La disciplina della domanda del lavoro flessibile

Introduzione: dalla cosiddetta legislazione antifraudolenta alla flessibilità controllata.
Nella tutela del prestatore nel mercato del lavoro va ricondotta la domanda cosiddetta flessibile della forza – lavoro.
Di fronte alla domanda di prestazioni di lavoro temporaneo o discontinuo, l’intervento protettivo del legislatore ha l’obiettivo di tutelare l’interesse del lavoratore alla continuità e alla stabilità dell’occupazione, dettando una disciplina volta a restringere l’autonomia negoziale delle parti nella formazione e nell’esecuzione del contratto (cosiddetta legislazione antifraudolenta).
Tale processo può dirsi giunto a conclusione nel 2001 con l’emanazione di una disciplina legislativa che ammette la possibilità di assunzioni a tempo determinato per ragioni oggettive.
Ma di esso un altro aspetto di rilievo è rappresentato dall’emanazione, nel 1997, di una disciplina legislativa del lavoro temporaneo o lavoro interinale. Anche in questo caso il legislatore ha perseguito l’obiettivo di introdurre forme di flessibilità controllata e negoziata mediante l’intervento della contrattazione collettiva.
Le considerazioni che precedono spiegano altresì l’apertura legislativa verso altri tipi di occupazione. Tra queste forme di impiego flessibile (rapporti di lavoro cosiddetti atipici) vanno annoverati il contratto di formazione e il lavoro a tempo parziale.
Sezione A: Il contratto di lavoro a tempo determinato.
L’originaria disciplina codicistica del lavoro a tempo determinato. La disciplina speciale introdotta dalla L. 18 aprile 1962, n. 230 e dai successivi interventi legislativi.
Nel contratto di lavoro a tempo determinato l’esigenza dell’utilizzazione flessibile del lavoro viene soddisfatta mediante un termine finale alla durata del contratto: tale durata è prefissata dalla volontà dei contraenti ed il rapporto cessa senza dichiarazione di recesso unilaterale.
Al fine di ridurre il ricorso al contratto a tempo determinato, riguardato come negozio potenzialmente fraudolento, l’articolo 2097 codice civile aveva stabilito che “si deve reputare a tempo indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto”.
La scarsa efficacia aveva indotto il legislatore ad intervenire con la Legge 18 aprile 1962, numero 230, la quale aveva abrogato l’articolo 2097 codice civile e aveva dettato in sua sostituzione una normativa inderogabile ed analitica, fondata sul principio di tassatività prevedendo un apposito sistema sanzionatorio.
La Legge numero 230 è stata modificata e integrata, ne è risultata una normativa complessa fino all’abrogazione del D. Lgs. 6 settembre 2001, numero 368.
Importa segnalare l’evoluzione legislativa, all’originario sfavore del legislatore verso i rapporti di lavoro temporanei si è venuto sostituendo un favore alla liberalizzazione controllata del contratto di lavoro a tempo determinato.
La Direttiva europea sul rapporto di lavoro a tempo determinato e la nuova disciplina introdotta dal D. Lgs. numero 368 del 2001. I requisiti per l’apposizione del termine: le ragioni oggettive; forma e onere di prova.
La recezione della Direttiva 28 giugno 1999, numero 99/70 è avvenuta con l’emanazione del D. Lgs. 6 settembre 2001, numero 368, con il quale il legislatore ha provveduto ad una riforma dell’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato.
La nuova legge si pone quale fonte esclusiva della disciplina dell’intera materia. La principale innovazione è costituita dall’abbandono del principio di tassatività nell’apposizione di un termine alla durata del contratto. Il nuovo articolo 1, comma 1, stabilisce che è consentita “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Anche se non è stato riaffermato il principio di eccezionalità l’enunciazione legislativa ha valenza permissiva nei confronti dell’autonomia contrattuale.
La nuova disciplina ha notevolmente ampliato la possibilità di assumere lavoratori a termine, svincolandola dai requisiti restrittivi della straordinarietà, occasionalità, eccezionalità, senza tuttavia eliminare i limiti posti all’autonomia privata. Infatti resta vincolata all’esistenza obiettiva di una causa giustificatrice della temporaneità del rapporto. Sul datore incombe l’onere della prova di tale causa o ragione giustificatrice.
Si ha dunque una forte estensione del potere regolamentare dell’autonomia individuale e del controllo del giudice.
Strettamente collegata è la disposizione che vincola l’apposizione del termine al requisito dell’atto scritto. Tale forma è prescritta a pena di inefficacia e deve indicare le ragioni giustificatrici della sua apposizione: in questo modo l’atto scritto assicura la trasparenza della causale ma altresì l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
Va notato che l’assenza o incompletezza della scrittura importa l’inefficacia della clausola oppositiva del termine e non la nullità che, pertanto, si considera a tempo indeterminato.
Stessa conclusione per l’ipotesi di insussistenza, o non corrispondenza rispetto allo schema legale: anche in questo la nullità non si comunica al contratto medesimo. Si può aggiungere che, avendo la norma dell’articolo 1, comma 1, la sua violazione importa la nullità e la cosiddetta conversione in contratto a tempo indeterminato. Consegue che il lavoratore potrà agire in giudizio senza limiti di tempo essendo non solo non soggetta a decadenza ma altresì imprescrittibile.
Divieti; esclusioni; discipline speciali.
L’apposizione del termine è vietata, e dunque il contratto si considera a tempo indeterminato, in taluni casi tassativamente previsti dalla legge:

    1. Sostituzione di lavoratori in sciopero;
    2. salva diversa disposizione di accordi sindacali, nelle unità produttive in cui siano state effettuate procedure di licenziamento collettivo;
    3. Nelle unità produttive interessate da riduzioni di orario o sospensioni di lavoro;
    4. Nelle imprese che siano inadempienti agli obblighi relativi alla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

In questi casi il legislatore ha valutato immeritevole di tutela l’interessa del datore all’apposizione del termine. Inoltre, per particolari rapporti e settori produttivi la legge ha stabilito l’esclusione dal proprio campo di applicazione.
Ciò è da dire per rapporti a carattere temporaneo già destinatari di una propria disciplina:

    1. Contratto per prestazioni di lavoro temporaneo;
    2. Contratto di formazione e lavoro;
    3. Contratto di apprendistato.

Sono inoltre esclusi, in quanto destinatari di una disciplina speciale, il rapporto di lavoro degli operai a tempo determinato nell’agricoltura, i rapporti a termine instaurati con le aziende esercenti il commercio di esportazione, importazione e all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli ed infine i rapporti cosiddetti a giornata nei settori del turismo e dei pubblici esercizi.
Tra le discipline speciali oltre a quella per il settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali vi è quella relativa ai dirigenti, l’apposizione del termine è libera e non necessita della forma scritta, la ratio può ravvisarsi alla flessibilità delle prestazioni dirigenziali, nella possibilità di opportunità di nuova occupazione.
La proroga del termine e la successione di più assunzioni a tempo determinato.
In tema di proroga l’articolo 4, comma 1, dispone che il termine originariamente prefissato possa essere (senza forma scritta) prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni e che la proroga sia ammessa una sola volta e quando “sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa”. Infine viene posto un limite massimo di tre anni alla durata complessiva del rapporto a termine in conseguenza della proroga.
L’articolo 4, comma 2, addossa al datore l’onere della prova dell’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano la proroga del termine. Pertanto l’effetto sanzionatorio della cosiddetta conversione opera ex nunc, cioè dal momento successivo alla scadenza pattuita dalle parti.
Distinta dalla proroga è l’ipotesi, prevista dall’articolo 5, comma 1, della continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato.
Non è in sé illecita ma obbliga il datore di lavoro ad una maggiorazione della retribuzione del 20% e poi del 40%. In questo modo la validità del contratto viene conservata per un tempo predeterminato (cosiddetto periodo di tolleranza). La maggiorazione retributiva funziona come una sorta di penale rivolta a disincentivare la prosecuzione del rapporto. Se il rapporto continua trova applicazione il meccanismo sanzionatorio della cosiddetta conversione o trasformazione del contratto, a far data dalla scadenza dei termini di tolleranza.
Lo stesso articolo 5, comma 3 e 4, prevede la successione (o cosiddetta reiterazione) di più assunzioni a termine del medesimo lavoratore. La norma stabilisce che il datore di lavoro può stipulare un nuovo contratto a termine con lo stesso lavoratore, purché dalla data di scadenza siano trascorsi almeno dieci giorni se il contratto iniziale ha una durata fino a sei mesi, venti giorni nel caso di contratto superiore a sei mesi.

Il mancato rispetto comporta l’invalidità e quindi la conversione dal secondo contratto (e cioè ex nunc). La norma dell’articolo 5, comma 4, considera la più grave ipotesi di una successione di più assunzioni a termine consecutive: in questo caso “il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto” (e cioè ex tunc).
La reiterazione di contratti a tempo determinato è da ritenere legittima purché avvenga nel rispetto degli intervalli temporali e la stipulazione dei singoli contratti sia giustificata dalle ragioni oggettive indicate dall’articolo 1.
La disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato.
Per la disciplina del rapporto trovano applicazione le norme per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’articolo 6 del D.Lgs. numero 368 enuncia che ai lavoratori assunti a tempo determinato sono dovute” le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili”; questi sono definiti come “quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva”. I trattamenti indicati sono dovuti “in proporzione al periodo lavorativo prestato” o pro rata temporis. L’inosservanza espone il datore all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’articolo 12, D.Lgs. numero 368.
All’equiparazione tra prestatore di lavoro a tempo determinato e indeterminato si può ricondurre la norma dell’articolo 8, in virtù della quale i lavoratori a termine sono computabili ove il contratto abbia durata superiore a nove mesi.
La legge ha inoltre predisposto tutele del diritto alla salute e dell’interesse ad una occupazione stabile dei lavoratori a tempo determinato. Il diritto ad una formazione professionale sufficiente ed adeguata alle mansioni espletate “al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro”. Ancora ai contratti collettivi nazionali è affidato il compito di definire le modalità e i contenuti delle informazioni circa il ricorso ai contratti a termine nelle aziende; nonché le modalità affinché ai lavoratori a tempo determinato siano rese le informazioni circa i posti vacanti disponibili nell’impresa.
Nessuna disposizione è contenuta nel D.Lgs. numero 368 in merito alla disciplina cui deve ritenersi assoggettato un eventuale scioglimento del contratto ante tempus.
Fatta eccezione per l’ipotesi della sussistenza di una giusta causa, la legge assicura alle parti una stabilità contrattuale, il quale dovrà proseguire fino alla scadenza concordata.
Limitazioni quantitative all’apposizione del termine; esenzioni; il diritto di precedenza.
L’apertura all’autonomia individuale in merito alle causali giustificatrici è riequilibrata dalle disposizioni all’autonomia collettiva, utilizzando la cosiddetta delega normativa, un’importante funzione di controllo e disciplina del contratto a tempo determinato.
L’articolo 10, comma 7, D.Lgs. numero 368, affida ai contratti nazionali di lavoro stipulati da sindacati l’individuazione di limitazioni quantitative alle assunzioni a tempo determinato. La ratio della norma è chiara: attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva, il legislatore si è proposto l’obiettivo di disciplinare la domanda di lavoro temporaneo nel suo complesso. Dette limitazioni quantitative (o cosiddette clausole di contingentamento) possono essere stabilite anche in misura non uniforme e cioè differenziata.
La stipulazione del contratto a tempo determinato deve avvenire nel rispetto dei requisiti previsti dall’articolo 1: sia quello cosiddetto causale; sia quelle di forma. Di qui deriva la possibilità che l’autonomia collettiva delimiti le cause giustificatrici dell’apposizione del termine.
La legge ha escluso dal meccanismo negoziale delle limitazioni quantitative elencate nei comma 7 e 8 dello stesso articolo 10. Le fattispecie esenti ai sensi del comma 7 sono:

    1. La fase di avvio di nuove attività;
    2. Le ragioni di carattere sostitutivo e le attività stagionali in genere;
    3. L’intensificazione dell’attività in determinati periodi dell’anno;
    4. Specifici spettacoli radiofonici e televisivi;
    5. L’esecuzione di un’opera o servizio definiti.

Il legislatore ha stabilito l’esclusione anche dei contratti giustificati da causale cosiddetta soggettiva, in particolare dei contratti stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage nonché dei contratti stipulati con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Ancora, il successivo comma 8 ha escluso anche i contratti a tempo determinato i quali, non rientrando nelle causali cosiddetti oggettive e soggettive del comma 7, siano di durata non superiore ai sette mesi.
L’esenzione non si applica quando i contratti siano stipulati “per lo svolgimento di prestazioni di lavoro identiche a quelle che hanno formato oggetto di altro contratto a termine avente le medesime caratteristiche e scaduto da meno di sei mesi”.
Infine l’articolo 10, comma 9, affida ai contratti collettivi nazionali stipulati con i sindacati “l’individuazione di un diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, esclusivamente a favore dei lavoratori”. Il diritto di precedenza non è riconosciuto in via automatica dalla legge ma potrà essere attribuito dalla contrattazione collettiva . Inoltre i lavoratori assunti in forza del diritto di precedenza non concorrono a determinare la quota di riserva sulle assunzioni prevista in favore delle cosiddette fasce deboli di disoccupati.
Ai sensi del comma 10 dell’articolo 7, “in ogni caso il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro”; ai fini del diritto di precedenza, il lavoratore è tenuto a manifestare la propria volontà al datore di lavoro entro il termine di tre mesi dalla cessazione del rapporto.