Le operazioni su proprie azioni

L’acquisto di azioni proprie

I limiti all’acquisto posti a salvaguardia del capitale sottoscritto

La Seconda dir. soc. pone limiti e condizioni alle legislazioni nazionali che decidano di consentire l’acquisto delle proprie azioni, considerando tale ope­razione lesiva della garanzia per i creditori. I limiti e le condizioni cui è subordinato l’acquisto di azioni proprie pre­scindono dal valore che possa essere riconosciuto alle azioni, magari su­periore allo stesso prezzo di acquisto (tale da consentire alla società una plusvalenza).

Altri acquisti possono essere più pericolosi, eppure non si rinvengono limiti comparabili a quelli vigenti in tema di azioni proprie. La particolarità e la pericolosità dell’acquisto di proprie azioni emergono agevolmente: il socio che vende le proprie azioni alla stessa società emittente ottiene la liquidazione del proprio conferimento in capitale.

Questa operazione non può avvenire a sfavore dei diritti dei cre­ditori sociali, svuotando la garanzia rappresentata dal capitale sociale e dalle riserve, gravate del vincolo della non distribuibilità. I limiti e le condizioni cui l’operazione è subordinata si spiegano all’interno del sistema di diritto societario comunitario, che incentra sulla salvaguardia del capitale sociale i meccanismi di tutela dei creditori. La regola è quella stabilita all’art. 15, par. l, lett. a), della Seconda dir. soc., ai sensi del quale, ad eccezione dei casi di ridu­zione del capitale sottoscritto (per perdite o per decisione accompagnata dalle garanzie per i creditori di cui all’art. 32), nessuna distribuzione a favore degli azionisti può aver luogo se, alla data di chiusura dell’ultimo esercizio, l’attivo netto quale risulta dai conti annuali è, o potrebbe diventare in seguito a tale distribuzione, infe­riore all’importo del capitale sottoscritto aumentato dalle riserve che la legge o lo statuto non permettono di distribuire.

Per il caso in cui la legislazione di uno Stato membro permetta ad una so­cietà di acquisire azioni proprie, l’art. 19, par. l, lett. c), stabilisce che per l’acquisto non potranno essere impiegati importi superiori all’ammontare delle riserve disponibili e degli utili distribuibili. L’acqui­sto non potrà avere l’effetto di ridurre il valore dell’attivo netto al di sotto del­la frazione del patrimonio netto costituita da capitale sociale e riserve non di­stribuibili per legge o per statuto. Così facendo il socio avrà ottenuto la liquidazione del proprio investimento di rischio, ma il capitale sociale e le riserve indisponibili non saranno state sottratte alla loro destinazione.

Ad eccezione dei casi di riduzione del capitale sottoscritto gli azionisti non possono essere esonerati dall’obbligo di conferi­mento (art. 12). Per tale ragione, l’art. 19, par. l, lett. d), consente di acquistare solo azioni proprie già interamente liberate. Ai legislatori nazionali è consentito di far contabilizzare le azioni nell’attivo dei conti annuali.

La Seconda dir. soc. pre­scrive l’iscrizione di una riserva indisponibile di misura corrispondente al valore di iscrizione delle azioni proprie (art. 22, par. 1, lett. b)). La riserva ha natura di posta correttiva dell’attivo; se si fosse trattato di posta di patrimonio netto, in quanto tale funzionale alla tu­tela dei creditori sociali, la Seconda dir. soc. non avrebbe potuto consentire semplicemente di non iscri­vere le azioni proprie in attivo.

Le modalità dell’acquisto e i limiti alla partecipazione della società al pro­prio capitale sociale

L’acquisto di azioni proprie può avvenire solo impiegando le riserve e gli utili distribuibili (attingendo ad una provvista non superiore all’ammontare di tali poste di patrimonio netto). L’operazione di acquisto costituisce un meccanismo di rimborso delle azioni senza ri­duzione del capitale: una particolare desti­nazione degli utili che consente la dismissione dell’investimento di rischio sen­za ridurre il capitale di rischio. L’assemblea deve autorizzare l’operazio­ne, indicando il numero di azioni da acquisire, il corrispettivo minimo e massimo, nonché la durata per cui è accordata l’au­torizzazione, che non può superare i 18 mesi. 

La proposta di modifica della Seconda dir. soc. del 2004 prevede di elevare tale durata sino a 5 anni; è stato specificamente previsto che l’acquisizione (ma anche la vendita) delle proprie azioni debba rispettare il principio della parità di trattamento degli azionisti (art. l, par. 3). Gli amministratori sono gravati della verifica della sussistenza di attivi esuberanti l’ammontare del patrimonio netto non distribuibile e utilizzabili per l’acquisto (art. 18, par. l, lett. a)), dovendo precisare nella relazione sulla gestione (che accompagna la presenta­zione dei conti annuali) i motivi delle acquisizioni di azioni proprie effettuate durante l’esercizio, la quota di capitale sottoscritto corrispondente alle azioni proprie e il corrispettivo eventualmente pagato per acquisto (art. 22, par. 2, Se­conda dir. soc. e art. 46, par. l, lett. d), Quarta dir. soc.).

La Seconda dir. soc. pone un limite al rimborso delle proprie azioni senza riduzione del capitale: il valore (nominale o contabile) delle azioni proprie ac­quistate, o di cui si disponga anche per mezzo di altre persone, non può supe­rare il 10% del capitale sottoscritto (art. 19, par. l, lett. b)).

La ragione del limite non risiede nelle esigenze di salvaguardia del capitale sociale: se il rimborso delle azioni avviene impiegando il capitale, la lesione ai creditori si produce comunque. Il limite appare troppo elevato per costituire un ostacolo contro iniziative della società volte a condi­zionare l’andamento dei propri titoli eventualmente quotati in borsa. Esso impedisce che il fenomeno delle azioni proprie snaturi l’istituto societario, avvicinandolo alla fondazione, rischio che non diviene rea­le sino a quando rimanga almeno un socio oltre alla stessa società. In sede di proposta di modifica della Seconda dir. soc. si prevede di rendere fa­coltativo tale limite (art. 1, par. 3).

 Nella facoltà lasciata agli Stati membri, la generale competenza dei soci a de­cidere dell’impiego degli utili e delle riserve distribuibili per l’acquisto di azioni proprie può essere derogata in caso di acquisto finalizzato alla distribuzione di azioni al personale della società o di società collegata (art. 19, par. 3, ai sensi del quale la distribuzione deve avvenire entro 12 mesi dall’acquisto) o di acquisto che si sia reso necessario per evitare alla società un danno grave e imminente (art. 19, par. 2; in questo caso occorrerà fornire completa informazione dell’operazione alla prima assemblea immediatamente successiva).

All’art. 21 si trova una norma di chiusura che impone il trasferi­mento obbligato delle azioni proprie acquistate in violazione di alcuna delle condizioni stabilite all’art. 19, entro un anno dall’acquisto. In difetto, l’ope­razione di acquisto continuerà a rimanere valida, ma si dovrà procedere all’annullamento delle azioni acquistate, nonché alla riduzione del capitale sotto­scritto qualora l’annullamento abbia l’effetto di rendere l’attivo net­to inferiore all’importo del capitale sottoscritto aumentato delle riserve che la legge o lo statuto non permettono di distribuire.

Per le società quotate la disciplina delle condi­zioni per l’acquisto di azioni proprie si arricchisce della normativa contenuta nel Reg. CE n. 2273 del 2003, nel quale sono stabilite le condizioni per le quali i divieti contenuti nella dir. 2003/6/CE, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, non si applicano alle negoziazioni di azioni proprie effettuate nell’ambito di programmi di riacquisto delle medesime.

Le ipotesi eccezionali di deroga alle condizioni poste per l’acquisizione di azioni proprie

Per alcune specifiche ipotesi di acquisto di azioni proprie, la Seconda dir. soc., all’art. 20, non impone la preventiva autorizzazione assembleare e consente che l’acquisto abbia ad oggetto azioni non interamente liberate e che il valore nominale delle azioni proprie acquisite superi provvisoriamente il 10% del capitale sottoscritto.

Tali ipotesi sono elencate all’art. 20, alle lettere da a) ad h) del par. 1 e costituiscono oggetto di libera opzione per gli Stati membri, che possono scegliere o meno se avvalersi di tali eccezioni. La prima ipotesi (lett. a) attiene all’acquisto di azioni proprie costituente mera modalità esecutiva di una decisione di riduzione del capitale e comprende anche il caso di acquisto delle azioni riscatta­bili (trasferibili alla società) eventualmente emesse dalla società ai sensi dell’art. 39. Le condizioni limitanti l’acquisto di cui al par. 1 dell’art. 19 non operano qualora l’acquisizione avvenga:

    1. per trasmissione a titolo universale di patrimonio (lett. b);
    2. a titolo gratuito ovvero effettuato da banche o istituti finanziari che accettino le proprie azioni a titolo di commissione d’acquisto (lett. c); in queste ipotesi dovrà trattarsi di azioni interamente liberate;
    3. in virtù di una decisione giudiziaria emessa a tutela delle minoranze di a­zionisti dissenzienti, in seguito a decisioni di fusione, di cam­biamento dell’oggetto o del tipo di società, di trasferimento della sede all’e­stero o di introduzione di limiti alla circolazione delle azioni (lett. d);
    4. a sanzione dell’inadempimento di un azionista all’obbligo di integrale li­berazione delle azioni proprie (lett. e);
    5. al fine di costituire provvista per indennizzare (in natura) azionisti di mi­noranza di società collegate (lett. f);
    6. in occasione di vendita forzata eseguita per soddisfare un credito della società nei confronti del socio (lett. g); in questa ipotesi dovrà trat­tarsi di azioni interamente liberate;
    7. ad opera di società di investimento a capitale fisso (o di società a questa collegata), su richiesta di coloro che effettuano gli investimenti; dovrà trattarsi di azioni interamente liberate, ma sarà consentito im­piegare per l’acquisto gli utili e le riserve, comprese questa volta quelle sta­tutarie, con divieto di far scendere l’attivo netto al di sotto dell’im­porto del capitale sottoscritto aumentato delle riserve che la legge non consente di distribuire (art. 20, par. 1, lett. h).

Nelle variegate ipotesi, a seconda dei casi, l’operazione di per sé non comporta l’impiego di utili o riserve distribui­bili (lett. a), b), c)), ovvero non è compatibile con una decisione discre­zionale circa la sorte di tali poste (lett. d)), ovvero è apparsa al legislato­re comunitario corrispondere ad una finalità il cui perseguimento rende op­portuno ovviare ai limiti ed alle condizioni normalmente poste all’acquisto di azioni proprie fine a se stesso (lett. e), f), g), h)). Entro il termine massimo di tre anni, le azioni proprie acquisite nelle ipotesi alle lettere da b) a g), eventualmente eccedenti il limite del 10%, dovranno essere trasferite (art. 20, par. 2); le azioni acquistate nella diversa ipotesi di riduzione del capitale sociale sono immediatamente annullate.

L’acquisto di azioni proprie effettuato in violazione delle condizioni stabilite all’art. 20, come per la violazione dell’art. 19, obbliga al trasferimento delle azioni entro un anno dal loro acquisto (art. 21). In entrambi i casi, in difetto di trasferimento, si dovrà procedere all’annullamen­to delle azioni proprie. Qualora tale annullamento abbia l’effetto di rendere l’attivo netto inferiore all’ammontare del capitale sottoscritto e delle riserve non distribuibili (artt. 20, par. 3, e 21), si dovrà procedere alla corrispondente riduzione del capitale. La Seconda dir. soc. non si occupa delle responsabilità connesse alla viola­zione delle condizioni stabilite agli artt. 19 e 20.

Il divieto di sottoscrizione di azioni proprie

L’art. 18, par. 1, della Seconda dir. soc. stabilisce che la società non può sottoscrivere proprie azioni. La ragione di tale assoluto divieto non può rinvenirsi nell’esigenza di tutela della garanzia per i creditori. Se effettuata con le stesse cautele che circondano l’acquisto, la sottoscrizione di azioni proprie, che non determina né un rimborso dell’investimento di rischio né un trasferimento a terzi di denaro, comporterebbe un vantaggio per i creditori sociali, ossia la trasformazione di riserve liberamente di­stribuibili in capitale sociale (effetto identico all’aumento gratui­to di capitale).

Tale divieto non può neanche ricondursi al problema della contestuale tito­larità di diritti e obblighi in capo al medesimo soggetto. La tempora­nea confusione delle situazioni giuridiche attive e passive correlate alla parte­cipazione al capitale sociale, cui non consegue l’estinzione dei corrispondenti rapporti giuridici, non costituisce un problema insuperabile (la Seconda dir. soc. consente l’acquisto di azioni non interamente liberate, il cui titolare è in debito di confe­rimento verso la società).

 Con l’imposizione del divieto di sottoscrizione, si afferma l’inammissibilità di una operazione che finirebbe con il figurare la definitiva autonomia della persona giuridica dagli interessi negoziali dei soci, da cui invece deve costantemente procedere e cui deve potersi sempre imputare. Alla società per azioni non è dato di divenire socio di se stessa at­traverso la sottoscrizione. Il profilo si coglie con maggiore evidenza ponendo mente alla considera­zione che il legislatore comunitario ha dell’acquisto di azioni proprie, concepi­to e circoscritto ad una funzione, il rimborso delle azioni senza riduzione del capitale sociale, ancora imputabile agli interessi negoziali dei soci e dunque ammissibile.

Di contro, consentire alla società di divenire socio di se stessa attraverso la sottoscrizione di azioni proprie farebbe perdere alla persona giuridica il suo carattere strumentale agli interessi apprezzabili dei soci.

  • Meccanismi volti ad impedire l’aggiramento del divieto

La società non può sottoscrivere azioni proprie neanche a mezzo di manda­tario o fiduciario. L’eventuale conferimento del mandato o dell’incarico fidu­ciario non produce alcun effetto, poiché il mandatario e il fiduciario sono con­siderati sottoscrittori in proprio (art. 18, par. 2). In caso di violazione del divieto di sottoscrizione, la Seconda dir. soc. im­pone ai soci e, in caso di violazione occorsa in una operazione di aumento del capitale, agli amministratori, di liberare le azioni sottoscritte. Ciascuno di questi può andare esente da responsabilità, provando di essere personalmente immune da colpa (art. 18, par. 3).

La responsabilità di soci e amministratori accompagna in via solidale quella del mandatario e del fiduciario, mentre si po­ne come principale in caso di sottoscrizione diretta effettuata dagli stessi in nome e per conto della società: sebbene effettuata in suo nome la sottoscrizione non è imputabile alla società. Anche soci e, a seconda dei casi, amministratori sottoscrittori in nome e per conto della società dovranno essere considerati sottoscrittori in nome e per conto proprio.

L’obbligo di liberare le azioni sottoscritte in nome e per conto della società lascia presumere che il capitale sottoscritto debba ritenersi valida­mente aumentato. Ciò non toglie che la decisione di aumento del capitale sot­toscritto possa venir meno per la diversa ragione costituita dalla violazione dell’art. 29 della Seconda dir. soc. (ai sensi del quale, nel caso di aumento del capitale sottoscritto mediante conferimenti in denaro, le azioni devono essere offerte in opzione agli azionisti in proporzione della quota di costoro), non derogato in caso di sottoscrizione di azioni proprie in nome o an­che solo per conto della società.

L’esercizio dei diritti connessi alle azioni proprie

Il diritto di voto delle azioni proprie è sospeso, evitando che le azioni proprie aumentino il potere in assemblea degli azionisti di cui gli am­ministratori siano eventualmente espressione. La sospensione del diritto di vo­to conferma la scelta della Seconda dir. soc. di non collocare la so­cietà in una posizione di autonomia rispetto ai soci. Fra i diritti di cui le azioni sono usualmente fornite, l’art. 22, par. 1, lett. a), si limita ad imporre alle azioni divenute proprie la sospensione del voto.

La previsione nulla impone con riguardo al diritto all’utile ed al diritto di opzione. Con riferimento al primo, la materia è disciplinabile liberamente dagli Stati membri. Complesso si presenta invece il tema dell’attribuzione del diritto di opzio­ne alle azioni proprie, poiché esercitare il diritto di opzione significa per la so­cietà sottoscrivere azioni proprie. In ipotesi di aumento gratui­to del capitale sociale (ipotesi estranea alle previsioni della Seconda dir. soc.), alcuni legislatori nazionali as­segnano alle azioni proprie un proporzionale numero di azioni di nuova emissio­ne.

Nell’aumento gratuito non mette conto di fare esercizio del diritto di opzione, ma il risultato per la società è equivalente a quello che si otterrebbe con la sottoscrizione di nuove azioni. È comunemente ritenuto che l’assegnazione delle azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni proprie già possedute dalla società non violi il divieto di sottoscrizione stabilito all’art. 18 della Seconda dir. soc.

Quando, per effetto di un precedente acquisto, la società sia già socio di sé stessa, l’acquisizione delle azioni emesse in sede di aumento gratuito esprime una regola organizzativa che tiene conto delle azioni proprie già possedute, regola che opera sul piano de­gli interessi dei soci, perché consente di mantenere inalterato il rapporto di par­tecipazione di ciascun socio al capitale sociale. 

Pur in assenza di previsione espressa, anche nell’ordinamento ita­liano la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile, in caso di aumento gratuito del capitale, l’attribuzione alle proprie azioni di un proporzionale numero di azioni di nuova emissione. Nel caso di aumento di capitale a pagamento ricorrono le medesime ragioni organizzative che inducono a far partecipare la stessa società all’au­mento gratuito. Anche in questo caso, esercitando l’opzione, la società conserva inalterata la propria percentuale di partecipazione al capitale sottoscritto, garantendo che ciascun socio conservi inalterata la propria percentuale.

L’incremento della partecipazione sociale derivante dall’esercizio dell’opzio­ne appare operazione riferibile ai soci, perché funzionale alla tutela del loro diritto di conservare inalterata la percentuale di partecipazione al ca­pitale sociale. Per tale ragione, il divieto di sottoscrizione di azioni proprie di cui all’art. 18 impedisce alla società di divenire socio di sé stessa me­diante sottoscrizione; ma non opera quando la società sia già socio di se stessa. Non in contrasto con la Seconda dir. soc. deve ritenersi la previsione di cui all’art. 2357-ter c.c., comma 2, con cui il legislatore italiano della riforma ha espressamente attribuito all’assemblea il potere di auto­rizzare la società titolare di azioni proprie all’esercizio dell’opzione.

Prestiti e garanzie per l’acquisto di proprie azioni e azioni in garanzia di un credito della stessa società emittente; il merger leveraged buy out

Le società non possono anticipare fondi, accordare prestiti o fornire garan­zie per finanziare l’acquisto di proprie azioni (art. 23). Nella posizione del le­gislatore comunitario tale operazione coinvolge indebitamente la società, poi­ché ne piega l’interesse a quello particolare di un socio o di un gruppo di soci che accrescono la propria posizione di potere usufruen­do delle comuni risorse sociali. La presunzione assoluta di conflitto di interessi viene meno e l’operazione è consentita in due ipotesi:

    1. quando sia effettuata da banche o da altri istituti finanziari nell’ambito delle loro operazioni correnti;
    2. quando sia effettuata per favorire l’acquisizione o la vendita di azioni da parte del personale delle società o di società collegata.

Il divieto di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto di proprie azioni non si applica alle società di investimento a ca­pitale fisso (art. 23, par. 3); dovrà trattarsi di azioni interamente libe­rate. L’operazione in discorso è anche suscettibile di intaccare il capitale sottoscritto laddove la società non recuperi il proprio credito verso il terzo. Per tale ragione, an­che quando consentiti, il prestito o la garanzia rilasciata dalla società per far acquistare azioni proprie non devono esporre la società medesima in misura superiore alle riserve ed agli utili distribuibili. Nella proposta di modifica della Seconda dir. soc., del 2004, la presunzione vie­ne a cadere e l’operazione è ammessa purché:

  1. avvenga su iniziativa e sotto la responsabilità degli amministratori, a con­dizioni di mercato eque;
  2. sia preventivamente valutata la liquidità e la solvibilità del terzo finanziato;
  3. sia presentata all’assemblea con apposita relazione (soggetta a pubblicità) ed approvata a maggioranza qualificata (quella di cui all’art. 40 della Seconda dir. soc.);
  4. il finanziamento non superi l’ammontare degli utili e delle riserve distri­buibili.

L’entrata in vigore di una disciplina siffatta farà definitivamente venir me­no i contrasti in dottrina circa la compatibilità della operazione nota come merger leveraged buyout con la disciplina comunitaria. L’operazione consiste nell’acquisto totalitario di una data società (detta target) da parte di una società spesso appositamente costituita (detta newco), finanziato pre­valentemente da terzi, e nella successiva fusione di target e newco. La fusione costituisce operazione ne­cessitata per garantire e rimborsare il debito contratto per l’acquisto. I debiti asserviti all’acquisto delle azioni di target faranno capo alla stessa target: il patrimonio di target viene ex post utilizzato per garantire l’acqui­sto delle azioni della stessa target.

Per quanto il risultato ottenuto possa evocare un aggiramento dell’art. 23, tale disposizione vieta alla società di dare assistenza finanziaria per l’acquisto di proprie azioni, volendo evitare che le risorse finanziarie comuni a tutti i soci siano utilizzate per avvantaggiare alcuni. Una ipotesi siffatta sicuramente non ricorre quando la scalata abbia effettivamente interessato la totalità delle azioni di target (buy out), poiché la deci­sione degli organi di target di approvare la fusione, destinando l’intero pa­trimonio di target a garanzia del finanziamento asservito alla scalata, non pro­duce vantaggi particolari.

Un problema di vantaggi particolari si pone invece quando newco si sia limitata ad acquistare solo una partecipazione di controllo in target. È questa la fattispecie presa in esame dal novellato art. 2501-bis del codice civile italiano, che ammette l’operazione. Sebbene l’operazione presenti pericoli di conflitto di interesse analoghi a quelli da cui procede l’art. 23 della Seconda dir. soc., la fattispecie appa­re sufficientemente diversa, sì da sfuggire alla presunzione assoluta di conflitto di interessi da cui muove l’art. 23: con la fusione la società target non presta garanzie e non agevola l’acquisto di azioni proprie.

Dall’assistenza finanziaria per l’acquisto di a­zioni proprie il problema si sposta sul piano della generale legittimità dell’operazione di fusione. L’operazione che vede la società accettare proprie a­zioni in garanzia di un proprio credito, compiuta direttamen­te o tramite mandato, all’art. 24, par. 1, è equiparata all’acquisto di azioni pro­prie ed è sottoposta alle medesime condizioni. La norma si propone di impedire l’aggi­ramento delle condizioni cui l’acquisto è subordinato, stabilendo una presun­zione assoluta circa l’equivalenza tra pegno e acquisto di azioni proprie. Alle azioni proprie costituite in pegno si applica an­che la sospensione del diritto di voto, sospen­sione che non abbia motivo di essere applicata quando le parti ab­biano pattiziamente conservato in capo al debitore l’esercizio dei diritti amministrativi spettanti ai titoli.

La sottoscrizione e l’acquisto di proprie azioni tramite società controllate

Al fine di evitare aggiramenti dei vincoli in tema di azioni proprie, l’art. 24­-bis, par. 1, della Seconda dir. soc. considera ad ogni effetto la sottoscrizione o l’acquisizione da parte di società di capitali delle azioni della controllante come effettuata dalla stessa controllante. Agli Stati membri è dato di limitare l’applicazione di tale disposizione ai casi di controllo diretto, ferma la necessità di sospendere in tutti gli altri casi il diritto di voto delle azioni della controllante sottoscritte da società anche solo indirettamente controllate (art. 24-bis, par. 2).

L’equiparazione non opera se la sottoscrizione o l’acquisizione è avvenuta quando ancora non sussisteva il rapporto di controllo. Tuttavia, le azioni pro­prie sottoscritte o acquistate dalla società di cui si sia successivamente acquisi­to il controllo saranno computate insieme a quelle nella titolarità diretta della società controllante ai fini del rispetto del limite del 10% stabilito all’art. 19, par. 1, lett. b) (art. 24-bis, par. 5). L’obbligo di trasferimento delle azioni eccedenti il 10% è superabile dagli Stati membri, purché essi prevedano la sospensione del relativo di­ritto di voto e la sanzione per gli amministratori della controllante comportan­te l’obbligo di riacquistare le azioni non trasferite al prezzo al quale sono state acquistate dalla società controllata. Gli amministratori della controllante po­tranno andare esenti da tale sanzione, ma dovranno provare che la controllan­te è rimasta totalmente estranea alla sottoscrizione o all’acquisizione delle pro­prie azioni da parte della controllata, ossia che l’operazione non costituiva un aggiramento della disciplina prevista dalla Seconda dir. soc., ma rispondeva ad un interesse proprio della controllata.