L’elusione

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LA NOZIONE DI ELUSIONE

L’evasione è un illecito (amministrativo o penale) realizzato ponendo in essere un presupposto d’imposta, ma si occultandolo al Fisco (esempio in una vendita senza emissione di fattura). Il risparmio d’imposta è il risparmio fiscale realizzato lecitamente (entro le regole dell’ordinamento) derivante dalla pianificazione temporale dei propri atti economici al fine di minimizzare l’imposta dovuta (il tax – planning – esempio la legge non può imporre di pagare le spese mediche, che sono deducibili per cassa, nell’anno in cui comporterebbero una maggiore imposta). L’elusione può essere definita come forma di “risparmio fiscale” che è conforme alla lettera ma non alla ratio del tributo: il contribuente che elude, elude una norma impositiva (più onerosa) e ne applica abusivamente un’altra (più favorevole). L’elusione può consistere nella riduzione dell’imposta o nella fruizione indebita di un’agevolazione (esempio un rimborso non dovuto, un esenzione, una detrazione, eccetera).

MEZZI ANTI-ELUSIVI

L’elusione non è contemplata dal nostro ordinamento, ma è ormai consolidato il principio anti – elusione elaborato dalla giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia. All’elusione fiscale non si applica il precetto civilistico dell’art.1344 c.c. (il contratto in frode, che si risolve con la nullità) ed il contratto posto in essere per eludere norme fiscali non è invalido – in quanto la giurisprudenza ritiene che le norme imperative a cui si riferisce l’articolo siano esclusivamente quelle civilistiche. Non è invece escluso che si debba applicare la sanzione civilistica alle operazioni realizzate con negozi civilisticamente viziati. L’elusione è, invece, impedita con interpretazione estensiva della norma impositiva, o con la corretta riqualificazione dei contratti posti in essere a fini elusivi – facendo così emergere, al di là dell’apparenza formale, la vera sostanza dei negozi posti in essere.

TIPOLOGIA DELLE NORME ANTI-ELUSIVE

Vi sono norme a contenuto espressamente anti-elusivo, che collegano particolari poteri dell’amministrazione a fattispecie qualificate come elusive; altre di anti-elusività non esplicita ma che risiede nella ratio (e possono essere di più diversa specie o natura): un esempio delle prime è quella sul “transfert price” in base alla quale nei trasferimenti infra-gruppo è rilevante fiscalmente non il prezzo pattuito ma il valore nominale. Con le norme espressamente anti-elusive il legislatore non modifica le ordinarie norme impositive ma attribuisce all’amministrazione finanziaria il potere di qualificare una determinata operazione come elusiva, qualora si verifichino determinati presupposti.

DISPOSIZIONE ANTI-ELUSIVA NELL’IMPOSTA SUI REDDITI

Ai sensi del D.P.R. 600/1973 Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”. Pertanto l’elusione assume rilievo quando sussistono contemporaneamente tre condizioni:

  • sia stata posta in essere una o più operazioni prive di valide ragioni economiche (la norma riecheggia la giurisprudenza statunitense per cui ogni operazione economica deve avere “economic sub stance” ed uno scopo d’affari, un “business purpose”, diverso dal risparmio d’imposta);
  • vi sia l’aggiramento di un obbligo o divieto; ossia l’aggiramento dell’obbligo di assoggettare in modo appropriato all’imposta i redditi connessi ad una data operazione con riferimento ad una norma specifica; il divieto va inteso come incorretta applicazione di una norma che prevede vantaggi al contribuente (agevolazioni, eccetera) – e non è richiesto vi sia abuso delle norme civilistiche ma solo di quelle tributarie;
  • sia stato conseguito un vantaggio fiscale, altrimenti indebito (ed in questo caso occorre un confronto tra il regime fiscale cui è soggetto il comportamento posto in essere e quello connesso al trattamento evitato – non vi è elusione se non vi è risparmio d’imposta).

Le disposizioni della clausola anti-elusiva del D.P.R. 600/1973 si applicano in una tassativa casistica di comportamenti potenzialmente elusivi (in particolare operazioni straordinarie della società e transfrontaliere):

  • trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie, distribuzione di somme diverse da utili;
  • conferimenti in società di aziende ed operazioni assimilabili;
  • cessione di crediti;
  • cessione di eccedenze d’imposta;
  • fusioni, scissioni, scambi di azioni fra società di stati membri UE;
  • operazioni aventi per oggetto partecipazioni sociali;
  • cessioni di beni effettuate tra i soggetti ammessi alla tassazione secondo il regime del consolidato nazionale;
  • pagamenti di interessi e canoni tra società con sede in stati esterni all’UE;
  • pattuizioni con controllate o collegate aventi sede in stato a regime fiscale privilegiato.

ACCERTAMETO DEI COMPORTAMENTI ELUSIVI

La conseguenza dei comportamenti elusivi è uno speciale procedimento impositivo che si differenzia da quello ordinario: l’avviso speciale applica la norma elusa, quella che il contribuente ha aggirato – il fisco disconosce dunque i vantaggi tributari derivanti dall’applicazione della norma più favorevole. A tale avviso d’accertamento il contribuente non può opporre di non dovere pagare l’imposta accertata dall’amministrazione perché il comportamento effettivamente tenuto è diverso da quello sul quale si fonda la pretesa fiscale del contribuente. E’ dunque previsto il pagamento di un tributo supplementare pari alla differenza tra imposta dovuta in base alla norma elusa ed imposta sul comportamento realizzato (al quale si somma, ovviamente, la sanzione). L’amministrazione, prima di emettere l’avviso, deve chiedere chiarimenti al contribuente (il “contraddittorio obbligatorio”) il quale deve rispondere entro 60 giorni: nell’avviso d’accertamento, l’amministrazione dovrà inserire tra le motivazioni (oltre ai consueti contenuti) il perché non ha reputato valide le ragioni economiche eventualmente chiarite dal contribuente.

ELUSIONE MEDIANTE INTERPOSIZIONE

Nel caso in cui vi sia un divario tra titolarità apparente e possesso effettivo di un reddito, l’imposta dev’essere posta a carico del “possessore effettivo” e non della persona interposta. In sede di accertamento o rettifica, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiano titolari altri soggetti, ma sia dimostrato (anche su base di presunzioni gravi, precise e concordanti) che egli ne è effettivo possessore per interposta persona. In ogni caso, un medesimo reddito non può appartenere contemporaneamente a più soggetti: il legislatore ha quindi espressamente previsto che le persone interposte possano richiedere il rimborso di quanto versato dopo che sia venuto definitivo l’accertamento emesso nei confronti dell’interponente.

INTERPELLO IN MATERIA DI ELUSIONE

Poiché può essere dubbio se un comportamento sia o meno elusivo, il legislatore ha previsto un’apposita forma di interpello speciale, che concerne i comportamenti elusivi ed altre fattispecie di difficile interpretazione: la risposta all’istanza è un provvedimento definitivo ad opera della Direzione Generale dell’Agenzia delle Entrate.

INTERPELLI DISAPPLICATIVI

Il legislatore attraverso l’istituto dell’interpello disapplicativo (“interpello anti-elusivo”, contenuto nel D.P.R. 600/1973) prevede la possibilità per il contribuente di chiedere un correttivo che consiste nella disapplicazione di una norma anti-elusiva, dimostrando l’assenza di elusività. L’istanza deve obbligatoriamente:

  • descrivere compiutamente l’operazione:
  • dimostrare che non possono verificarsi effetti elusivi;
  • indicare le disposizioni normative di cui si chiede la disapplicazione.

L’istanza è accolta o respinta con provvedimento definitivo dal direttore regionale dell’Agenzia dell’Entrate.