Come si è arrivati alla crisi finanziaria

Le fasi della crisi finanziaria

Per capire bene lo svolgimento dei fatti occorre partire da lontano e arrivare rapidamente al presente: fino agli anni ’30 del Novecento, troviamo un clima regolamentare complessivamente improntato al laissez faire; negli anni ’30, in seguito alla grande crisi finanziaria, viene introdotta una rigida regolamentazione di tipo strutturale (i due capisaldi sono il Glass Steagall Act, USA 1933, e la Legge Bancaria, Italia 1936-38); mentre si consolida questo modello, a partire dagli anni ’60 intervengono alcuni cambiamenti: sviluppo del mercato mobiliare, in competizione con l’intermediazione creditizia di tipo classico, che spinge verso la disintermediazione bancaria; sviluppo del pensiero economico di orientamento liberistico e orientato al mercato: monetarismo di M. Friedman, Scuola liberista di Chicago, capital asset pricing model (Lintner-Treynor), teorie del portfolio management (Markowitz-Sharpe), efficient market hypothesis (Fama), option pricing (Black-Scholes), che spingono verso modelli evoluti di risk management; affermazione del pensiero politico liberista pro-market (Reagan-Thatcher, anni ’80); pressioni della lobby bancaria per l’allentamento delle barriere normative all’uscita, costrittive dell’imprenditorialità strategica degli intermediari finanziari e della loro redditività; inizia la demolizione della regolamentazione strutturale. Nel 1986, alle commercial banks americane viene consentita l’operatività sui mercati mobiliari tramite securities houses; negli anni ’80, in Europa, vengono emanate Direttive Comunitarie orientate alla deregolamentazione (libertà di stabilimento, principio del mutuo riconoscimento); nel 1988, entra in vigore il Nuovo Accordo sul Capitale (Basilea 1), con il quale viene introdotto il modello della regolamentazione prudenziale; nel 1989, in Italia, si comincia a parlare di gruppi bancari polifunzionali, poi di liberalizzazione del movimento dei capitali e di privatizzazioni bancarie (Legge Amato, dismissioni partecipazioni bancarie IRI); nel 1994, viene introdotto il Testo Unico Bancario; in parallelo e successivamente notiamo fenomeni come: innovazione finanziaria (per es. strumenti derivati), sostenuta dall’innovazione tecnologica e dall’articolazione dei mercati mobiliari; articolazione dei modelli dell’intermediazione bancaria: creditizia, mobiliare, cartolarizzata dei prestiti, wholesale funding; combinazione dei modelli di business; diversificazione, internazionalizzazione, sviluppo dimensionale (in prevalenza con acquisizioni) della banca; consolidamento e concentrazione della financial services industry; forte aumento delle interdipendenze bancarie (relazioni di credito-debito, strumenti derivati, repo-markets,¼); espansione delle attività fuori bilancio, sviluppo delle filiere della cartolarizzazione (shadow banking); espansione-occultamento delle leve finanziarie sulla liquidità proprietaria e sul patrimonio; affermazione, sviluppo e centralità del modello della grande banca universale-globale, caratterizzata dal grande ed esplosivo successo fino al 2007 delle cosiddette megabanks.

Le evidenze della crisi

Vari elementi mettono in evidenza la crisi degli ultimi anni: un fattore esogeno casuale – negli Stati Uniti, l’inversione di tendenza del mercato immobiliare americano espone il debito ipotecario sub-prime a crescenti rischi di insolvenza e innesca crisi bancarie concatenate (contagio) con rapide e forti irradiazioni nelle filiere della cartolarizzazione (veicoli, venditori di protezione dal rischio di credito, investitori finali,¼); svalutazione degli attivi bancari, effetto negativo sui patrimoni netti, crescente fabbisogno di liquidità, (s)vendita di attivi bancari, crescenti svalutazioni degli attivi bancari, ulteriori effetti sulla patrimonializzazione, aggravamento diffuso dei rischi di liquidità e di solvibilità: si innesca e si diffonde una spirale negativa, con il conseguente collasso delle relazioni fiduciarie interbancarie e dei mercati interbancari e opacità dei bilanci bancari; la fragilità del sistema diviene rapidamente evidente e pone in chiara luce la gravità del rischio sistemico e dei suoi devastanti effetti sulla funzionalità del sistema rispetto all’economia reale (la banca deve essere liquida, solvibile, produrre credito, produrre moneta, gestire pagamenti,¼).

Gli interventi pubblici d’urgenza

Gli interventi pubblici introdotti con urgenza per far fronte alla crisi sono stati molti: proteggere i passivi delle banche con garanzie pubbliche di vario tipo, in modo da prevenire la corsa al prelevamento; sostenere la patrimonializzazione delle banche, con vari interventi favoriti soprattutto dai governi; immettere liquidità nei sistemi, con la speranza di ritardare l’evidenza drammatica di un’insolvenza.

Il modello della grande banca universale e globale, diversificata, centrale, fortemente interconnessa, con rilevanti posizioni fuori bilancio è chiaramente in crisi. Cadono i miti della grande dimensione, dell’ampia diversificazione, dell’estesa internazionalizzazione, venduti dagli stessi amministratori delegati, e resta sul tavolo il problema della banca troppo grande, di cui è impossibile concepire il fallimento o immaginarne la dipendenza dalla protezione pubblica. Di queste grandi banche ne è fallita una sola, la Lehman Brothers, ma si è provveduto a renderlo un caso unico nella storia.

I nuovi orientamenti della regolamentazione bancaria

Dopo gli interventi pubblici d’urgenza, anche la regolamentazione ha tentato di porre un freno alla crisi, con vari accorgimenti: una regolamentazione micro-prudenziale più severa e rigorosa (Basilea 3), che richiede: più elevati rischi di patrimonializzazione e più rigorosa definizione del capitale regolamentare, in una prospettiva graduale di medio periodo, abbreviata dall’European Banking Authority; nuovi coefficienti di liquidità: liquidity coverage ratio: proprietà di attività liquide; net stable funding ratio: equilibrio delle strutture per scadenze degli attivi e dei passivi; con l’obiettivo sostanziale e principale di rendere la singola banca più resistente sia ai rischi di solvibilità indotti dalla svalutazione degli attivi, sia ai rischi di liquidità (shocks esogeni, market liquidity risk, funding risk), con effetto di mitigazione del rischio sistemico; misure di regolamentazione macro-prudenziale, rivolte alle banche così grandi e così interconnesse da costituire una minaccia per il sistema, le cosiddette global sistematically important financial institutions (GSIFI), che impongono: limiti di leva finanziaria; maggiore patrimonializzazione; living wills (orderly resolution); resolution authority con l’obiettivo di disciplinare direttamente e specificamente le istituzioni finanziarie caratterizzate da elevato potenziale di contagio; qualche misura di regolamentazione strutturale, senza peraltro un disegno organico: recinzione, con specifica patrimonializzazione e pubblica protezione delle attività bancarie connotabili come public utilities (intermediazione creditizia di base,¼) secondo il modello del ring fencing, avanzato dal Vickers Report; limitazione delle attività di proprietary trading in congiunzione con l’intermediazione creditizia (la cosiddetta Volcker rule); proposta di applicazione di ponderazioni di rischio penalizzanti sui finanziamenti a settori esposti a rischio di bolla speculativa (UK, Financial Policy Commitee); accentramento della negoziazione di alcune categorie di strumenti derivati con elevato potenziale di contagio (systematically dangerous contracts, come ad esempio i credit default swaps) presso stanze di compensazione centrali; regolamentazione specifica di istituzioni finanziarie appartenenti all’area del shadow banking, per esempio i money market funds.

Quadro di riferimento per le strategie bancarie

Le strategie appena esaminate non hanno avuto grande successo. Con l’esplosione della crisi, perciò, si sono totalmente invertite le tendenze: nel tempo breve (ma quanto breve?): deleveraging, cioè riduzione della leva finanziaria ottenuta agendo prevalentemente sull’attivo, piuttosto che sul patrimonio; razionamento del credito (riqualificazione dei rischi dell’attivo); riqualificazione del posizionamento per aree strategiche di affari: abbandoni, ridimensionamenti, cessioni di rami d’azienda, retrenching; minore manovrabilità degli attivi e dei passivi, entrambi condizionati dalle relazioni con la Banca Centrale, con effetti di dipendenza, come, ad esempio, nel caso delle longer-term refinancing operations (LTRO), circuiti di intermediazione al servizio del debito pubblico; recupero di redditività dal lato dei costi e dell’efficienza operativa; sullo sfondo, un riesame critico del modello strategico della diversificazione del portafoglio corporate per aree strategiche sinergiche: i discutibili benefici della correlazione imperfetta: miglioramento della performance rendimento-rischio? economie di raggio d’azione (scope)? contagio reputazione fra aree di business diverse (caso UBS)? quella fino al 2006, fu vera diversificazione? Si è capito che le grandi banche universali avevano: posizioni simili sugli stessi mercati; stesse controparti, spesso costituenti circuiti chiusi; stesse tecnologie: market-sensitive risk management models, sistemi algoritmici di trading; isomorfismo organizzativo (e culturale), dovuto all’emigrazione trasversale dei managers e dei consulenti (cultura dominante delle best practices e dei benchmarks, comportamenti imitativi, riferimento agli standard conformanti del mestiere dei rating, del financial reporting, delle procedure di audit e di supervisione¼); in altre parole le megabanks hanno molto diversificato il portafoglio corporate delle proprie attività – aree di business, aree geografiche, settori, tecnologie di processo – ma non per questo si sono significativamente diversificate dalle concorrenti omologhe (diversificazione senza differenziazione); e in prospettiva: il nuovo stato del mondo è orientato verso la deglobalizzazione, la de-internazionalizzazione, cioè la rinazionalizzazione della banca (debitori, creditori, azionisti, controllo, regolamentazione-supervisione)? i mercati potranno effettivamente svolgere la loro funzione di disciplina oppure resteranno intricati nei circuiti interbancari degli scambi over the counter?