Crescita e formazione dell’economia europea

Un secolo di crescita continuativa

Secondo Maddison, nel corso dello sviluppo, esistono aree guida ed aree inseguitrici. Per economie guida egli intende quelle che sfruttano più efficacemente le conoscenze tecniche disponibili in un dato periodo. I paesi sviluppati, dunque, risultano favoriti dalla cumulazione delle ricerche.
Secondo questa teoria esistono 4 fasi successive corrispondenti a 4 aree guida:

  1. 1100-1500: Italia del Nord e Fiandre
  2. 1600-1750: Olanda
  3. 1750-1890: Inghilterra
  4. 1890 ad oggi: USA

La prima vera forza industriale fu l’Inghilterra, grazie alla produzione tessile, siderurgica, meccanica, ma soprattutto grazie allo sfruttamento intensivo del carbone.
L’importanza del settore primario, soprattutto in Gran Bretagna, infatti, andò riducendosi a favore del secondario, per questo si tende ad identificare il progresso con l’industrializzazione. Spesso, però, l’agricoltura non era arretrata ed anch’essa contribuiva allo sviluppo.
Finalmente l’Europa si liberò della forza animale sostituendola con la meccanica, sfruttando meglio le risorse scarse.
A differenza dei secoli precedenti, il 1800 sestuplicò il PIL, secondo l’analisi di Bairoch, senza un corrispondente aumento demografico, aumentando quindi il reddito pro-capite con grande continuità (fattore fondamentale), fino alla vigilia della prima guerra mondiale. L’aumento di reddito pro-capite fu relativamente basso negli USA, invece, perché la popolazione aumentò notevolmente a cause delle immigrazioni.
La crescita economica moderna (vedi appunti di economia politica II)
Essa è rapportata alla quantità di beni prodotti da un Paese. Si calcola sommando i valori aggiunti, per cui la produzione totale è praticamente uguale al reddito. Viene valutata in base alla variazione del PIL a prezzi costanti.
Il PIL è la somma di tutti i beni e servizi finali all’interno di un paese, mentre il PNL è dato soltanto dai redditi dei residenti. Se si vuole confrontare i livelli di diversi Paesi, tuttavia, occorre considerare un altro indice: il PPP (purchasing power parity). I dati della contabilità nazionale sono indici insostituibili, ma non tengono conto delle performance delle regioni-pilota. Il caso italiano è emblematico: secondo le stime di Zamagni nel 1911 il “triangolo industriale” (Lombardia, Piemonte, Liguria) era di un terzo superiore alla media italiana, tedesca e francese. Le stime regionali, comunque, restano di difficile valutazione.

I cambiamenti strutturali

 Il tasso di attività, ovvero il rapporto tra popolazione attiva (occupati e persone in cerca di occupazione, cioè disoccupati involontari) e totale, è difficile da calcolare, tuttavia era chiaramente in crescita, soprattutto per l’aumento di attività femminile. L’incremento del reddito pro-capite s’accompagnò ad un decremento della fertilità e della mortalità, ad un aumento della scolarizzazione, della urbanizzazione e del commercio internazionale.

Ritmi, fasi e modelli di crescita: l’Inghilterra e gli altri

Sulla crescita della Gran Bretagna e del mondo occidentale focalizzarono le loro attenzioni Adam Smith e Mill, come pure Marx. Quest’ultimo divise la società precapitalista agraria e quella capitalista industriale.
La “scuola storica” tedesca che fondò la storia economica, rifiutò l’esistenza di leggi universali sostenendo che le leggi dell’economia sono determinate dalla congiuntura, dalla logistica e dalle istituzioni. Questa idea trovò la sua massima espressione nella teoria degli stadi di sviluppo.
Tema centrale furono, sia per i marginalisti sia per i teorici neoclassici, le crisi cicliche che perturbavano lo sviluppo, alla ricerca di regolarità empiriche nella storia passata per ottenere delle previsioni.

Cicli, fluttuazioni e attività innovativa

Nello studio della regolarità delle fluttuazioni un notevole studio fu svolto da Schumpeter, che definì 3 cicli principali:
1. il ciclo classico (detto anche maggiore o Juglar, un francese): dura tra i 7 e gli 11 anni; è diviso in altre 4 fasi:
a. recessione
b. depressione
c. ripresa
d. boom
2. il ciclo minore (detto anche Kitchin, un teorico inglese): esso mostra sostanzialmente una corrispondenza con i cicli delle rimanenze
3. i movimenti di lungo periodo (detto anche Kondratieff, un russo, o onde lunghe): durano circa 50 anni, sono composti da due fasi, una ascendente ed una discendente.

Schumpeter sosteneva che “il progresso rende instabile il mondo economico”. Discostandosi dalla scuola classica, egli distinse invenzioni da innovazioni. Le invenzioni hanno origine scientifica, ma non sono rilevanti per l’analisi economica. Le innovazioni, invece, si sviluppano in modo endogeno al sistema economico in risposta ai bisogni, dando senso anche alle invenzioni. Esse scaturiscono dall’iniziativa degli imprenditori innovatori, che conquistano nuovi mercati e raggiungono una posizione monopolistica (che compensa il rischio iniziale) e vengono successivamente imitati. L’impresa first mover (o leader) è quella che decide senza essere condizionata. L’impresa follower è quella che si adegua (vedi appunti di economia politica I).

Le questioni della crescita tornarono “di moda” dopo la seconda Guerra mondiale, con un obiettivo differente: il progresso dei Paesi sottosviluppati. La riflessione riprese dalla storia della Gran Bretagna, spesso, però, senza considerare la multipolarità e la multilinearità dello sviluppo stesso.

Le teorie della storia economica: gli stadi di Rostow e il take off

Si passò gradualmente dall’imitazione del modello inglese ad un’analisi generalizzante per l’intera Europa.
Gerschenkron e Rostow, negli anni sessanta, non accettarono il modello dei cicli e proposero un’interpretazione incrementale dello sviluppo. Rostow, nel suo “Stages of Economic Growth” del 1960, propose 5 fasi successive:

1. La società tradizionale:
a. situazione pre-industriale
b. preponderanza dell’agricoltura
c. società chiusa
d. epidemie e carestie
e. Tasso di investimento = tasso di incremento demografico

2. La transizione (il pre-decollo o proto-industrializzazione):
a. reindirizzamento di lavoro e capitali dalla campagna alle industrie
b. processo di accumulazione di capitali, infrastrutture e know-how
c. sviluppo del sistema bancario
d. efficienza nell’import e nell’expor

3. Il decollo (take off): è il processo di accelerazione spontaneo o indotto, che, nel giro di 30 anni, trasforma permanentemente l’economia portandola a livelli produttivi stabili e molto superiori. Caratteristiche:
a. autofinanziamento delle imprese
b. innalzamento dei tassi d’investimento (circa 10% del PIL)
c. costituzione di un quadro politico tale da consentire un aumento costante dei redditi
d. sviluppo dei settori guida (leading sectors) e delle industrie sussidiarie
e. l’industria subentra all’agricoltura come settore fondamentale

4. La maturità:
a. il processo si estende
b. investimenti fino al 20% del PIL
c. la produzione supera l’incremento demografico
d. il reddito pro-capite aumenta con continuità
e. quando calano le necessità di investimento aumentano i consumi

5. L’età dei consumi di massa:
a. processi di standardizzazione spinti dal consumismo per abbassare i costi
b. allargamento dei beni di consumo

Sebbene il concetto di decollo resti discutibile, Rostow diede una visione panoramica dello sviluppo notevolissima, e diede l’opportunità agli storici successivi di mettere a punto diverse cronologie dei propri Paesi.
I suoi difetti sono:
1. il presupposto “del 10%” non trova riscontro storico
2. non spiega come si possa passare da una fase ad un’altra
3. attribuisce eccessiva importanza ad alcuni settori, senza una visione d’insieme (molto più intricata)
4. non considera le dimensioni del fenomeno: regionale, nazionale, internazionale
5. è una mera imitazione della storia, senza varianti, che pretende che si possa uniformare per tutte le economie europee

Gerschenkron e i vantaggi dell’arretratezza

Molti Paesi hanno avuto una crescita analoga, ma con differenze. Questo ha condotto Gerschenkron a cercare una spiegazione basata su di esse, focalizzandosi sui meccanismi che mettono i paesi ritardatari in grado di svilupparsi.
Fondamentale è il concetto di arretratezza relativa rispetto al paese leader (G.B.).
Qualora i prerequisiti manchino, si possono cercare dei fattori sostitutivi.
Si tratta di stimolare i processi naturali al fine di un recupero (catching up) veloce. Questo modello somiglia a quello di Rostow, poiché prevede una fase di decollo (big spurt).
Altro concetto fondamentale è il vantaggio dell’arretratezza:
1. chi arriva dopo può imitare le tecnologie senza il rischio iniziale, e chi parte per primo non è sicuro di mantenere la propria posizione dominante
2. si sviluppa più rapidamente (industrie soprattutto)
3. maggiore produzione di beni strumentali anziché di consumo
4. migliore istituzionalizzazione
5. minore crescita agricola
6. maggiore importazione di tecniche
7. il settore trainante non è sempre quello industriale come in G.B.
8. le fasi successive allo sviluppo generano diversi tipi di capitalismo, soprattutto nelle istituzioni

Il suo difetto è (visto il peso dell’intervento statale, istituzionale e finanziario) che diventa labile la divisione tra stati leader e follower e che lo sfondo economico era esclusivamente nazionale.
Si giunse a qualificare il caso inglese come un’eccezione anziché un modello.

Il problema delle unità di analisi: Pollard e la regione economica

Con il suo volume “The peaceful Conquest” del 1981, per la prima volta Sidney Pollard analizzò lo sviluppo, per unità regionali e non nazionali, poiché egli sostenne che l’industrializzazione europea si realizzò in ogni nazione su base regionale. A differenza di Gerschenkron, egli introdusse il concetto di differenziale della contemporaneità, di cui è un esempio tipico la costruzione delle ferrovie, che ebbero utilità diverse a seconda delle zone.

Path dependence, istituzioni e svillupo economico, il ruolo dello Stato

Seguendo un approccio più scientifico, tra i concetti significativi troviamo quello di path dependence, elaborato da Paul David. Secondo lui, il cammino dei first comers non può essere imitato perfettamente, poiché catene di eventi casuali delimitano il campo delle scelte.
La competizione porta all’abbassamento dei costi di transizione (ovvero costi di ricerca, organizzazione e diffusione), questo con riferimento anche alle istituzioni.
Douglas North teorizzò, infatti, il mutamento economico come risultato di cambiamenti istituzionali, poiché persino nel paese del “laissez faire” (la G.B.) il ruolo dello Stato fu fondamentale (soprattutto per garantire la proprietà privata).
La presenza dello Stato è dunque giustificata dalla presenza proprio dei costi di transazione.
A questo punto maturarono due teorie:
1. il liberismo (mano invisibile di Adam Smith): lasciare spazio ai meccanismi di mercato
2. la dottrina interventista

Già fin dal primo Ottocento, oltre che negli USA (Belgio, Francia e Germania), Hamilton – segretario di Stato di Washington – andava ponendo le premesse politiche poi concretizzate nel corso del ‘900.
Questi paesi erano accomunati dalla fiducia nello Stato per l’industrializzazione.
In Paesi più recenti, tra cui l’Italia, lo Stato ebbe un ruolo fondamentale nell’unificazione politica.
Negli USA si sviluppò il modello di Stato regolatore (modello “debole”), ancor oggi prevalente, mentre in Europa prese consistenza il modello “forte” di Stato e fiducia nel big government, con politiche dirigiste.
Il peso dello Stato è sempre andato in crescendo (spesa pubblica e interventismo).
Si è giunti alla conclusione che il capitalismo non funziona se privo di almeno uno “Stato minimo”: “law and order“ (leggi, soprattutto per la difesa della proprietà, amministrazione, giustizia e ordine pubblico, istruzione, poste, sanità e trasporti). Questo concetto di Stato minimale si rifà a dei principi liberisti, totalmente opposti a quelli sovietici del 1900 che negavano il mercato.