La stabilità e l’efficienza

La stabilità è strettamente connessa all’efficienza. Chiudiamo il discorso sull’efficienza, ricordando teorie relativamente recenti di matrice psico-socio-cognitiva, che vanno sotto il nome della “behavioral finance”. Queste teorie analizzano i comportamenti di gruppi e persone allo scopo di interpretare i comportamenti e l’efficienza dei mercati finanziari, arrivando alla conclusione che non sono poi così efficienti, soprattutto dal punto di vista valutativo e, di conseguenza, anche allocativo. Queste teorie quindi sottolineano le dosi di inefficienza dei mercati e delle loro difficoltà, a causa dell’irrazionalità decisionale (Simon: “l’uomo è solo intenzionalmente razionale” come ricordiamo dal corso di EGI). Il funzionamento concreto dei mercati non è spiegato solo dalle teorie economiche, ma anche concretamente da teorie psicologiche. Queste teorie ci aiutano a capire perché i mercati divergono dalle condizioni di efficienza. Le bolle speculative sono situazioni di prolungata e sistematica sopra o sottovalutazione dei titoli, che, se il mercato fosse efficiente, dovrebbero essere assorbite dagli arbitraggi. L’inefficienza valutativa e le bolle speculative dipendono:

  1. da un eccessivo ottimismo (euforia) o eccessivo pessimismo: l’irrazionalità.
  2. dall’eccessiva rilevanza attribuita all’andamento di breve periodo. Spesso si ignora la legge del ritorno alla media e ci si basa soltanto su prezzi recenti (generando errate previsioni), mentre nel lungo le escursioni eccessive vengono riassorbite.
  3. dall’effetto dei media, che amplificano i crolli.
  4. dal fenomeno imitativo o “effetto gregge”, perché prescinde da valutazioni obiettive e personali. È evidente che possa diventare un “effetto valanga”. Diventano rilevanti da un lato la psicologia individuale e dall’altra l’influenza di carattere sociale; di conseguenza, la previsione dei comportamenti degli altri operatori.
  5. da conflitti di interesse (un effetto patologico meno irrazionale valutativamente): molti degli opinion makers hanno convenienza a dire che le cose vanno bene anche quando vanno male (chi opera sul mercato dei titoli vende di più se la borsa sale): c’è una tendenziale sopravvalutazione del mercato, visto che spesso questi operatori sono anche offerenti di servizi finanziari nei confronti delle imprese (danno il rating alle stesse imprese che hanno come clienti).
  6. dalla teoria dei giochi: essa sostiene che convenga accodarsi al comportamento sbagliato, quello che porta all’equilibrio sub-ottimale, cioè seguire la bolla. Quando la bolla scoppierà, l’operatore potrà dire: “ma tanto perdono tutti”. Pensiamo alla bolla di internet: gli operatori sapevano benissimo che le aziende di internet erano sopravvalutate. Ma se tutti compravano, il P dei titoli dipendeva dal comportamento della maggioranza.

Esiti delle crisi

Uno degli esiti dell’inefficienza è la crisi. È un fenomeno tipico ed importante perché la crisi finanziaria è connaturata con l’attività finanziaria: è un fenomeno patologico. Altro motivo è che la crisi finanziaria ha effetti più devastanti persino di quella industriale, perché si propaga a tutto il sistema e quindi si propaga anche al mondo produttivo, per ovvi nessi tra economia di carta ed economia delle cose. Una crisi di un’impresa può restare un fenomeno circoscritto, ma, se fallisce una banca, il rischio è che si verifichi una propagazione a tutto il sistema finanziario e ovviamente crolla anche l’economia reale: è “l’effetto contagio”, una fragilità intrinseca ed inevitabile del sistema finanziario. Se non accade è per l’intervento di una serie di meccanismi prevalentemente pubblici che limitano le crisi. I pubblici poteri cercano di evitare questo fenomeno, che altrimenti si realizzerebbe naturalmente.

Il modello di Fischer

La bolla speculativa delle “dot com” è un fenomeno recente che spieghiamo con strumenti concettuali vecchi degli anni ’30: il modello di Fischer spiega, infatti, la dinamica della bolla. Una situazione di eccessivo ottimismo gonfia la bolla:

  • l’attività economica aumenta e molti si indebitano per speculare sui titoli,
  • aumentando la domanda di attività finanziarie, aumenta il debito, perché l’economia corre più della finanza.
  • I prezzi aumentano perché Y sale. Aumenta anche il costo delle garanzie.

A questo punto un fenomeno anche accidentale (es.: un capo mandria che anticipa il ciclo, cercando di anticipare la svolta), quale un’inversione di percezione e valutazione, può propagarsi rapidamente mediante l’effetto gregge e la bolla scoppia:

  • Crolla la domanda di attività finanziarie,
  • crollano i prezzi
  • si rovesciano le aspettative,
  • ma i debiti restano, e si è costretti a svendere le attività per rimborsarli. Ciò riduce ulteriormente il prezzo delle attività e deprime l’attività economica, che riduce ulteriormente i profitti e quindi la capacità di rimborsare il debito: si innesca un ciclo vizioso, definito “deflazione da debito, perché P e debito si riducono a velocità diverse: i Prezzi scendono velocemente mentre i debiti restano ai tassi che c’erano durante la bolla.

La teoria di Minski

Minski ha elaborato un’altra teoria che riconduce le crisi finanziarie all’equilibrio e alle posizioni finanziarie degli operatori in generale. Egli analizza, dal punto di vista dell’esposizione alla crisi, 3 situazioni:

  1. L’operatore è in posizione coperta (hedge financing): non è esposto al rischio finanziario, ma soltanto al rischio operativo. Le entrate di cassa eccedono sempre le uscite di cassa. Si auto-finanzia. La sua esposizione è indiretta.
  2. Gli operatori sono in posizione speculativa: tipicamente nel breve periodo, le entrate di cassa sono inferiori alle uscite di cassa. La posizione si ri-equilibria nel lungo, perché le entrate di cassa eccedono le uscite (ad esempio perché ha investito all’inizio). Un operatore di questo tipo è in squilibrio finanziario: va in crisi finanziaria se non riesce a ri-finanziare lo squilibrio di breve periodo. C’è un problema di accesso al credito, nonché di tasso di interesse: se c’è uno shock di tasso di interesse il valore attuale dei flussi futuri diminuisce e, siccome nel futuro ci sono più flussi in entrata che in uscita, il valore attuale dei flussi in entrata si riduce di più del valore attuale dei flussi in uscita: i flussi non sono simmetrici. I flussi positivi nel lungo si deprezzano molto e vanno in squilibrio economico (nel caso di crisi finanziaria: aumento di tassi di interesse), generando una minusvalenza sulle attività maggiore della minusvalenza sulle passività. Questo non deriva dall’economia reale, ma da un problema a cui si è esposti essendo in squilibrio finanziario. Se si abbassano i tassi di interesse naturalmente l’operatore speculativo, al contrario, guadagna.
  3. L’operatore “ultra-speculativo” non riesce nemmeno a pagare gli interessi sul debito: i flussi in entrata sono inferiori addirittura agli interessi sul debito, tanto il debito è grande.

L’instabilità deriva dalla percentuale di operatori in queste 3 categorie. Maggiore è il numero di operatori in posizione ultra speculativa più fragile è il sistema finanziario. Spesso i sistemi economici partono in posizione coperta, poi quando l’economia tira facilmente passano nelle posizioni ultra speculative. Va considerato anche che vi è un importante comparto del sistema economico in cui tutti gli operatori sistematicamente sono in posizione speculative, strutturalmente ed inevitabilmente. Le banche sono strutturalmente in posizione speculativa: nel breve sono in squilibrio finanziario, perché i depositi sono tutti a vista mentre di attività a vista ce ne sono molto meno. I flussi in entrata ed in uscita nel breve sono in fortissimo squilibrio. Le banche iniettano grandi dosi di potenziale instabilità ma tolgono l’instabilità dagli operatori finali, aiutando molto la gestione finanziaria di famiglie, imprese e Stato, perché si accollano il rischio.

Fattori di rischio:

  1. la strutturale posizione speculativa, dal punto di vista finanziario, che le banche hanno tipicamente.
  2. i nessi di carattere sistemico: le banche sono collegate tra loro da un sistema; sebbene tra l’altro concorrenti fanno parte di un unico sistema e sono avvinte da legami di solidarietà. Quando una banca va in crisi è molto facile che la sua difficoltà si propaghi a tutto il sistema, anche perché esistono nessi di rapporto di debito-credito, rapporti di sistema di pagamento. Tutti pagamenti transitano attraverso il sistema bancario: una banca paga un’altra banca…se una banca fallisce, anche l’altra va in crisi. Siccome le banche sono in posizione speculativa, se si formano le code agli sportelli in una banca, allora anche in tutte le altre banche ci sarà un massiccio e generalizzato ritiro dei depositi. Le banche non hanno entrate di cassa sufficienti a coprire le uscite di breve.
  3. le asimmetrie informative: i depositanti non sanno distinguere tra banche insolventi e banche sane, quindi c’è una corsa agli sportelli per panico dei depositanti. Questo si è verificato in Argentina recentemente: la sfiducia si generalizza anche per asimmetria informativa.

La politica monetaria e le altre politiche che condizionano i fattori esogeni

Parliamo dell’effetto che hanno i poteri pubblici sull’operato degli intermediari creditizi. Le due grandi aree di influenza dei poteri pubblici sul sistema finanziario sono:

  1. la politica monetaria: investe tutti i settori, ma soprattutto influenza il sistema finanziario, perché lavora su variabili monetarie.
  2. la vigilanza: tutte le norme amministrative che riguardano la regolamentazione specifica del settore finanziario.

Quando si studia l’economia di un’azienda di credito ed i principi di gestione dell’intermediario creditizio e si analizza il comportamento del sistema finanziario si deve tenere conto di una serie di fattori di contesto che condizionano l’operato di questi soggetti e che sono esogeni, cioè non possono essere influenzati. Parliamo delle condizioni di contesto, prima di parlare di fattori endogeni. Cominciamo dalla politica monetaria. La politica monetaria a cosa serve? Dal punto di vista dei poteri pubblici, è uno strumento di controllo e di influenza del mercato reale: PIL, ricchezza, investimenti etc. Oltre alla politica monetaria quali altre forme di politica economica ci sono? Gli strumenti concorrenziali – alternativi nel fare la politica economica sono quelli per la gestione delle produzioni reali. Come si chiama l’intervento dello Stato per governare direttamente il mix produttivo? Risposta: “politica industriale”. Un’altra politica rilevante è quella fiscale: la gestione del bilancio pubblico. Altra ancora: la politica dei cambi (estero). Ultima è la politica dei redditi: l’intervento dello Stato nella negoziazione dei patti sociali (scala mobile, sindacati, eccetera). Nel quadro europeo, che cosa ne è della politica economia italiana?

  • La politica monetaria: non c’è più.La Banca d’Italia non fa più politica monetaria.
  • La politica del cambio: non c’è più nell’area euro, ovviamente, ma nemmeno più nell’area extra euro, perché la politica dell’euro è decisa dal consiglio europeo e dalla BCE.
  • La politica fiscale: c’è ancora, ma ha dei vincoli pesanti da rispettare (come il patto di stabilità, modificato in questi giorni: limite di deficit di 3% del PIL da manovrare). Avremmo bisogno oggi di una politica fiscale espansiva, ma non possiamo attuarla perché siamo già vicini al 3% e questo patto ci paralizza. Resta la possibilità di cambiare la composizione delle entrate e delle spese, ma per l’effetto netto, che è quello veramente recessivo o espansivo, non c’è possibilità di influenza.
  • Cosa resta? (su queste che restano c’è possibilità maggiore di influenza)
    • La politica dei redditi: c’è il guardiano della banca centrale europea, che dà una serie di consigli, ma non ha potere di intervento diretto (i contratti coi sindacati sono nazionali)
    • La politica industriale

Se guardiamo alla storia della politica economica in Italia, vediamo che la leva del cambio è stata lo strumento fondamentale (dall’inizio degli squilibri degli anni ’70, di cui avevamo già parlato: bassa competitività delle merci, costi del lavoro, deficit e inflazione alti) attraverso il quale siamo riusciti a gestire la situazione di disallineamento (per recuperare la competitività delle merci). Ma oggi l’Europa unita ci ha tolto questa possibilità. Tutta la concorrenza si gioca sul piano delle due politiche che restano: mediante le riforme. Oggi per competere nella politica economica e per aiutare il sistema paese sono necessarie leve di politica economica, sull’effettiva competitività del tessuto produttivo.