi di interesse.

Su alcune posizioni, il cambio di tasso genera un rischio tipicamente speculativo (+ o -). È una variabile esogena, non controllabile e generalizzata. L’indice di borsa è la media dei prezzi delle azioni, quindi esprime in modo sintetico l’andamento del mercato di borsa. Chi ha in portafoglio azioni subisce il rischio di mercato.

  1. rischio strategico: è il rischio di errori nella strategia relativamente agli andamenti dei mercati (il c.d. rischio di business): non prevedere che il mercato sarà avverso è un errore strategico (es.: scoppia la bolla).
  2. rischio di reputation o di immagine: le accuse rivolte alle banche sugli scandali finanziari Cirio, Parmalat etc. hanno scatenato un forte rischio di questo tipo.
  3. Rischio operativo: l’impatto è sempre negativo, in quanto rischio puro: esistono diverse definizioni di rischio operativo; vediamone alcune:
  • l’impatto sugli utili in conseguenza ad una variazione dei ricavi, che dipende dalla rigidità della struttura di costo. Mentre i ricavi sono tutti variabili, per quanto riguarda i costi esistono anche quelli fissi.

↑rigidità → ↑rischio.

  • Volatilità degli utili non connessa all’esposizione sui mercati finanziari o all’erogazione di crediti.
  • rischio causato da problemi nei processi di lavorazione delle transazioni o nei sistemi che li supportano. Questo include errori, difetti di progettazione, omissioni, caduta dei sistemi, disastri naturali, atti deliberati quali frodi e atti terroristici.
  • rischio che lacune nei sistemi informativi o nei controlli interni possano portare delle perdite inattese. Il rischio è associato a errori umani, errori nei sistemi, procedure e controlli inadeguati.
  1. rischio di inflazione: deriva dagli effetti sugli utili conseguenti all’inflazione (il livello dei Prezzi); l’inflazione colpisce i bilanci, composti di attività e passività.
  2. Rischio di portafoglio: è il rischio di variabilità di rendimento degli utili, che tiene conto dell’effetto diversificazione (quindi non è riferito alle singole attività).

Il rischio complessivo di un portafoglio di AF non coincide con la media ponderata dei singoli rischi, ma è direttamente proporzionale al grado di correlazione tra i rischi delle singole attività.
  1. rischio di leva operativa: malfunzionamento dei processi dell’organizzazione.
  • Consiste negli effetti di ordine economico dovuti ad una variazione dei volumi lavorati e dei relativi ricavi, a fronte di una struttura di costo rigida.
  • Dipende dal peso relativo delle attività reali (rispetto ai mezzi propri ed al totale di bilancio) e dalla flessibilità del fattore lavoro.
  • È un rischio molto eterogeneo: è un aggregato difficilmente modellizzabile e quantificabile. Ad esempio, prima dell’11 settembre la probabilità di un attacco terroristico era difficile da prevedere.
  • È rappresentato da eventi esterni negativi che compromettono il buon funzionamento dell’organizzazione.
  • A differenza dei rischi di mercato o di credito, deriva più da fattori interni che esterni. Una delle cause più frequenti, infatti, è il basso livello dei controlli interni. I più grandi dissesti che le banche hanno subito sono derivati sempre da rischi operativi. Es.: un operatore bancario aveva speculato in derivati, sino a poter comprare una banca ad 1$. Apparentemente è un rischio di mercato, ma questo operatore aveva, in realtà, ecceduto i limiti di autonomia, eludendo i controlli interni.
  1. rischio cliente: rischio di perdita di parte della clientela (talvolta è inserito nel rischio operativo).

La vigilanza, con l’approccio di Basilea, cerca di quantificare i rischi e richiede equity sufficienti a coprirli (capital adequacy e capital ratios). Il sistema dei controlli interni è un approccio qualitativo: si chiede alle banche di dotarsi di organi e procedure che garantiscano il controllo.