Le società di capitale
Esiste il principio della tipicità delle società, espresso dall’articolo 1322: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme corporative). Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.” Il fenomeno societario ha margini ridotti: non è possibile costituire una società atipica. È però possibile introdurre clausole atipiche, anche se la maggior parte delle norme hanno carattere imperativo, quindi non possono essere derogate.
Cenni storici
Le società di capitali nascono con il periodo delle grandi scoperte (1492), quando vi fu per la prima volta l’esigenza di reperire capitali ingenti per le avventure nei mari, limitando la responsabilità. Il sovrano disponeva agevolazioni, inizialmente, caso per caso e poi si sono standardizzate in un insieme di regole ben precise: di qui deriva il divieto di atipicità. Queste regole riguardano prevalentemente la disciplina del capitale sociale, delle partecipazioni sociali e l’autonomia patrimoniale.
Le SPA
Art. 2325 Nozione (articolo aggiornato con la nuova riforma). Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni. In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’articolo 2362. Si possono enucleare 3 aspetti:
- autonomia patrimoniale perfetta: insensibilità delle obbligazioni della società rispetto al patrimonio del socio e viceversa. Costituendo SPA si crea un soggetto di diritto autonomo dal socio, il cui patrimonio sarà insensibile, in linea di principio, alle vicende della società. L’imprenditore è senza dubbio la società: i soci non assumono mai tale qualifica.
- standardizzazione della partecipazione sociale: tutte le azioni sono uguali
- organizzazione di tipo corporativo. Nella SPA necessariamente devono esserci diversi organi ed a ciascuno sono attribuite specifiche competenze. Distinguiamo 3 Organi:
- L’assemblea dei soci: è formata dagli azionisti; ha competenze organizzative. Decide le regole del contratto sociale e nomina gli amministratori, cioè coloro che materialmente gestiranno la società (per questo si dice che l’amministrazione del socio è mediata). L’assemblea è regolata dal principio maggioritario: le decisioni vengono prese a maggioranza del capitale (a differenza delle società di persone dove vige il principio dell’unanimità).
- Il consiglio di amministrazione: è eletto dall’assemblea. È l’organo a cui è affidato in via esclusiva l’amministrazione della società. Non c’è nessuna commistione di ruoli: dopo che i soci hanno eletto gli amministratori, essi sono gli unici ad avere potere ed a rispondere dei danni arrecati. Se la società è in crisi e gli amministratori non hanno seguito il principio della “diligenza dell’amministrazione” i creditori potranno rivalersi sia sul patrimonio sociale sia su quello degli amministratori.
- Il collegio sindacale: è un organo di controllo che vigila sul rispetto delle regole di cui sopra.
Questo è il sistema tradizionale, l’unico possibile fino al 1° Gennaio 2004. La recente riforma prevede anche altri due sistemi (quello dualistico, tipicamente tedesco e quello monistico, importato dai paesi anglosassoni).
Come funziona una Società per Azioni (SPA)?
La forma delle SPA ha avuto successo per 2 motivi:
- limitazione di responsabilità
- facile vendibilità delle azioni
Questo coniuga le esigenze di due soggetti molto diversi:
- gli azionisti imprenditori
- gli azionisti risparmiatori.
È uno strumento che può essere utilizzato anche per imprese medie e familiari. Berl e Nixel studiavano questo problema già negli anni ’30 in America. In Italia esso è stato affrontato solo dal 1974 e nel 1998. Il suddetto problema è quello che riguarda le Public Company: esse sono società caratterizzate dall’azionariato polverizzato (l’azionista più grande ha di solito al massimo il 3%). Non essendovi nessun socio di controllo, la società è in mano al livello D e non P (ricorda Economia e gestione delle imprese): si ha dissociazione tra proprietà e controllo. Trasliamo questo discorso in Italia dove non esistono public company. Esiste, però, il fenomeno delle scatole cinesi (ricorda macroeconomia) che porta di fatto alla stessa dissociazione. A mano a mano che si scende nella catena della holding, il patrimonio investito è sempre minore. Questo apre nuovi scenari, ai cui problemi il codice del ’42 non dava risposta. La prima modifica italiana si ha nel ’74 con:
- l’istituzione della CONSOB: è un organismo che tutela i soci di minoranza (che in realtà possono addirittura essere di maggioranza per il principio sopra citato) nelle (e solo nelle) società quotate.
- l’introduzione delle azioni di risparmio: esse non danno diritto di voto ma garantiscono un reddito minimo (a differenza della CONSOB, questo meccanismo non ha funzionato molto bene).
La seconda modifica si ha nel ’98 e riguarda solo le società quotate: si è constatato che il risparmiatore non investe quasi mai direttamente in borsa, ma spessissimo lo fa tramite fondi d’investimento. Essi hanno 2 caratteristiche che il piccolo risparmiatore non possiede (e che rivitalizza i diritti delle minoranze):
- sono gestiti da soggetti preparati
- la loro partecipazione è di minoranza, ma non è insignificante.
Ulteriore passo si ha con la riforma del 2003 entrata in vigore il 1° Gennaio 2004. Essa ha riguardato tutte le società e particolarmente le c.d. società diffuse (n° di soci > 200, ma non quotate) e le c.d. società chiuse (non quotate e non diffuse). Esistono, quindi, ad oggi, 3 tipi di società: diffuse (aperte), chiuse, quotate.
La riforma del 2003: linee di fondo
La linea di fondo della riforma è quello di aumentare il grado di imperatività delle norme a mano a mano che si va verso le società quotate. Nelle società chiuse, infatti, i soci possono molto derogare le regole legali, a differenza delle quotate.
La società unipersonale e le riforme
Essa è stata introdotta con la riforma del 2003 entrata in vigore nel 1° Gennaio 2004. Iniziamo con un breve cenno storico. Nel 1942, riprendendo il codice del commercio del 1882, l’unica via per costituire società era quella di essere almeno in due soci, perché l’imprenditore individuale non poteva limitare la responsabilità. Esisteva la possibilità che la società rimanesse con un socio solo durante la propria esistenza (se al momento genetico la società era nulla).
Citiamo l’ Art. 2362 Unico azionista (vecchio cod.): In caso d’insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente. Tale articolo era facilmente aggirabile mediante società a partecipazioni incrociate (A controlla B che controlla C che controlla A): per questo erano vietate dall’art. 2360 c.c. Tuttavia tale articolo non stimolava l’imprenditoria giovanile, per cui il legislatore comunitario nel 1993 aveva emanato una direttiva sulla SRL unipersonale: la società a responsabilità limitata oggi può essere creata da un unico socio. Nella rubrica (che ricordiamo non ha mai valenza di legge) dell’art. 2247, infatti, dopo il 1993, è stata sostituita la parola “nozione” con la parola “contratto”, per ben far intendere che esistono ormai 2 tipi di società:
- quelle che nascono per contratto (quindi tra 2 o più soci);
- quelle che nascono con un socio unico.
N.B.: tuttavia non si era ancora arrivati al punto di poter far esistere la SPA unipersonale. Non può nemmeno esistere una SRL il cui unico socio sia un’altra società: egli deve essere una persona fisica. Prima del 2003, tra l’altro, si poteva essere soci una volta soltanto: la responsabilità limitata era persa nelle holding di SRL unipersonali. Ma arriviamo all’attuale normativa, dove quasi tutti i dogmi del passato sono caduti. Citiamo l’art. 2362 attualmente in vigore (prima l’unico socio era illimitatamente responsabile, oggi c’è la pubblicità). 2362. (Unico azionista). Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle imprese. L’unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall’iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione. I contratti della società con l’unico socio o le operazioni a favore dell’unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Oggi possono esistere anche le SPA unipersonali. Il socio può anche essere persona giuridica e tale persona, fisica o giuridica che sia, può continuare ad avere responsabilità limitata anche essendo titolare di più società. Restano solo 2 condizioni da rispettare:
- I conferimenti: il capitale sociale deve essere interamente sottoscritto. Questo non significa versato, ma soltanto che i soci devono obbligarsi a versarlo a semplice richiesta degli amministratori.
Il legislatore vuole, comunque, che sia anche versato il 25% (nella vecchia normativa erano i 3/10). Il capitale sociale deve essere versato tutto e subito nelle società unipersonali.
- Pubblicità: gli amministratori devono pubblicare i dati dell’unico socio.
Questi 2 requisiti non sono obbligatori, ma se non rispettati implicano la perdita della responsabilità limitata. Citiamo un’ultima regola per prevenire gli abusi. C’è il pericolo che, qualora l’unico socio si accorga di andare incontro a fallimento, venda a se stesso gli immobili per cifre irrisorie. Per contrastare questo fenomeno esistono le c.d. azioni revocatorie, allo scopo, appunto, di revocare gli atti compiuti prima di fallire (1 o 2 o 5 anni a seconda dei casi). Inoltre, per evitare tecniche elusive a danno dei creditori, cioè per evitare che l’unico socio dichiari di aver compiuto l’atto 6 anni prima, deve sussistere una data certa, trascritta nel “libro delle delibere del consiglio di amministrazione”.
La par condicio creditorum
Qualora si verifichi il fallimento di imprese commerciali, tutti devono subire le perdite allo stesso modo. Nel diritto comune, al contrario, chi prima arriva si soddisfa e gli altri subiscono le perdite pienamente.