Acquisti pericolosi e dividendi

Gli acquisti “pericolosi”

L’art. 11 della Seconda dir. soc. contiene la disciplina dei c.d. acquisti pericolosi, per ciò intendendosi le acquisizioni di beni che la società compie entro due anni dalla propria costituzione dalle persone (fisiche o giuridiche) che hanno sottoscritto l’atto costitutivo o lo statuto o, se la costituzione della società non è simultanea, dalle persone che hanno sottoscritto il progetto di statuto o atto costitutivo. Si tratta di una disciplina che il legislatore comunitario ha inteso introdurre a tutela dell’integrità ed effettività del capitale sociale.

In queste ipotesi aumenta il rischio che la società, per i particolari rapporti che la legano con le predette persone, possa acquisire beni pagando un corrispettivo superiore all’effettivo valore degli stessi in elusione dell’obbligo di stima dei conferimenti non in contanti, che si può facilmente ottenere facendo figurare una sottoscrizione del capitale in denaro (per la quale non è necessaria la relazione dell’esperto) e disponendo immediatamente dopo l’acquisto di un bene dal socio, con conseguente estinzione del debito da conferimento per compensazione con il credito da prezzo. La norma comunitaria richiede che le predette acquisizioni da parte della società di elementi dell’attivo:

    1. appartenenti a persone che hanno sottoscritto l’atto costitutivo o lo statuto o a persone che hanno sottoscritto il progetto di statuto o atto costitutivo (ma gli Stati membri sono lasciati liberi di applicare la norma anche agli acquisti da azionisti in genere o da altre persone);
    2. aventi un valore di almeno un decimo del capitale sottoscritto, qualora l’acquisizione avvenga entro due anni dalla costituzione della società;

siano:

    1. soggette a una verifica e a una pubblicità analoghe a quelle a cui sono sottoposti i conferimenti non in contanti (siano assistite da una relazione di esperti che ne verifichi il valore);
    2. sottoposte all’approvazione dell’assemblea dei soci.

L’ultimo par. dell’art. 11 consente agli Stati membri di disporre che l’autorizzazione assembleare e la relazione degli esperti non sono richiesti per acquisizioni effettuate nell’ambito della amministrazione ordinaria della società, né alle acquisizioni effettuate sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa, né alle acquisizioni di borsa.

I limiti alla distribuzione degli utili

L’interesse degli azionisti alla periodica remunerazione dei capitali investiti deve comporsi con l’esigenza di garantire alla società la disponibilità di mezzi patrimoniali sufficienti a soddisfare le pretese dei terzi creditori e ad assicurare il perseguimento dell’oggetto sociale. Il capitale sociale è stato individuato quale strumento di equilibrio di queste contrapposte esigenze: una somma di valori patrimoniali attivi pari al capitale sociale è così gravata da un vincolo di indisponibilità fra i soci, almeno fino allo scioglimento della società. Al riguardo, l’art. 15 della Seconda dir. soc. dispone limiti sia alla distribuzione dell’attivo sia alla distribuzione di c.d. acconti sui dividendi.

Riguardo ai limiti alla distribuzione dell’attivo, il par. 1 dell’art. 15 dispone che si può procedere ad una distribuzione agli azionisti (per ciò intendendosi il versamento dei dividendi) quando l’attivo netto diminuito di quello che si intende distribuire, supera o per lo meno pareggia la somma degli importi del capitale sottoscritto e delle riserve indistribuibili per legge o per statuto. La norma è dettata a tutela dell’integrità del capitale sociale visto nella sua duplice funzione di attivo minimo destinato a garantire le pretese dei terzi creditori e di somma di valori ritenuti indispensabili dalla compagine sociale per assicurare la vitalità e lo sviluppo dell’impresa societaria.

L’importo di una distribuzione a favore degli azionisti non può superare l’importo del risultato dell’ultimo esercizio, aumentato degli utili degli esercizi precedenti e dei prelievi effettuati su riserve disponibili a questo scopo e diminuito delle perdite degli esercizi precedenti e delle somme iscritte a riserva conformemente alla legge o allo statuto. Per la determinazione dell’importo distribuibile ciò che rileva non è il risultato dell’ultimo esercizio chiuso, ma la situazione complessiva della società sin dal momento della sua costituzione. Il quadro normativo in tema di distribuzione di utili (e di acconti sui dividendi) è completato dall’art. 16 della Seconda dir. soc., secondo cui ogni distribuzione contrastante con quanto disposto dal legislatore comunitario comporta l’obbligo per gli azionisti di restituire le somme ricevute, purché la società dimostri che gli azionisti che le hanno percepite erano a conoscenza della irregolarità della distribuzione fatta a loro favore o non potevano ignorarla, tenuto conto delle circostanze.

Il principio viene normalmente letto in senso inverso e cioè che, ancorché sia successivamente accertata l’inesistenza degli utili, i dividendi (o gli acconti) erogati in conformità con la descritta procedura non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede. Questo principio è considerato un importante elemento per la valutazione comparativa dell’interesse sociale all’integrità del capitale rispetto a quello dei soci alla protezione dell’affidamento in colpevole.

I limiti alla distribuzione di acconti sui dividendi

Gli acconti sui dividendi rappresentano una distribuzione anticipata degli utili, in base a una decisione dell’organo amministrativo (o di sorveglianza), purché espressamente consentita dallo statuto sociale, anziché in forza di una delibera assembleare: di norma la distribuzione dei dividendi deve seguire la chiusura dell’esercizio e l’approvazione del relativo bilancio.

La distribuzione di acconti sui dividendi può rendersi opportuna in quelle società che attraggono il risparmio diffuso all’investimento nel proprio capitale azionario, scontando la necessità di garantire una remunerazione dell’investimento equivalente a quella del mercato obbligazionario. In questo senso, alcuni ordinamenti, quale quello italiano, consentono la distribuzione di tali acconti alle sole società i cui conti devono essere obbligatoriamente sottoposti alla certificazione di una società di revisione contabile. Il par. 2 dell’art. 15 della Seconda dir. soc. sottopone il versamento di acconti sui dividendi in favore degli azionisti alle seguenti condizioni:

  1. una situazione contabile dimostri che i fondi disponibili per la distribuzione sono sufficienti; si tratta di un documento analogo al bilancio d’esercizio, ma riferito ad un periodo infrannuale;
  2. l’importo da distribuire a titolo di acconto non superi l’importo dei risultati realizzati dalla fine dell’ultimo esercizio per cui sono stati stabiliti i conti annuali, aumentato degli utili degli esercizi precedenti e dei prelievi effettuati sulle riserve disponibili a tal fine e diminuito delle perdite degli esercizi precedenti e delle somme da iscrivere a riserva in virtù di un obbligo legale e statutario.

Il legislatore italiano ha fatto proprio il principio comunitario sancendo che l’ammontare degli acconti sui dividendi non può superare la minor somma tra l’importo degli utili conseguiti dalla chiusura dell’esercizio precedente, diminuito del­le quote che dovranno essere destinate a riserva per obbligo legale o statutario, e quello delle riserve disponibili. 

Il requisito dei fondi sufficienti per la distribuzione di acconti sui dividendi sta a indicare che nessuna distribuzione di acconti sui dividendi può avere luogo se, alla data di chiusura del periodo in relazione al quale questa vuol farsi, l’attivo netto quale risulta dalla predetta situazione contabile, è o potrebbe diventare, in seguito alla distribuzione, inferiore all’importo del capitale sottoscritto aumentato delle quote di riserve che la legge o lo statuto non permettono di distribuire. Quanto all’importo massimo di acconti sui dividendi distribuibile, la norma di cui al par. 2, lett. b), dell’art. 15 riproduce quanto già previsto come limite alla distribuzione dei dividendi annuali.