L’aumento del capitale sociale

Nel disciplinare l’aumento di capitale, il legislatore comunitario ha tenuto anzitutto conto della diversa concezione al riguardo esistente negli ordinamenti di civil law e common law. Nei sistemi di civil law, anche detti a capitale fisso, è ri­chiesto un livello minimo di capitale; esso rappresenta un valore predeterminato che può variare solo con delibera dell’assemblea dei soci e il rispetto di determinate formalità. Tale impostazione privilegia il ruolo di garanzia del capitale sociale, pregiudicando tuttavia la flessibilità del meccanismo di aumento che consentirebbe di poter adeguare i mezzi finanziari della società alle esigenze del mercato con una maggiore rapidità.

Nei sistemi di common law, anche detti a capitale variabile o autorizzato, non esiste un minimo di capitale e, nei limiti di un determinato valore autorizzato dallo statuto, l’organo amministrativo ha facoltà di emettere azioni quando lo ritenga opportuno in relazione alle esigenze della società. Tale sistema è pensato per consentire, attraverso una maggiore flessibilità, di cogliere con immediatezza occasioni vantaggiose. Il legislatore comunitario ha fatto proprio il sistema a capitale fisso, ma non ha trascurato di considerare i vantaggi dell’altro sistema consentendo ampie possibilità di delega all’organo amministrativo della facoltà di aumento del capitale sociale.

La Seconda dir. soc. si riferisce direttamente al solo aumento di capitale a pagamento, disinteressandosi dell’aumento del capitale gratuito; tale circostanza comporta qualche problema interpretativo sull’adattabilità delle norme contenute nella direttiva deputate a tale tipologia di aumento di capitale. L’aumento di capitale gratuito si realizza senza alcun effettivo incremento del patrimonio sociale: non vengono richiesti nuo­vi versamenti a soci o a terzi, ma vengono sottoposte al vincolo di indisponibilità proprio del capitale sociale altre attività che già rientrano nel patrimonio sociale e che sarebbero liberamente disponibili. L’aumento viene realizzato con emissione di nuove azioni assegnate gratuitamente ai soci in proporzione di quelle già possedute ovvero mediante aumento del valore nominale delle azioni precedentemente emesse.

Di contro, l’aumento di capitale a pagamento determina un accrescimento del patrimonio sociale in quanto presuppone nuovi conferimenti effettuati dai soci o da terzi. Tale ultima tipologia di aumento di capitale viene disciplinata dalla Seconda dir. soc., in particolare dagli artt. da 25 a 29. Un’ultima considerazione generale riguarda il carattere vincolante delle disposizioni della Seconda dir. soc.: generalmente le sue disposizioni pongono esclusivamente un livello minimo di garanzia che può essere derogato prevedendo disposizioni più rigide, da parte dei legislatori nazionali.

L’art. 41 della Seconda dir. soc. consente di derogare alle disposizioni sull’aumento di capitale, i conferimenti in contanti ed il diritto di opzione se tali deroghe sono necessarie all’adozione o all’applicazione delle disposizioni tendenti a favorire la partecipazione dei lavoratori o di altre categorie di persone stabilite dalla legislazione nazionale al capitale delle imprese.

Il procedimento

La competenza dell’assemblea

Il legislatore comunitario circonda di particolari cautele procedimentali l’aumento del capitale sociale ma non fa riferimento alcuno ai presupposti sostanziali che legittimano tale operazione. Il procedimento per far luogo all’operazione ruota intorno all’organo assembleare (art. 25, par. 1). Il legislatore comunitario non indica quale debba essere la configurazione dell’assemblea a tale riguardo; la versione finale della direttiva lascia libertà agli Stati membri nella concreta determinazione delle maggioranze all’uopo necessarie, anche se, da altre disposizioni della medesima Seconda dir. soc. e data la delicatezza della materia, si ricava la necessità di una maggioranza qualificata, che garantisca il consenso di un rilevante numero di soci (si pensi alla necessaria indicazione dell’importo del capitale nominale nello statuto, con conseguente obbligo di modificare tale documento ove si faccia luogo ad un aumento del capitale).

La decisione dell’assemblea che procede all’aumento del capitale sociale deve essere oggetto di adeguata pubblicità: a tal fine l’art. 25, par. 1, rinvia alle modalità con cui ciascuno Stato membro si è adeguato all’art. 3 della Prima dir. soc., che disciplina la pubblicità di determinati atti sociali. L’art. 21 della proposta di Seconda dir. soc. che prevedeva l’obbligo di previa integrale liberazione delle azioni per poter far luogo ad un aumento di capitale mediante conferimenti in denaro è venuta meno principalmente perché faceva emergere una nuova contrapposizione tra le due concezioni del capitale sociale.

Tuttavia, nel silenzio del legislatore comunitario sul punto, un’interpretazione sistematica induce a ritenere affermato, almeno indirettamente, il principio dell’integrale liberazione delle azioni prima dell’aumento di capitale. La Corte di giustizia è stata sempre molto rigorosa nel salvaguardare la competenza assembleare nelle operazioni di aumento di capitale, arrivando ad affermare l’impossibilità per uno Stato membro di disporre l’aumento di capitale sociale di una S.p.A. mediante un atto amministrativo, anche se la società versa in una situazione eccezionale, e l’aumento deve essere necessariamente deliberato dall’assemblea della società e la possibilità, da parte di un socio, di invocare la diretta applicabilità dell’art. 25 per impugnare un aumento di capitale disposto per via amministrativa, anche se esso abbia posto riparo al dissesto finanziario che metteva a rischio la società.

La facoltà di delega

L’art. 25, par. 2, consente di delegare ad un altro organo della società la facoltà di decidere l’aumento di capitale. Il legislatore comunitario non specifica a quale organo possano essere delegati i poteri, tuttavia si fa generalmente rife­rimento all’organo amministrativo. Particolari requisiti caratterizzano la delega che deve:

    1. essere espressamente concessa, alternativamente, dall’atto costitutivo, dallo statuto o dall’assemblea (non è specificato il quorum all’uopo necessario);
    2. essere oggetto di pubblicità ai sensi dell’art. 3 della Prima dir. soc.;
    3. individuare un importo massimo fino a concorrenza del quale l’organo delegato può deliberare l’aumento;
    4. individuare un limite temporale massimo che non può eccedere i cinque anni e non può in ogni caso essere rinnovato una o più volte.

La finalità della previsione consiste nel garantire una maggiore flessibilità alla disciplina dell’aumento di capitale a seconda delle contingenti esigenze di mercato, oltre che tener conto della prassi di determinati Stati membri. L’art. 25, par. 2, non riferisce l’oggetto della delega ad una particolare tipologia di azioni. Il legislatore nazionale non può circoscrivere il potere di delega solo alle azioni ordinarie; tale circostanza è coerente con la finalità di consentire all’organo delegato di rispondere con efficacia alle esigenze della società, anche individuando la categoria di azioni da emettere. Pare tuttavia opportuno che la delibera assembleare di delega individui le categorie di azioni che possono essere emesse in sede di aumento: la ragione risiede nella natura eccezionale della delega, che appare coerente con la previsione dell’esistenza di diverse categorie di azioni.

L’esistenza di diverse categorie di azioni e l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni

Laddove esistano più categorie di azioni, la decisione di aumento del capitale è subordinata ad una votazione separata almeno per ciascuna categoria di azionisti i cui diritti siano lesi dall’operazione (art. 25, par. 3), Si ritiene che la disposizione riconosca un diritto al rango a favore degli azionisti: tutte le volte in cui i rapporti tra le varie categorie di azioni vengono modificati a danno di qualcuna di esse, la delibera di aumento di capitale sarà subordinata al voto favorevole della relativa assemblea speciale.

L’art. 25, par. 4, della Seconda dir. soc., dispone l’applicabilità della disciplina sull’aumento di capitale all’emissione di obbligazioni convertibili in azioni o che forniscono un diritto di opzione per la sottoscrizione di azioni (c.d. warrants). Da tale parallelismo consegue la competenza assembleare all’emissione, con la relativa forma di pubblicità, ma anche la possibilità di delega ad un diverso organo, con gli oneri procedurali e le limitazioni già indicate.

L’ultimo inciso del paragrafo specifica che la disciplina non si applica alla conversione di titoli né all’esercizio del diritto di sottoscrizione, con ciò chiarendo che, una volta deliberato l’aumento, esso è a disposizione degli obbligazionisti e che l’emissione delle azioni conseguente all’esercizio della conversione o dell’opzione di sottoscrizione rientra nella competenza dell’organo amministrativo.

L’esecuzione

I conferimenti

L’art. 26 della Seconda dir. soc. pone a carico dei sottoscrittori delle azioni di nuova emissione l’obbligo di versare almeno il 25% del loro valore nominale (o contabile), rappresentando una garanzia minimale di protezione dei soci e dei terzi solo per le azioni emesse come corrispettivo di conferimenti in contanti. Per le azioni emesse a fronte di conferimenti non in contanti, l’art. 27 prevede l’obbligo di integrale liberazione entro cinque anni dalla decisione di aumento di capitale.

Con riguardo ai conferimenti non in contanti, il legislatore comunitario dispone la necessità di una previa relazione, da parte di uno o più esperti indipendenti, con le medesime caratteristiche della relazione avente ad oggetto i conferimenti non in contanti effettuati per la costituzione della società.

Il premio di emissione

L’art. 26 dispone che l’eventuale premio di emissione o sovrapprezzo previsto dalla delibera di aumento di capitale deve essere versato per intero contestualmente alla sottoscrizione delle azioni cui esso afferisce. Il sovrapprezzo rappresenta un importo che viene fatto pagare ai nuovi soci per salvaguardare la parità di trattamento con i soci attuali: le azioni di nuova emissione vengono sottoscritte al valore nominale, che può essere inferiore al valore patrimoniale (formato dal valore nominale iniziale delle azioni aumentato degli utili e diminuito delle perdite); in mancanza di sovrapprezzo, i nuovi azionisti si troverebbero a beneficiare di un maggior valore delle azioni a discapito dei vecchi soci; ai primi viene fatto pagare un quid pluris per adeguare il corrispettivo delle azioni al valore patrimoniale. La previsione dell’integrale liberazione del sovrapprezzo è coerente con tale ratio, per evitare che i nuovi soci lucrino rispetto al valore delle azioni sottoscritte.

La non integrale sottoscrizione dell’aumento

L’art. 28 della Seconda dir. soc. dispone che nel caso di aumento di capitale non integralmente sottoscritto non si dà luogo all’aumento (per un importo pari alle sottoscrizione raccolte) a meno che ciò non sia e­spressamente previsto nella relativa delibera. Si è deciso di lasciare all’assemblea (o all’organo delegato) la decisione circa la validità di un aumento parziale, ma si è previsto, a tutela dei sottoscrittori, che la relativa determinazione deve essere assunta in anticipo e non a sottoscrizioni avvenute: la società non potrà avere alcun potere discrezionale in relazione all’esito delle sottoscrizioni. Appare ragio­nevole ritenere che la società possa prevedere, ex ante, a tutela del proprio interesse a non dare esecuzione ad un aumento di capitale sottoscritto in misura irrisoria, un determinato livello minimo al raggiungimento del quale l’aumento si dovrà considerare eseguito.

Il diritto di opzione

L’art. 29 della Seconda dir. soc. dispone che nel caso di aumento di capitale sottoscritto mediante conferimenti in denaro, le azioni devono essere offerte in opzione agli azionisti in proporzione della quota di capitale rappresen­tata dalle loro azioni. Il diritto di opzione si sostanzia nel diritto dei soci di sottoscrivere le azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni già possedute e nel conseguente obbligo della società di non offrire le azioni di nuova emissione a terzi prima di averle offerte ai soci, finché il termine per esercitare l’opzione non sia infruttuosamente scaduto ovvero i soci non vi abbiano rinunciato. Esso trova la propria ratio nella salvaguardia della situazione patrimoniale dei soci in fase di aumento di capitale e del loro interesse a non veder pregiudicata la misura ed il valore reale della partecipazione al capitale ed al patrimonio sociale.

La disposizione riferisce il diritto di opzione al solo caso di aumento di capitale sottoscritto con conferimenti in contanti. Tale previsione ha una coerenza intrinseca in quanto il denaro rappresenta un bene fungibile mentre i con­ferimenti non in contanti non sono nella disponibilità di tutti i soci. La Corte di giustizia ha chiarito che il mancato riferimento, nell’art. 29, ai conferimenti non in contanti non significa che si sia voluto escludere il diritto di opzione in tali ipotesi, ma che ogni Stato membro è libero di prevedere o meno il diritto di opzione con riferimento a tale tipologia di aumento di capitale.

Onde evitare la potenziale alterazione della posizione economica e amministrativa del vecchi soci, la disposizione riferisce il diritto di opzione non solo alle azioni di nuova emissione bensì anche ai titoli convertibili in azioni o forniti di un diritto di sottoscrizione di azioni. Il diritto di opzione spetta a tutti gli azionisti della società e non è possibile che l’atto costitutivo o lo statuto ne dispongano limitazioni o esclusioni.

Tuttavia, il legislatore comunitario ha tenuto in con­siderazione anche l’interesse della società a far ricorso ad aumenti di capitale dedicati a soggetti esterni, anche al di là dei casi di liberazione delle azioni mediante conferimenti in natura, stabilendo che l’assemblea dei soci può limitare od escludere il diritto di opzione. Al riguardo sono disposte specifiche tutele per gli azionisti, in primo luogo quelli di minoranza:

    1. è richiesta una maggioranza qualificata, pari ai due terzi dei voti attribuiti ai titoli rappresentati o al capitale sottoscritto rappresentato;
    2. gli amministratori, per favorire un’adeguata informazione sulla delibera, devono presentare all’assemblea una relazione scritta che precisi i motivi addotti per la limitazione o l’esclusione del diritto di opzione e giustifichi il prezzo di emissione proposto per le azioni di nuova emissione;
    3. la deliberazione dell’assemblea deve essere oggetto di pubblicità (art. 3 Prima dir. soc.: è sempre quello!).

Anche la decisione di limitare o escludere il diritto di opzione può essere oggetto di delega ad altro organo della società, cui sia altresì delegato il potere di aumentare il capitale sociale, nei medesimi limiti quantitativi e temporali. La disposizione consente agli Stati membri di escludere dal novero dei soggetti beneficiari gli azionisti di godimento, ossia titolari di azioni fornite di un diritto limitato di partecipazione alle distribuzioni e alla suddivisione del patrimonio sociale in caso di liquidazione e, in presenza di diverse categorie di azionisti e fermo il principio generale per cui la deliberazione di aumento di capitale deve essere approvata dalla categoria di azionisti i cui diritti vengano lesi, di disporre che, qualora l’aumento di capitale comporti l’emissione di una sola categoria di azioni, il diritto di opzione spetti in primo luogo agli azionisti appartenenti alla medesima categoria e soltanto sulle azioni residue a quelli appartenenti alle diverse categorie.

Non viene considerata esclusione del diritto di opzione l’emissione delle nuove azioni in favore di banche o altri istituti finanziari allorché la sottoscrizione da parte di questi ultimi avvenga nell’ambito di un’operazione di collocamento per cui le banche e gli istituti finanziari dovranno successivamente offrire le azioni sottoscritte agli azionisti della società, in proporzione della quota di capitale da questi posseduta e secondo le medesime modalità con cui sarebbe dovuta avvenire l’offerta da parte della società.

Al fine di consentire l’esercizio del diritto di opzione a tutti gli azionisti della società, anche se non presenti alla relativa deliberazione o che comunque non ne abbiano preso visione, l’offerta delle azioni in opzione deve formare oggetto di pubblicazione secondo l’art. 3 della Prima dir. soc. Gli Stati membri possono tuttavia prevedere che tale pubblicazione non sia necessaria allorché tutte le azioni della società sono nominative ma tutti gli azionisti devono essere informati per iscritto. Medesima pubblicità deve avere il termine entro cui il diritto di opzione può essere esercitato, che non può essere stabilito in un periodo inferiore a 14 giorni a decorrere dalla pubblicazione dell’offerta in opzione o dall’invio delle lettere agli azionisti.