Saldi finanziari e bilancia dei pagamenti

I saldi finanziari hanno uno stretto collegamento con la bilancia dei pagamenti, il prospetto che ci da informazioni circa i valori di import/export. Ricordiamo, innanzitutto, che la bilancia dei pagamenti è composta da due prospetti, dal momento che usa la logica della partita doppia, in base alla quale ad ogni registrazione sul fronte di merci e servizi corrisponde una registrazione sul fronte monetario. Ciò significa che il saldo finale della bilancia dei pagamenti deve essere necessariamente pari a 0. Quando si sente parlare di bilancia dei pagamenti positiva o negativa, bisogna quindi ricordare che non si sta parlando di saldo finale.

BP = PC + MC = 0 (bilancia dei pagamenti = partite correnti + movimenti di capitale). Semplificando al massimo, le partire correnti corrispondono al prospetto reale della bilancia dei pagamenti, ossia indicano i flussi di merci in entrata e in uscita. Ogni voce che implica il trasferimento di merci all’estero o dall’estero avrà per contro un importo monetario di segno opposto. I movimenti di capitale possono essere distinti in due categorie:

– autonomi;

– compensativi: sono i movimenti che portano all’equilibrio la bilancia dei pagamenti finale, ossia le variazioni di riserve ufficiali che la Banca Centrale decide di apportare per riequilibrare la situazione.

Ovviamente, le partite correnti e i movimenti di capitale avranno pari importo, ma, per il ragionamento che andremo a fare sarà opportuno considerare le partite correnti, che hanno un legame diretto con le merci fisiche.

Avremo SFint = PC, ossia il saldo finanziario interno sarà uguale al saldo delle partite correnti. Se il sistema economico produce risorse che non vengono assorbite all’interno esporterà, ossia avrà partite correnti positive, che corrispondono a un saldo finanziario interno positivo. Viceversa, se il sistema economico non produce risorse sufficienti a finanziare i propri investimenti importerà, ossia avrà partite correnti negative, che corrispondono a un saldo finanziario interno negativo.

Inoltre, considerando che:

– SFint + SFestero = 0 ® SFint = – SFestero

– SFint = PC

risulterà:

– PC = – SFestero.

Perciò:

– SFestero>0 ® PC<0. Se il saldo finanziario estero è positivo significa che abbiamo assorbito più risorse di quanto siamo stati in grado di generarne.

– SFestero<0 ® PC>0. Se il saldo finanziario estero è negativo significa che abbiamo prodotto più risorse di quanto fosse necessario per gli investimenti interni.

Quindi, cambiando segno al saldo finanziario estero, otteniamo il prospetto della bilancia reale dei pagamenti di un’economia, e capiamo subito se assorbe più di quanto produce o viceversa.

Politiche economiche e struttura finanziaria

L’analisi delle politiche economiche consentirà anche di capire perché le famiglie italiane, che in passato avevano saldi finanziari molto positivi, ora non li hanno più.

Quando si parla di politiche economiche, le più importanti sono sostanzialmente tre:

– politica fiscale;

– politica della spesa pubblica;

– politica dei redditi.

Le prime due politiche vedono in contrapposizione, da una parte, i settori privati, e dall’altra, il settore della Pubblica Amministrazione. La politica dei redditi, invece, mette in relazione i saldi finanziari delle famiglie con i saldi finanziari delle imprese (di qualunque genere, ma in particolare di quelle non finanziarie).

Politica fiscale: questa politica ha a che vedere con la tassazione. Il suo schema generale è:

Tasse salgono —> SF privati scendono —> SF Pubblica Amministrazione aumenta

(C sale)                             (Y sale)

Ciò significa che più elevata è la tassazione (a parità di altre variabili), più i saldi finanziari dei privati diminuiscono, dal momento che, a parità di reddito prodotto, aumentano le uscite correnti. Viceversa, aumenteranno i saldi finanziari della Pubblica Amministrazione, che vedrà aumentare le proprie entrate correnti.

Ovviamente, in caso di diminuzione della tassazione, si presenterà lo schema opposto.

Politica della spesa pubblica: questa politica riguarda le decisioni della Pubblica Amministrazione circa gli investimenti da effettuare per fornire beni e servizi pubblici. Il suo schema generale è: Spesa pubblica­ sale –> SF privati sale, quindi SF Pubblica Amministrazione scende.

Ciò significa che più elevata è la spesa pubblica (a parità di altre variabili), più i saldi finanziari dei privati aumentano, dal momento che diminuiscono le uscite correnti grazie ad un minore costo dei servizi pubblici rispetto a quelli privati. Viceversa, diminuiranno i saldi della Pubblica Amministrazione, che vedrà aumentare le proprie uscite correnti a causa di un maggior numero di investimenti.

Ovviamente, in caso di diminuzione della spesa pubblica, si presenterà lo schema opposto.

L’equilibrio sociale viene mantenuto quando le due politiche risultano opportunamente mixate, ossia quando a una riduzione delle tasse corrisponde una riduzione della spesa pubblica e viceversa. Se la Pubblica Amministrazione agisce su entrambi gli aspetti senza modificare i saldi finanziari riesce a mantenersi sul piano della neutralità dal punto di vista dell’impatto sociale.

Uno dei motivi per cui i saldi finanziari delle famiglie italiane si sono notevolmente ridotti è che esse sono reduci da un trentennio di pressione fiscale e della spesa pubblica crescente, che provoca un costante aumento delle uscite correnti. Ciò significa che si è manifestato un crescente passaggio di risorse dai settori privati al settore pubblico, e questo passaggio è dovuto al fatto che, nel momento un cui l’Italia ha preso la decisione di entrare a far parte dell’Unione Monetaria Europea, la Pubblica Amministrazione è stata costretta a regolare i propri conti, razionalizzando la spesa e aumentando le entrate.

Politica dei redditi: la questione della politica dei redditi, in pratica, si manifesta ogni volta che si deve affrontare una contrattazione salariale, dal momento che essa ha a che vedere con la spartizione del valore aggiunto.

Il valore aggiunto è il valore che le imprese sono in grado di generare, ossia il prezzo che queste riescono a far pagare per i propri beni e servizi rispetto ai costi base di produzione. In generale risulta: VA = prezzo di vendita – costi base di produzione.

Il costo base di produzione è dato dalla somma del salario di sussistenza e dei costi minimi di mantenimento del capitale. Perciò, il costo di base di produzione indica il livello minimo di costo a cui si può produrre un determinato bene o servizio, e non va confuso con il generale costo di produzione. Il salario di sussistenza è il salario minimo che deve essere concesso affinché un operaio riesca a presentarsi a lavoro in forze, mentre i costi minimi di mantenimento del capitale sono i costi strettamente necessari per mantenere gli impianti, i macchinari, ecc.

Il prezzo di vendita, generalmente, sarà superiore rispetto al costo base di produzione, e questo surplus verrà utilizzato o per aumentare i salari o per remunerare maggiormente il capitale: più aumenta il salario e più il valore aggiunto va alla voce di produzione lavoro; più si remunera il capitale e più il valore aggiunto viene mantenuto all’interno dell’azienda. Le contrattazioni sindacali nascono proprio dalla necessità di stabilire il miglior modo per spartire il valore aggiunto.

In passato, i saldi finanziari delle famiglie erano molto positivi anche in virtù del fatto che una parte importante del valore aggiunto veniva utilizzato per remunerare il fattore lavoro. Negli ultimi trent’anni, invece, è accaduto qualcosa che ha portato a far sì che i salari dei lavoratori italiani siano tra i più bassi d’Europa (circa la metà di quelli dei lavoratori tedeschi). Infatti, tuttora parte del valore aggiunto viene destinato alle famiglie, ma negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a un progressivo calo del potere contrattuale delle famiglie nei confronti delle imprese e, soprattutto, abbiamo visto colare a picco il valore aggiunto. Finché il valore aggiunto era elevato, c’era la possibilità di accontentare tutti; nel momento in cui il valore aggiunto si riduce si manifestano tutti i problemi di cui tanto si sente parlare in questo periodo.

È quindi importante capire da cosa derivi questo crollo del valore aggiunto. Il principale problema dell’Italia è che la maggior parte del PIL è generata dai settori tradizionali, che sono soggetti a una concorrenza molto forte, e che impongono quindi un adattamento ai prezzi dei Paesi che sostengono costi più bassi per produrre gli stessi beni, come ad esempio la Cina. Se l’Italia continuerà a competere su questi settori, la situazione non potrà che peggiorare. Altri Paesi non si trovano in questa situazione perché sono stati capaci di basare la propria crescita economica su settori diversi: per fare un esempio, la Germania si è specializzata nella produzione di macchinari ad alta tecnologia, un settore poco esposto alla concorrenza, cosa che si traduce nella possibilità di imporre prezzi molto elevati e in alti livelli di vendita, dal momento che molti Paesi avranno bisogno di rifornirsi di tali macchinari.