Classificazioni finanziarie

Classificazione per struttura dei flussi di cassa

Dal punto di vista dei flussi di cassa, si distinguono due principali categorie:

– zero coupon bonds – obbligazioni senza cedola. Dal punto di vista dell’investitore, si ha un flusso in uscita pari al prezzo di emissione, o al prezzo di acquisto se il titolo non è stato comprato al momento dell’emissione, e il titolo, nel corso della sua vita, non genera nuovi flussi di cassa, se non un flusso finale in entrata, pari al prezzo di rimborso, o al prezzo di vendita, se il titolo viene venduto prima della scadenza. Le obbligazioni con questa caratteristica sono i BOT e i CTZ (12 e 24 mesi). Questi titoli sono i più facili da valutare;

– coupon bonds – obbligazioni con cedola. Dal punto di vista dell’investitore, si ha un flusso di cassa in uscita pari al prezzo di emissione o di acquisto; al termine del periodo di investimento si ha un flusso in entrata pari al prezzo di rimborso o di vendita; periodicamente si avranno dei flussi di cassa intermedi corrispondenti alle cedole. Le obbligazioni con questa caratteristica sono i BTP e i CCT e sono più difficili da valutare. La struttura dei flussi di cassa è la prima variabile attraverso cui vengono classificate finanziariamente le obbligazione, e sarà anche una delle variabili più importanti per la valutazione.

Classificazione per criterio di indicizzazione

Parlando di indicizzazione, innanzitutto bisogna chiedersi che cosa può essere indicizzato e quali siano i parametri di indicizzazione.

Partendo dall’oggetto, gli elementi indicizzati possono essere la cedola e/o il capitale. Vedremo che gli strumenti più comuni hanno come oggetto di indicizzazione la cedola, ma possono presentarsi anche altre situazioni. Prima di andare ad analizzare i parametri, vediamo che nei BTP non viene indicizzata né la cedola né il capitale: i BTP sono titoli a tasso fisso, ossia il tasso cedolare stabilito all’emissione è lo stesso che il titolo pagherà per tutta la sua vita, mentre il capitale rimborsato alla scadenza sarà il capitale nominale. Perciò il BTP è, tra gli strumenti con cedola, il più facile da valutare (noi arriveremo a valutare i BTP o altri titoli equivalenti). Per valutare i CCT o altri strumenti, invece, si deve andare oltre l’oggetto e analizzare i parametri.

Il parametro di indicizzazione può essere di tre tipi:

–     reale;

–     finanziario;

–     valutario.

Il parametro reale per eccellenza è l’inflazione, ossia la crescita dei prezzi. Esistono diversi tipi di inflazione (al consumo, all’ingrosso, ecc), ma il più utilizzato è l’inflazione al consumo (IPC): si sceglie l’inflazione al consumo perchè, generalmente, gli acquirenti di titoli sono i consumatori e, per questi soggetti, l’inflazione al consumo è il parametro di riferimento più significativo. Quando si utilizza un parametro reale, in particolare l’inflazione, generalmente viene indicizzato il capitale, mentre la cedola rimane fissa (sebbene non ci sia alcune norma che vieti di indicizzare a inflazione la cedola o sia il capitale sia la cedola).

Esempio: consideriamo un titolo con cedola pari al 4% su un capitale pari a 100. Il tasso di inflazione, misurato durante l’anno, è pari al 4%. L’anno successivo, la cedola rimarrà pari al 4% ma sarà calcolata su un capitale pari a 104. Alla scadenza, il capitale rimborsato sarà pari a 100. Questo è il metodo più comune per indicizzare il capitale a inflazione, ma si possono seguire anche procedimenti diversi.

Il parametro di indicizzazione finanziario più comune è il tasso di interesse. Anche in questo caso è possibile indicizzare il capitale, la cedola o entrambi, ma i titoli più comuni prevedono l’indicizzazione della cedola. Generalmente, si stabilisce contrattualmente un tasso di riferimento, che varia nel tempo, a cui si aggiunge uno spread, che invece è sempre noto. La cedola verrà rivista periodicamente e si provvederà a modificare il tasso di interesse di riferimento. È importante osservare che lo spread è sempre noto, ma non necessariamente è fisso: lo spread può variare durante la vita del titolo, ma ciò che conta è che queste variazioni sono conosciute a priori dall’acquirente del titolo.

Esempio: i CCT sono obbligazioni che prevedono una cedola indicizzata a un parametro di indicizzazione finanziario, che è il tasso dei BOT a 6 mesi, a cui si aggiungerà uno spread noto (se il tasso dei BOT è pari al 5% e lo spread è fissato a 20 centesimi di punto, il titolo pagherà il 5,20%). Supponiamo che il CCT abbia scadenze semestrali: consideriamo, ad esempio, il 1 febbraio e il 1 agosto, un semestre durante il quale la cedola matura secondo termini noti. Il 15 gennaio si terrà un’asta dei BOT a 6 mesi, per stabilire il loro tasso di interesse: se da questa asta emerge un tasso dei BOT a 6 mesi pari al 4%, per il semestre che va dal 1 febbraio al 1 agosto, i CCT pagheranno questo tasso + uno spread, ad esempio pari a 20 punti base (4,20%). Il 15 luglio si terrà una nuova asta dei BOT a 6 mesi, da cui emergerà un nuovo tasso di interesse, che sarà applicato alla cedola dei CCT per il semestre dall’1 agosto all’1 febbraio dell’anno successivo. Il tasso di interesse, quindi, si applica sulle cedole future, e non retroattivamente; inoltre, sebbene il tasso di interesse sia variabile, la cedola in corso è sempre nota.

Le obbligazioni a tasso variabile possono essere obbligazioni tout court (senza costrizioni) ma possono anche prevedere delle clausole:

– Cap: obbligazioni in cui la cedola fluttua, ma non può salire oltre un tasso massimo. Consideriamo, ad esempio, un titolo emesso al tasso Libor + 50 punti base, con un cap al 5%. Ciò significa che, quando il calcolo del parametro più lo spread da un tasso di interesse al di sotto del 5%, verrà pagato il tasso calcolato; se il tasso calcolato è superiore al 5%, il titolo pagherà solo il 5%. Il cap, quindi, è un’assicurazione che gli investitori vendono all’impresa, la quale si assicura un tasso massimo della raccolta. Ciò implica che la cedola con cap sarà generalmente superiore rispetto alla cedola senza cap che dovrebbe essere pagata dalla stessa impresa: quando la cedola si mantiene sotto al cap lo strumento sarà più costoso, perché gli investitori richiederanno una remunerazione per il rischio che corrono, legato all’oscillazione dei tassi di interesse.

– Floor: obbligazioni in cui la cedola fluttua, ma non può scendere al di sotto di un tasso minimo. In questo caso avviene l’esatto opposto di quanto accadeva per le obbligazioni con cap: se la cedola, calcolata come tasso di interesse + spread, si mantiene al di sopra di un certo livello, il titolo pagherà quella cedola; se la cedola dovrebbe scendere al di sotto di un tasso stabilito, allora pagherà il tasso minimo concordato. In questo caso si assicura l’investitore anziché l’emittente, per cui, la cedola con floor, generalmente, sarà inferiore alla cedola senza floor.

– Collar: un’obbligazione a tasso variabile, che prevede sia un tasso massimo sia un tasso minimo, ossia una banda di oscillazione. Questa clausola è data dalla somma di cap e floor e si applica perché le imprese, tipicamente, hanno interesse a fissare un cap, ma, per ridurre il costo dello strumento, accettano di fissare anche un floor. L’effetto netto dipenderà dalla banda di oscillazione, ossia la cedola con collar sarà più o meno costosa della cedola senza collar, a seconda che questa clausola avvantaggi più l’emittente o l’investitore.

Il parametro di indicizzazione valutario è poco usato e ha a che fare con l’apprezzamento o il deprezzamento della valuta. Generalmente, oggetto di indicizzazione è la cedola, che sarà calcolata in base all’apprezzamento (o al deprezzamento) della valuta nel periodo precedente alla sua maturazione.