Le obbligazioni

Prima della riforma del 2003 la SPA era l’unica a poter emettere obbligazioni. Oggi questa possibilità è concessa anche alla SRL, anche se cambia il loro nome: “titoli di debito”. La struttura è pressoché la stessa. Oggi, però, trattiamo solo delle obbligazioni. Esse non possono essere emesse dalle società di persone. Le obbligazioni sono titoli di credito debitori standardizzati che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di una unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo (dove per mutuo intendiamo prestito).

Un titolo di credito è un pezzo di carta che incorpora un particolare diritto. Perché si emettono? Per facilitare la circolazione di quel diritto. Persino le banconote sono titoli di credito (in quanto nate convertibili in oro). Come tutti i titoli di credito, anche le obbligazioni possono essere nominative o al portatore (come avevamo già visto parlando delle azioni), cioè trasferibili rispettivamente mediante girata (è necessario che il nome del soggetto sia scritto sia sul titolo, sia su un apposito registro chiamato “libro degli obbligazionisti” dell’emittente) oppure brevi mani. La differenza tra azionista ed obbligazionista sta nella differenza che intercorre tra i titoli di debito ed i titoli di rischio: uno è capitale di prestito (obbligazione) l’altro capitale di rischio (l’azione). Mentre con le azioni si hanno diritto di voto e diritto agli utili, con l’obbligazione si hanno:

  1. interessi
  2. rimborso del capitale alla scadenza

L’obbligazionista non assume rischio d’impresa in senso lato, cioè non teme il rischio di perdite o di erosione del capitale, ma solo di fallimento. Bisogna tenere presente che la distinzione tra obbligazione e azione è meno netta con la riforma del 2003: il legislatore lascia ai privati l’opportunità di modellare i titoli, fino a non poterle distinguere nettamente.

Le obbligazioni partecipanti

La loro particolarità è che la remunerazione non è fissa, ma varia a seconda dell’andamento degli utili della società. Sotto il profilo della remunerazione, quindi, si avvicinano molto all’azione.

Le obbligazioni indicizzate

Il tasso d’interesse non è fisso, ma non è nemmeno legato all’utile o alla perdita, bensì ai tassi di riferimento comunemente conosciuti, che variano ogni giorno, quali l’Euribor (cioè il tasso di sconto della BCE 3 mesi). Se il tasso d’interesse è del 3% e l’inflazione è del 4% perdo in realtà 1%; per evitare questi fenomeni inflazionistici si emettono le obbligazioni indicizzate.

Le obbligazioni convertibili in azioni

Sono le uniche espressamente regolamentate. C’è un diritto potestativo dell’obbligazionista, che può esercitare in determinate finestre temporali, di trasformare l’obbligazione in azione della stessa società emittente (procedimento diretto) ovvero di una società diversa (procedimento indiretto).

Le obbligazioni cum warrant

Il warrant è un’opzione di comprare, a determinate condizioni, delle azioni di una società. La differenza rispetto alle convertibili è che con esse si utilizza il denaro dell’obbligazione per trasformarle in azioni (quindi si perde la qualità di obbligazionista e si acquista quella di azionista). Con il warrant, invece, si ha il diritto di comprare azioni ma si resta anche obbligazionisti.

Le obbligazioni subordinate

Con le obbligazioni subordinate, in caso di liquidazione volontaria o procedura concorsuale, gli obbligazionisti subordinati vengono soddisfatti dopo i creditori, ma prima degli azionisti.

Gli strumenti partecipativi

Sono strumenti che prevedono una libera privata organizzazione delle obbligazioni e delle azioni, secondo criteri flessibili, che avvicinano di molto l’obbligazione all’azione.

Il procedimento di emissione

Uno dei punti più importanti su cui ha agito la riforma riguarda i limiti delle emissioni. Nella regolamentazione del ’42 era molto tutelato il ricorso alle obbligazioni ed il limite era quello del capitale versato ed esistente: non potevano essere emesse obbligazioni per una somma eccedente il capitale versato ed esistente (cioè non quello eroso dalle perdite), risultante dall’ultimo bilancio. Oggi le obbligazioni possono essere emesse per una somma non eccedente il doppio del capitale sociale (si intende quello sottoscritto), della riserva legale e delle altre riserve disponibili. Possono sussistere, inoltre, ulteriori  casi in cui è possibile travalicare questo limite: se le obbligazioni sono sottoscritte da investitori istituzionali. A sua volta l’investitore istituzionale può cedere le obbligazioni ad altri:

  1. se vengono cedute ad altri investitori istituzionali non ci sono problemi.
  2. se vengono cedute presso il pubblico, l’investitore istituzionale deve garantirne la solvibilità.

È questa la ragione per cui i Bond Cirio e Parmalat erano state emessi in Lussemburgo ed Olanda, dove non vige questa seconda regola. In Italia, si possono emettere obbligazioni superiori al limite se garantite da ipoteche di primo grado su beni immobili di proprietà della società, sino ai due terzi del valore di bilancio degli immobili. Il legislatore ha chiarito un punto molto discusso nel precedente regime: cosa succede se nel patrimonio della società ci sono immobili ed il loro valore eccede il limite generale del doppio del capitale della società? Qualora ricorrano particolari ragioni per l’interesse nazionale, il governo può, con suo decreto, decidere che questi limiti vengano ulteriormente superati. Esistono 2 ulteriori eccezioni, in cui non vi è nessun limite.

  1. per le società quotate, ove anche le obbligazioni vengano a loro volta quotate.
  2. per le società bancarie.

Il legislatore si preoccupa che permanga il corretto rapporto obbligazioni/capitale durante tutta la vita del prestito obbligazionario: è stabilito che la società non può rimborsare capitale o distribuire riserve, se tale distribuzione intacca il limite di cui abbiamo detto. Ma se si deve ridurre il capitale per perdite, o se le perdite intaccano le riserve, di fatto si sfora il limite. Il legislatore, visto che ormai le perdite ci sono e la garanzia patrimoniale è erosa, tutela così il risparmiatore: finché le riserve non sono ricreate, non si possono distribuire utili.

Due sono le novità della riforma: 1. I limiti sono stati innalzati. 2. Soggetti che emettono obbligazioni: nella precedente disciplina era l’assemblea straordinaria, mentre nell’attuale disciplina tale competenza è passata agli amministratori. La struttura finanziaria della società non è, quindi, più decisa dall’assemblea ma dagli amministratori. Esistono particolari cautele, tuttavia, poiché il verbale deve essere redatto dal notaio, che è obbligato a controllare (come in passato faceva il tribunale) che il prestito sia conforme alla legge. Eseguito questo controllo, chiede l’iscrizione nel registro delle imprese. Il libro delle obbligazioni deve registrare tutti i dati relativi al prestito obbligazionario (quante sono, come sono, di chi sono etc.).

Per quanto riguarda le obbligazioni convertibili, c’è una particolare disciplina nel cod. civ. (mentre per le altre c’è piena autonomia delle parti). Regole da rispettare sono dettate dall’art. 2420 BIS, che, praticamente, somma le cautele dell’emissione delle azioni con le cautele dell’emissione delle obbligazioni. Ripetiamo: le obbligazioni convertibili sono obbligazioni che danno il diritto potestativo (cioè del solo obbligazionista) di convertire l’obbligazione in azioni, che possono essere della stessa società ovvero di altre società. Con il procedimento indiretto si convertono in azioni di altre società, e per farlo bisogna detenere in portafoglio azioni di altre società (ma non ci sono particolari necessità di tutela).

Nel caso del procedimento diretto, invece, la normativa detta una seria di regole. Art. 2420 bis Obbligazioni convertibili in azioni (immutato). L’assemblea straordinaria può deliberare l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato. Contestualmente la società deve deliberare l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire in conversione. Le obbligazioni convertibili non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale.

Questo implica che non possono essere emesse azioni sotto la pari, ma solo sopra (in alcuni casi obbligatoriamente). Nel vecchio codice civile si doveva avere tanto capitale quanto conferito, mentre oggi 100 di conferimento può corrispondere persino a 200 di capitale. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all’emissione delle azioni spettanti gli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono (2620) depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione dell’aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell’art. 2444. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la riduzione del capitale esuberante, né la modificazione delle disposizioni dell’atto costitutivo concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso pubblicato nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata almeno tre mesi prima della convocazione dell’assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di un mese dalla pubblicazione. Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell’aumento o della riduzione. Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell’art. 2413, il rapporto di cambio e le modalità della conversione.

Come anticipato, l’atto costitutivo oggi, stabilito un termine temporale e quantitativo, può concedere agli amministratori il diritto di emettere obbligazioni. Le obbligazioni convertibili devono essere convertite secondo un determinato rapporto di cambio, nonché rispetto a certe finestre temporali. Il prestito rimane pendente e viene sottoscritto a mano a mano che si converte.

Facciamo un esempio pratico. Oggi 2004 emetto un prestito obbligazionario convertibile, che dura fino al 2010 e dal 2006 al 2010 ogni obbligazionista può usufruire della conversione. Nel momento della conversione è come se gli obbligazionisti sottoscrivessero le azioni, rinunciando all’obbligazione. Gli aumenti di capitale possono essere nominali: conversioni di riserve in capitale. Qui la regola è semplice: supponiamo che si abbia 100 di capitale e 100 di riserve. Supponiamo altresì che vi sia un cambio di 1 a 1 tra obbligazioni convertibili e capitale. Spostando le riserve nel capitale, il rapporto deve aumentare a 2 per arricchire gli obbligazionisti detentori di obbligazioni convertibili. Ragionamento opposto vi sarà per l’erosione del capitale dovuto a perdite. Le obbligazioni non possono essere deliberate sotto conversione, a meno che non si dia un diritto di conversione anticipata, per permettere agli obbligazionisti di diventare soci prima di compiere l’operazione, ed in tal modo permettendogli di mettere parola se far lo scambio o meno (esprimendo il loro diritto di voto). Se non convertono non diventano soci e dovranno sottostare alle decisioni della maggioranza.