Sul diritto europeo dei contratti: per un approccio costruttivamente critico

Il senso è che al diritto europeo dei contratti non si sia finora dedicata, in Italia, l’attenzione che merita.

Diritto “comunitario” e diritto “comune ” europeo dei contratti.

Il diritto europeo dei contratti è caratterizzato da eterogeneità ma le componenti fondamentali sono 2:

  1. trova la sua fonte nelle direttive;
  2. nasce da giudici, avvocati e studiosi (“approccio rule oriented vs. approccio storico- culturale”).

Secondo Ugo Mattei il diritto “comune” europeo dei contratti (Principles Lando) sarebbe all’insegna di un’ideologia liberista americana di destra. Per contro nelle direttive sarebbero ravvisabili le idee dello Stato sociale di sinistra di un diritto socialdemocratico. Somma giunge ad una conclusione opposta.  Profilo storico delle direttive: dalla seconda metà degli anni ’80 il diritto delle direttive comincia a disciplinare i contratti di consumer protection.

Caratteristica dominante del diritto delle direttive è la settorialità, ciò ha come conseguenza difetti di coordinamento, incapacità di avere una visione più generale. Le direttive sono molto analitiche e questo le priva di flessibilità.

Declino del diritto “comunitario” e l’intensificarsi del diritto “comune”.

L’euro-attivismo degli anni ’80 conosce una decelerazione verso metà degli anni ’90. Con il trattato di Maastricht del 1992, entra l’idea di sussidiarietà: la Comunità agisce se l’obiettivo non è perseguibile al livello dei singoli Stati.

Ultimamente stiamo assistendo ad una convergenza fra diritto comunitario e diritto comune. Il Parlamento europeo si è mosso con prospettive di armonizzazione del diritto privato europeo; poi nel 2003, la Commissione ha diffuso “comunicazioni” e ipotesi di intervento. Attraverso l’elaborazione di un “quadro di riferimento comune”, esiste una competenza dell’UE a occuparsi di diritto privato.

Qualcuno crede di appoggiare la competenza della UE in materia sulla base degli art. 61 e 65 del Trattato, altri preferiscono richiamare gli articoli 94 e 95 del Trattato, che puntano alla creazione del mercato unico.

Si discute se esista una western legal tradition. Quello che è certo, è che le divergenze fra i sistemi nazionali sono tutt’altro che marginali, per cui l’opera di armonizzazione risulta ardua e l’operatività di un diritto contrattuale finirà per presentare margini di scostamento dal diritto nazionale. Le divergenze si fanno ancora più marcate in Inghilterra. Vi sono condizioni che impediscono alla Corte di giustizia di giocare in modo significativo il ruolo di giudice del diritto contrattuale europeo (principio di efficacia verticale e non anche orizzontale delle direttive).

Le direttive non creano rapporti fra il singolo destinatario della posizione di vantaggio e la corrispondente controparte, perché rapporti siffatti hanno bisogno della trasposizione della direttiva. A operare con pienezza come giudici del diritto dei contratti sono perciò, allo stato, solo le corti nazionali. È auspicabile, quindi, che s’intensifichino il dialogo e l’interazione fra giudici nazionali e la Corte di giustizia. Il giudice nazionale, in presenza di una questione controversa di interprestazione della norma comunitaria rimette la questione alla corte di giustizia, al cui verdetto dovrà attenersi. L’interpretazione offerta dalla corte di giustizia spesso non è univoca, ma lascia aperte opzioni. In merito al documento della Commissione del 2003, aggiungiamo che emergono due linee di azione:

  • la prima, sul terreno delle prassi contrattuali, consiste nella elaborazione di set di clausole standard riferite a diverse classi di operazioni che promuoverebbero un’armonizzazione basata sulle scelte dell’autonomia privata.
  • La seconda linea riguarda la creazione di un corpo di regole integranti un diritto comune dei contratti.

In conclusione bisogna fare i conti:

a)       con la frattura fra il diritto comune e il diritto comunitario,

b)       con la discutibile qualità delle direttive,

c)       con i dubbi circa la competenza dell’UE,

d)       con i limiti sociologici,

e)       con il divario fra le diverse tradizioni,

f)        con i problemi inerenti la dimensione giurisdizionale del diritto europeo dei contratti,

g)       con il dubbio se un “codice” europeo ostacoli l’armonizzazione.