Il processo di industrializzazione europea

L’Inghilterra e l’Europa Continentale

Alcuni ritengono che si debba usare l’espressione rivoluzione industriale solo in riferimento all’Inghilterra e industrializzazione per le altre regioni. Industrializzazione e sviluppo, come già accennato, finirono col fondersi, anche perché sarebbe scorretto affermare che i confini politici limitarono la sua diffusione.

Si determinarono divari di reddito incredibili tra le zone industrializzate e quelle non.

Per Phillis Deane la prima rivoluzione industriale fu l’insieme di svariate rivoluzioni: agraria, demografica, commerciale e dei trasporti.

Per Wrigley al centro del processo vi fu il carbon fossile, inserito in un contesto capace di massimizzarne il rendimento, evidenziando come la crescita dipese dall’uso di energia a buon mercato e su vasta scala che permise di vendere di più a prezzi inferiori. Tale processo era ormai in grado di autofinanziarsi.

L’età delle macchine, del carbone e del vapore (prima rivoluzione)

Fu l’industria italiana della seta a creare le prime filatrici automatiche. All’inizio gli inglesi stessi imitarono i progressi raggiunti altrove. Il carattere fondamentale della rivoluzione inglese fu la durata, non la rapidità.

Le macchine ebbero in questi processi un ruolo chiave, che produsse un effetto a valanga: la messa a punto in un settore creava una strozzatura a monte ed a valle, stimolando la ricerca ed innescando così un’espansione infinita.

Il primo brevetto di rulli fu di Lewis Paul, ma l’inventore del filatoio meccanico venne considerato Richard Arkwright, che utilizzandone una coppia lo fece davvero funzionare. Seguirono le invenzioni quali la spoletta voltante (jenny), il mulo (mule) e il mulo automatico (self-acting mule). Si trattava, tuttavia, di macchine costose, che cominciarono a svilupparsi davvero più di 50 anni dopo la loro invenzione (in Italia nel 1815, in Inghilterra nel ’40).

Il paradigma del carbone

A segnare il cambiamento fu, come già accennato, il passaggio dal legno al paradigma del carbone.

Il consumo eccessivo di legno portò alla deforestazione in Francia con gravi ripercussioni geologiche e sul prezzo del legno stesso. L’Inghilterra, ricordiamo, dipendeva dai paesi baltici per il legno. I canali, invece, e la vicinanza delle miniere al mare permisero la distribuzione del carbone con relativa facilità. Thomas Savery, inoltre, brevettò un congegno per eliminare l’acqua dalle miniere, chiamato “amico del minatore”. Thomas Newcomen realizzò una pompa a vapore che utilizzava la pressione atmosferica per estrarre l’acqua che si diffuse anche all’estero.

  • ·      Abrahan Darby, proprietario di una ferriera, come già accennato, riuscì a produrre buona ghisa utilizzando il carbone coke (da lui stesso creato, mediante un processo in assenza d’aria) e l’acciaio mediante il puddellaggio.
  • ·      James Watt, il padre della macchina a vapore, migliorò quella di Newcomen separando il condensatore dal cilindro e dal pistone.

Questi miglioramenti stimolarono la concorrenza nelle fonti di energia. E’ importante notare che quella idraulica era ancora la predominante fino al 1850, e veniva sfruttata soprattutto nell’industria tessile, poiché le ferriere necessitavano di molta più energia di quanta non ne potesse produrre la tecnologia idraulica.

Le macchine utensili e l’American System of Manufacturing

Menzioniamo le filettature di Whitworth, il maglio a vapore di Nasmyth e l’invenzione di una perforatrice basata sul linguaggio binario di Roberts, al quale si dovette anche la self-acting mule.

Negli USA, Whitney, Hall, North e T. Blanchard posero i presupposti dell’American System of Manufacturing:

era un importante sistema basato sulla standardizzazione dei prodotti e sull’intercambiabilità delle parti.

Questo principio dell’intercambiabilità fu adottato dapprima nella guerra di Secessione per la produzione di armi, poi negli altri settori. In Europa si preferiva ancora avere una propensione per la qualità, piuttosto che per la standardizzazione.

L’illuminazione a gas fu utilizzata per prima dagli inglesi per lavorare di notte nelle fabbriche di Manchester e Pall Mall.

La mongolfiera, sperimentata dai fratelli Montgolfier, rimandò alla leggenda del nuovo Prometeo tecnologico che accompagnava la rivoluzione industriale.

La seconda rivoluzione industriale: l’età dell’acciaio della chimica e dell’elettricità

Scienza e industria: l’acciaio

Con la seconda rivoluzione industriale apparve più nettamente il legame scienza ó industria.

Prima erano stati gli artigiani geniali, privi di istruzione, a fare la differenza. Divennero importanti le economie di scala, le tecnologie e le esternalità (vedi anche Economia Politica I: effetti che un’attività ha sull’esterno).

Il prodotto fondamentale fu l’acciaio, che sommava i benefici di ferro e ghisa. Esso lo divenne, però, quando Bessemer ne abbassò i costi di produzione inventando il convertitore, e grazie anche a Gilchrist e Thomas che elaborarono un processo di eliminazione del fosforo. Si iniziò a farne grande uso dal 1880.

Chimica ed energia elettrica

La chimica era legata alle ricerche scientifiche di laboratorio ed ebbe il suo centro in Germania, paese leader del settore.

L’illuminazione fu dimostrata da Davy nel 1808, il motore elettrico e la dinamo nel ’21 da Faraday. Le realizzazioni di Bergès aprirono la strada alle centrali idroelettriche. L’uso principale dell’elettricità fu la telegrafia.

Edison e Swan costruirono le prime lampadine, subito applicate nei dintorni di New York.

Dal 1914 il petrolio iniziò a fare concorrenza al carbone e si entrò “nell’era del petrolio”.

Dai congelatori alla macchina da scrivere

L’agricoltura beneficiò più dei fertilizzanti, e dei fungicidi che delle macchine. Pasteur scoprì i batteri ed aprì la strada alle tecniche di preparazione dei cibi. La centrifuga permise di separare il siero del latte, la refrigerazione permise il trasporto delle carni congelate. L’innovazione più famosa fu la tastiera QWERTY, che introdusse la soluzione all’accavallamento dei martelletti. Nel 1846 fu inventata la rotativa. Nel 1800 fu inventata la fotografia, poi diffusa un secolo dopo.

Gli attori dell’industrializzazione: imprenditori e imprese (vedi appunti di Economia Aziendale)

L’imprenditore è definibile come l’individuo o l’insieme di individui che sono in possesso dei mezzi di produzione (capitale fisso e capitale circolante). Si assume il rischio d’impresa e l’utile è il premio che lo compensa.

Il reinvestimento dell’utile nell’impresa (o autofinanziamento o accumulazione di capitale) gli permette la crescita.

L’obiettivo dell’imprenditore è la massimizzazione del profitto, prima ancora del volume di produzione.

Esistevano differenti configurazioni di mercato (vedi appunti di Economia Politica I). La prima a svilupparsi fu la concorrenza perfetta, poi quella imperfetta, quindi oligo/monopoli nel XIX secolo.

Fino al 1860 le imprese erano soprattutto SNC (vedi Eco. Az.), caratterizzate da responsabilità illimitata e solidale.

Il connubio famiglia-impresa rimase, tuttavia, una costante. A poco a poco, visto l’impellente bisogno di finanziamento, cominciarono a nascere società anonime per azioni, fino ad assumere un ruolo fondamentale, sebbene inizialmente risentirono delle limitazioni legislative. Esse vennero risolte nel 1882 con il codice Mancini.

Crebbero allora le economie di scala (vedi Pol.I), ovvero quelle produzioni che minimizzavano i costi con l’aumento delle dimensioni aziendali.

Dato il forte peso dei costi fissi su quelli variabili (vedi Pol.I) le grandi imprese avevano interesse a continuare la produzione per minimizzare le perdite, questo però fece nascere la reazione contro la concorrenza anarchica.

Esistevano due correnti in contrasto: una che voleva la regolamentazione dei monopoli da parte del Governo, l’altra (legge Clayton antitrust, 1914) che puntava al ripristino della concorrenza perfetta.

Nota: Le banche

All’inizio ebbero un ruolo limitato. Le Banche Centrali si limitavano a praticare il risconto (vedi Economia Politica II) e fare anticipi allo Stato.

Col procedere dell’industrializzazione nacquero le banche per azioni che si distinguevano in banche d’affari (es.: il Credit Lyonnais) e banche di deposito (es.: Banque de Paris et des Pays Bas).

Le banche di deposito si occupavano di investimenti a breve termine (nel passivo avevano ingenti mezzi dati dai depositi a vista. Per quanto riguarda l’attivo si dedicavano a operazioni ordinarie, quali i conti correnti), mentre quelle d’affari a medio-lungo, termine più rischioso (nel passivo avevano i depositi dei capitalisti e delle imprese, nell’attivo partecipazioni nelle società e prestiti governativi).

Dal 1826 si potevano fare gli assegni (chéque) per rimediare all’offerta anelastica di moneta della Banca d’Inghilterra (vedi appunti di Economia Politica I).

Nel 1914 “le Big Five” controllavano gran parte dei sistemi finanziari d’Inghilterra, dove le banche erano molto specializzate nei diversi settori.

In Francia il Credito Lionese ebbe problemi con i finanziamenti di lungo termine alle imprese e preferì limitarsi al breve periodo e alla sottoscrizione di prestiti governativi.

Il Credit Mobilier fallì nella crisi del ’67 a causa della forte immobilizzazione delle sue fonti a lunga scadenza.

Nota: in Germania il legame tra banca e industria fu molto più stretto (ad es.: la Deutsche Bank).

Esse davano sia credito a breve termine, sia a medio-lungo, superando il limite della specializzazione anglosassone.

Nacquero, dunque, le banche miste (importante).

Esse sostennero in maniera fondamentale le società industriali, favorendo aumenti di capitali, collocazione delle azioni e delle obbligazioni. Possedevano pacchetti delle società per il controllo dall’interno e la riduzione del rischio.

Giunsero sino a regolamentare la protezione del mercato e a far nascere cartelli tra imprese.

Il modo tedesco di fare banca venne allora copiato in molti altri stati europei (Svizzera, Spagna, Nord-Italia, Svezia).

Le istituzioni pubbliche

Paesi a forte autonomia locale, come la Gran Bretagna e gli USA, videro una preponderanza dell’iniziativa privata, altri, quali la Francia o la Prussia, videro un maggiore intervento statale.

Si fece maggior ricorso alle imposte indirette, che colpivano i consumi, aumentando le disuguaglianze sociali.

Si sviluppo un complesso sistema di brevetti, regolamentazioni bancarie, e spese per infrastrutture.

Si può ritenere che il “laissez faire” puro, predicato dai classici, non sia mai esistito.

Il contributo più importante fu nell’educazione, associata a 3 concetti:

1.     Educazione e sviluppo: vide la Germania molto più avanti rispetto all’Inghilterra, sia perché in G.B. l’insegnamento divenne gratuito soltanto nel 1891, sia perché non seppero strutturare un sistema efficiente, cercando di aggregare la classe operaia nel sistema sociale.

2.     Educazione e declino: in Inghilterra commisero lo sbaglio di tralasciare la preparazione tecnico-scientifico-ingegneristica, mentre la preparazione umanistica ebbe splendore ad Oxford e Cambridge.

3.     Educazione e cambiamento economico: l’associazione tra di essi ha dato sempre più peso ai concetti di capitale umano e capitale sociale.

hajktra di essi ha dato sempre più peso ai concetti di capitale umano e capitale sociale.-ingegneristica. Ricordiamo che l’educazione non va intesa esclusivamente in termini di tasso di alfabetizzazione.

I percorsi nazionali: Gran Bretagna e Stati Uniti

Nell’Ottocento le tonnellate di ghisa contavano più delle migliaia di uomini al lavoro.

Fino agli anni ’80 la G.B. mantenne saldamente la prima posizione, poi cominciò a retrocedere dopo USA e Germania.

Gli inglesi sostenuti dal clima di liberalismo ebbero la possibilità di accumulare capitale; nel 1900, però, vennero raggiunti e sorpassati dagli americani, grazie alle risorse naturali superiori, alla protezione doganale, ad un mercato dinamico ed all’ambiente sociale favorevole all’adozione di tecniche moderne (la relativa scarsa manodopera ed il costo alto della stessa negli USA spinse alla meccanizzazione). Anche i tedeschi migliorarono, soprattutto grazie ad intense attività di laboratorio.

Al contrario, gli inglesi erano ormai appagati e la loro “mentalità di superiorità ed esperienza” frenò lo sviluppo.

Il Belgio

A metà Ottocento lo sviluppo si disegnava intorno alle miniere di carbone cokizzabile. L’area belga, vista la posizione geografica, era quella morfologicamente più simile alla inglese, favorita dalle stesse risorse naturali.

Vi risiedevano 7,7 milioni di abitanti e per questo ebbe lo sviluppo del “piccolo paese”.

Un esperimento belga degno di nota fu la Société générale de Belgique, una banca di investimenti che deteneva pacchetti azionari di imprese industriali. Nel 1835 si trasformò in “Banque de Belgique”, dopo aver rilevato ben 24 industrie.

In termini relativi alla sua limitatezza geografica, il Belgio fu il paese più industrializzato fino alla 1° guerra mondiale.

La Francia

Essa si differenziò per il suo percorso evolutivo da Inghilterra e Belgio, poiché, come già accennato, ¾ del suo output era costituito da beni di lusso ad alto valore aggiunto.

Emersero punti di debolezza tra cui: la sconfitta nella guerra con la Prussia, con la perdita dell’Alsazia-Lorena, il protezionismo attuato in un paese fortemente esportatore, la dipendenza dall’energia idraulica.

L’elettricità consentì un recupero nel settore trainante dell’automobilismo.

La Germania

Fu il concorrente continentale più temibile per l’Inghilterra. Seguì un percorso che si differenziava ancora di più da quello inglese, fondato sulla partecipazione dello Stato e sul ruolo propulsivo delle banche miste.

Il modello tedesco, come quello inglese fu unico ed irripetibile, configurandosi come “capitalismo organizzato”.

La tendenza verso il big business lo accomunò a quello americano, però con un diverso approccio legislativo e istituzionale.

I cartelli, ad esempio, erano ritenuti legittimi. Alla vigilia della prima guerra mondiale la Germania copriva ¾ delle esportazioni chimiche, grazie a colossi quali la Bayer. Fu la prima nazione ad introdurre la previdenza sociale statale.

L’Impero Asburgico, la Russia e la Spagna

Il sistema finanziario tedesco venne imitato dall’Impero Asburgico. La situazione, però, era ben diversa, con un predominio dell’industria leggera. Solo l’Austria, la Boemia e l’Italia del nord erano regioni avanzate, il resto dell’Impero arretrato.

La Russia aveva raggiunto dei significativi progressi, soprattutto nelle ferrovie (col maggior chilometraggio del mondo), ma essi “annegavano” nell’enorme estensione territoriale. Lo zar, inoltre, aveva abolito solo nel 1861 la servitù e l’effettiva privatizzazione delle terre avvenne solo col ministro Solypin nel 1907.

Lo Stato svolse un ruolo sostitutivo dei canali privati e fu la domanda pubblica a fare decollare negli anni ’80 l’industria pesante. L’investimento estero in Russia fu fondamentale, soprattutto per lo sviluppo delle ferrovie.

Il capitale straniero finanziava il debito russo, ma per fare questo si tassarono redditi pro-capite già bassi.

Problemi anche in Spagna, vista l’arretratezza dell’agricoltura e dell’istruzione, eccetto la Catalogna ed i Paesi Baschi.

L’Italia

Concentrò nel nordovest le proprie attività, data la ricchezza di energia idraulica e di materie prime. Si trattava di attività tessili, soprattutto di tessuti grezzi, importanti per le esportazioni. La siderurgia e la meccanica versavano ancora in cattive acque, prevalendo le piccole unità e l’artigianato.

Il vero problema fu la frammentazione degli Stati pre-unitari, che rese difficile l’opera dei governi di porre le basi del nuovo Stato Unitario. Tali governi si impegnarono in vaste opere di modernizzazione, facendo largo uso della leva fiscale (compresa la famigerata “tassa sul macinato”). Si era penalizzati, tuttavia, dalla mancanza di carbone e dalla ristrettezza dell’autofinanziamento. Il ruolo dello Stato fu particolarmente rilevante  e portò allo sviluppo di tutti i settori nell’ultimo ventennio dell’800 (FIAT, 1899).

Nel sistema bancario italiano crebbe il ruolo delle banche miste alla tedesca a sostegno delle grandi imprese, mentre per quelle di piccole dimensioni c’erano casse di risparmio di impostazione liberale e cattolica.

La forza produttiva si concentrava, come già detto, nel triangolo industriale: Piemonte, Liguria, Lombardia, lasciando squilibri regionali tutt’oggi problematici.