Le azioni

Fino al 31/12/2003 c’era proporzionalità tra i conferimenti nella società e le azioni che si ricevevano in cambio. Facciamo riferimento al già citato Art. 2346 Emissione delle azioni: Le azioni non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale. Il nuovo art., molto ampliato, (al comma 5) specifica, inoltre, che in nessun caso, il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Questo significa che è possibile scegliere la distribuzione delle azioni (es.: un socio conferisce 1 su un capitale di 10 ed ha il 90% delle azioni; l’altro socio dovrà avere il 10% con un conferimento di 9: l’importante è che il totale faccia 10, per tutelare i terzi). Dal punto di vista pratico, questo porterà ad utilizzare meno le tecniche di sovrapprezzo ed una scissione tra conferimenti e controllo.

Il trasferimento delle azioni

Premettiamo che le azioni sono titoli di credito che circolano secondo una propria disciplina, esistono 2 tipi di credito:

  1. titoli al portatore: si trasferisce mediante consegna (“brevi mano”) e non esiste nessuna particolare formalità.
  2. titoli nominativi: la legge è più complessa. La circolazione è regolata dal regio decreto 1148 del 1941, regolamentato dal 239/1942, modificato con l’art. 4 della legge 1745 del 1962, per arrivare all’articolo 2355 dell’attuale riforma. Principalmente questi articoli si rifanno alla legge della circolazione dei titoli nominativi, caratterizzati dalla presenza del nome del titolare (presente sul certificato azionario e sul registro, libro soci, a cura dell’emittente).

Le azioni sono sempre nominative (a parte un paio di casi). A seconda del tipo di credito cambia la legge di circolazione. Nel libro soci è descritta la composizione del capitale sociale, con le generalità dei soci. Se c’è il trasferimento di un titolo nominativo è, quindi, necessaria una doppia trascrizione. Esistono 2 metodi:

  1. si può utilizzare, ma è di fatto scarsamente utilizzato, il “transfert”: l’acquirente ed il venditore del titolo stipulano un contratto di compravendita, dopo di che uno dei due si rivolge agli amministratori e chiede di annotare il trasferimento. Essi dovranno cambiare l’intestazione distruggendo il vecchio titolo ed emettendone uno nuovo, oppure specificando sul titolo il trasferimento. Poi l’amministratore annoterà il tutto nel libro dei soci. Il problema è che tutte queste operazioni prendono un buon lasso di tempo.
  2. il secondo modo di trasferire le partecipazioni è la “girata”: è più sbrigativo e perciò più usato. Come funziona materialmente? Dietro il certificato azionario ci sono tante “caselline”, bianche o proprio con la scritta “spazio per le girate”. È sufficiente specificare in tali caselle il trasferimento. La girata deve però essere autenticata da un notaio, da una banca, da un agente di cambio o da una SIM (società di intermediazione mobiliare). Non può esserci una girata in bianco: deve essere sempre presente il nome del giratario: se si potesse fare altrimenti, il titolo diventerebbe “al portatore”. Oltre al nome del giratario è necessaria anche la sua firma, se l’azione non è interamente liberata (= non sono stati versati tutti i decimi). Ovviamente, sarà necessaria sempre anche la firma del girante.

Cosa rende diversi questi due metodi? Nella girata, l’iscrizione nel libro soci è solamente eventuale (possibile ma non obbligatoria). Chi possiede un titolo può iscriversi al libro soci solo se è intenzionato a partecipare alla vita sociale, altrimenti la girata non richiede la doppia trascrizione. Per capire come funziona ripartiamo dal codice del 1942, dove il giratario aveva soltanto 2 diritti:

  1. girare l’azione
  2. se aveva ottenuto il titolo mediante una serie continua di girate, chiedere di iscriversi al libro soci.

Una volta iscritto al libro soci poteva esercitare pienamente tutti diritti sociali (status soci). Per “serie continua di girate” si intende che “non c’è un salto”, a dimostrazione del fatto che il titolo non sia stato rubato. Questa normativa è tutt’oggi valida, sebbene di nessuna utilità pratica, perché l’art. 4 della legge del 1962 ha introdotto quest’innovazione: “chi è possessore del titolo mediante serie continua di girate ha anche il diritto, se deposita le azioni presso la società, di votare e di ritirare gli utili”. Per gli altri diritti sociali era necessario iscriversi.

Con la riforma del 2003, si è chiuso il cerchio, nel senso della prevalenza del possessore del titolo mediante una serie continua di girate, che può votare, ritirare gli utili, nonché “esercitare tutti i diritti sociali” (gode del pieno status soci). È ancora possibile farsi iscrivere nel libro soci, ma non ha grande utilità pratica: tutti i diritti possono essere esercitati anche solo depositando il titolo presso la società. Nel momento in cui si deposita il titolo è comunque dovere degli amministratori annotare le generalità del socio nel libro soci.

Facciamo un esempio riguardo alla cessione di immobili: è possibile cedere un immobile direttamente. Se si scopre che c’è una crepa che va dalle fondamenta fino al tetto è possibile rifarsi alle garanzie del diritto comune. Il problema sorge se si cede il 100% delle partecipazioni di una società che detiene quell’immobile. La Cassazione sostiene che “quando si cedono partecipazioni sociali, quello che si garantisce è il trasferimento di tutti i diritti e doveri propri dello status soci”, quindi non è garantito che i beni della società abbiano determinate caratteristiche, a meno che questo fatto non sia oggetto di specifica garanzia.

I vincoli alla trasferibilità delle azioni

Le azioni di una società sono, in linea di principio, liberamente trasferibili. Possono, però, sussistere vincoli:

  • legali: sono inderogabili in quanto dettati da norme di legge.
    • Esempio: fino a quando l’iter della certificazione dei valori dei beni conferiti non è completata, le azioni non possono essere trasferite.
    • Altro esempio: le azioni con prestazioni accessorie: azioni che vincolano il possessore (quali il dovere di prestare la propria attività lavorativa presso la società). Questo tipo di azioni possono essere trasferite solo con il consenso degli amministratori (che valuteranno che il nuovo acquirente possa lavorare).
  • Parasociali: ne riparleremo nelle prossime lezioni. Con il patto parasociale il socio si vincola, con un contratto esterno rispetto al contratto sociale, ad esercitare uno o più dei diritti scaturenti dalla sua posizione di socio.
    • Esempio: il tipico patto parasociale è l’accordo esterno con cui ci si impegna a votare in assemblea in un determinato modo o a non cedere le proprie azioni per un certo periodo.
    • La particolarità di questo tipo di accordi è che hanno efficacia obbligatoria e non reale: il vincolo vige solo tra le parti e non è opponibile ai terzi (tra i quali è compresa la società stessa). La violazione del patto parasociale vincola al risarcimento dei danni da parte di chi lo viola, ma gli atti contrari a questo patto sono comunque efficaci.
  • Statutari: l’efficacia non è obbligatoria, ma reale (non c’entra con “i diritti reali che avevamo studiato in diritto privato”: significa soltanto che non è aggirabile) ed è, quindi, vincolante nei confronti di tutti.

Le regole dei patti sociali

Erano e sono pienamente lecite le “clausole di prelazione”. Con la prelazione “propria” il socio si impegna, nel momento in cui vende le azioni, a preferire gli altri soci rispetto a terzi, a parità di condizioni. Questo tipo di accordi è perfettamente lecito, perché non imprigiona il socio nella società. I problemi sorgono sui patti di non alienabilità (lo statuto non può contenere l’obbligo di non vendere le azioni, nemmeno per un periodo limitato), così come è vietato il “patto di mero gradimento”.

Intanto vediamo cosa è il patto di gradimento: le azioni possono essere alienate solo ad un soggetto con determinate caratteristiche. Il patto è valido purché riporti un requisito oggettivo e purché esistano requisiti possibili (non si può dire: “è trasferibile solo a persone più alte di 8 metri”). Non sono, invece, validi i patti di mero gradimento. Il classico esempio è quello che lega l’entrata o meno del socio ad un “placet” (giudizio insindacabile ed immotivato) da parte di un organo sociale (normalmente l’organo amministrativo). Pur essendo vietate dalla legge, in merito alle clausole di mero gradimento, la Cassazione ha specificato che esse sono lecite, se gli amministratori, negando l’entrata di un socio, trovano, in alternativa, un altro nuovo socio: la ratio di quest’orientamento è quella di non legare a vita il socio nella società. La riforma si è mossa esattamente su questa linea (art. 2355 BIS).

La sottoscrizione di azioni proprie

L’art. 2357 quater prevede che “In nessun caso (oggi modificato con: “Salvo quanto previsto dall’articolo 2357-ter, comma secondo) la società può sottoscrivere azioni proprie.” poiché, se è la società a sottoscrivere le azioni, essa acquista la posizione di creditore e di debitore assieme e, come sappiamo dal diritto privato, tali posizioni si annullerebbero. Tuttavia l’articolo continua, specificando che la sottoscrizione è valida se imputata ai soggetti che materialmente hanno compiuto la sottoscrizione e non alla società. La società può acquistare le sue stesse azioni? Sì ma con dei limiti, perché si rischia di creare del capitale di carta inesistente.

Vediamo l’Art. 2357 Acquisto delle proprie azioni (immutato) La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate. L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo. In nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate. Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da determinarsi dall’assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l’assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall’art. 2446, 2° comma. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Art. 2358 Altre operazioni sulle proprie azioni (immutato)

La società non può accordare prestiti, né fornire garanzie, per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie. La società non può, neppure per tramite di società fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia. Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano alle operazioni effettuate per favorire l’acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di quelli di società controllanti o controllate. In questi casi tuttavia le somme impiegate e le garanzie prestate debbono essere contenute nei limiti degli utili distribuibili regolarmente accertati e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato.

Quest’articolo è importante perché tocca un meccanismo di acquisizione delle società che si chiama “leveraged buy-out”: il modello di acquisizione delle società più utilizzato. Detto brutalmente, si compra una società con i soldi della stessa società. Esempio numerico: si costituisce una società A, con capitale prestato dalle banche di 100. La società A poi si fonde con la società B che ha un attivo di 100. Queste operazioni sono state dichiarate lecite, purché gli amministratori diano atto della fattibilità economica dell’operazione stessa. Possono andare in bancarotta o essere brillanti, a seconda che l’utile (cash flow generato) sia maggiore o minore degli interessi da pagare sul debito.

Rispetto alle azioni proprie a chi spettano i diritti sociali?

Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, è stabilito che l’utile viene proporzionalmente passato ai soci. Con la riforma, il diritto di opzione è permesso. Per quanto riguarda i diritti amministrativi (di voto), il pericolo è che i soci di maggioranza relativa potrebbero conquistare la maggioranza assoluta. Per questo, le azioni proprie non votano, però vengono conteggiate ai fini del calcolo del quorum. A fronte dell’acquisto di azioni proprie deve essere creata una riserva indisponibile per lo stesso importo. Questa riserva non può essere distribuita fino a quando esistono azioni proprie.

Azioni privilegiate

Esse implicano partecipazioni agli utili (ad esempio: + 1% rispetto alle ordinarie) e alle perdite. Le azioni a voto limitato attribuiscono il diritto di voto solo nelle assemblee straordinarie.

Azioni di risparmio

Le avevamo già accennate quando parlavamo della Consob: hanno lo scopo di tutelare i piccoli risparmiatori. Non danno diritto di voto, ma dei diritti patrimoniali più consistenti. Con la riforma del 1998 (confermata nel 2003) è stata mantenuta quest’impostazione, ma si è voluto deregolamentare il tutto: prima, per legge, erano stabilite delle percentuali minime da garantire, oggi è il mercato a deciderle. Precisiamo: le azioni di risparmio non sono esenti dal rischio d’impresa, semplicemente, qualora vi sia utile, questo tipo di azioni sono le prime a percepirlo.

Il principio generale dell’atipicità delle azioni è dettato dall’art. 2348. (aggiornato) (Categorie di azioni). Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.

Le azioni postergate

La riforma chiarisce anche un punto che prima era dubbio: è possibile emettere azioni postergate alle perdite. Cosa significa? Se le perdite erodono il capitale sociale, bisogna diminuirne il valore. Se c’è una riduzione del capitale nominale per perdite, prima si annullano le altre azioni, poi le postergate. Art. 2350 (aggiornato). (Diritto agli utili e alla quota di liquidazione). Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni. Fuori dai casi di cui all’articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché l’eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società. In linea di principio, quindi, la regola è quella della proporzionalità. È però possibile una regolamentazione non proporzionale. Ovviamente se non c’è utile nessuna azione ne riceve.

Le azioni correlate (tracking shares) (art. 2350 comma 2 e 3)

Sono state inventate negli USA ed hanno la caratteristica di essere collegate all’andamento di un particolare settore della società. Lo Statuto stabilisce tutte le contabilità sezionali da tenersi. Non possono essere pagati dividendi se non nei limiti del bilancio della società, per evitare di distribuire utili fittizi. Anche se le azioni correlate rappresentano il 40% del capitale sociale, ma nel settore l’utile è del 10%, le azioni correlate si spartiranno solo l’utile che riguarda il settore. Ci si rifà all’utile globale: se il settore è in utile, ma il resto dell’impresa è in perdita, non si possono distribuire gli utili del settore.

Articolo 2351 (Aggiornato). (Diritto di voto). Ogni azione attribuisce il diritto di voto. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti. Non possono emettersi azioni a voto plurimo. (quindi un’azione può valere 0 o 1 voti). Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano. È importante ricordare che, con la riforma, si possono emettere persino una categoria speciale di azioni per ogni singolo socio.

Le azioni di godimento

Nascono dalla riduzione del capitale per esuberanza: i soci decidono che il capitale della società è eccessivo, e optano per un rimborso. In caso di liquidazione della società, le azioni di godimento hanno diritto ad una quota di liquidazione, solo dopo che alle altre azioni è stato rimborsato il valore nominale. L’azionista di godimento ha diritto all’utile, solo dopo che agli altri soci è stato ripartito un utile pari al tasso di sconto medio dei titoli di Stato. Questo perché queste azioni si erano viste rimborsare prima il valore nominale.

Gli strumenti finanziari partecipativi

È una categoria nuova. Dal punto di vista finanziario, prima della riforma, esistevano due tipi di investimenti: azioni e obbligazioni. Le prime sono tipico capitale di rischio, le seconde sono capitale di debito. Dal 2003 esiste un terzo strumento finanziario: quello partecipativo. Per capire cos’è bisogna intendere la differenza tra conferimento (= partecipazione al capitale sociale) ed apporto (= è lo strumento partecipativo: c’è un apporto di una cifra, ma il capitale sociale non cambia: in cambio si hanno dei diritti, sui quali si sta ancora studiando, che possono variare di caso in caso, in modo assolutamente flessibile e slegato dal rapporto azionario).

Gli organi sociali: l’assemblea dei soci

Con il termine assemblea si indicano le riunioni dei soci proprietari delle azioni. Essi prendono le decisioni organizzative della società. Queste riunioni si svolgono secondo precise regole di funzionamento, che sono in parte dettate dalla legge ed in parte dalla libera autonomia dei soci. Sotto questo profilo, nelle società quotate, oltre ad avere come in tutte le società delle regole statutarie, si ritiene opportuno approvare anche il regolamento assembleare, per disciplinare in estremo dettaglio come devono svolgersi i lavori assembleari. Le regole dell’assemblea sono in gran parte inderogabili. Si dice che l’assemblea debba seguire un metodo collegiale: la decisione deve essere presa seguendo un determinato iter, e bisogna arrivarvi informati. L’iter si riassume con il metodo collegiale. Esistono 4 fasi:

  1. convocazione: ha il fine di informare i soci riguardo al tema del giorno.
    1. L’assemblea è convocata dagli amministratori, secondo libera scelta.
    2. Nelle società quotate, l’iniziativa è anche concessa ai sindaci.
    3. Esistono casi in cui, però, gli amministratori sono proprio obbligati a convocare l’assemblea:
      1. Va, innanzitutto, convocata almeno una volta l’anno, entro 4 mesi dopo il termine dell’esercizio, in sede ordinaria, per approvare il bilancio d’esercizio.
      2. Nella vecchia normativa c’era anche la possibilità di posticipare l’assemblea restando entro 6 mesi. Questa norma era stata utilizzata molto nella pratica, perché si era sempre in ritardo. Con la riforma si può arrivare a 180 giorni, ma solo quando vi siano particolari esigenze connesse alla struttura o all’oggetto della società. (ad esempio: quando una capogruppo deve recepire i bilanci delle società controllate).
      3. I soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale hanno il potere di fare convocare l’assemblea da parte degli amministratori. La percentuale si può diminuire, specificandolo nello statuto, ma non aumentare.
      4. Ultimo caso in cui va convocata l’assemblea è quando la prima convocazione sia andata deserta (non si raggiunge il quorum). La seconda convocazione va effettuata entro 30 giorni. Se gli amministratori non provvedono saranno i sindaci a doverlo fare. I sindaci sono obbligati anche in altri due casi:cessano gli amministratori le minoranze rilevano fatti censurabili di notevole entità.
      5. Nella vecchia normativa la convocazione doveva farsi sempre nelle gazzette ufficiali. Con la riforma questo obbligo resta solo per le società quotate (almeno 15 giorni prima, elevato a 30): oggi, per le società non quotate, è possibile convocare l’assemblea con altri mezzi che garantiscono comunque la prova del ricevimento almeno 8 giorni prima.
    4. Dove va convocata l’assemblea? Nel comune dove è sita la società, salvo diverse disposizioni statutarie. L’unica regola è che l’assemblea non debba essere convocata in luoghi particolarmente onerosi da raggiungere: purché non sia un mezzo per ostacolare i soci di minoranza. L’assemblea può anche tenersi in videoconferenza.
  2. intervento e discussione
  3. voto: è la delibera
  4. verbalizzazione

Solitamente l’assemblea funziona con il principio maggioritario e la decisione della maggioranza è vincolante anche per gli assenti ed i dissenzienti. Diversamente dalla SRL, nelle SPA la legge non permette di prendere le decisioni con altri tipi di iter. Nella SPA esistono necessariamente diversi organi, ognuno competente per determinate decisioni. Vediamo le competenze dell’assemblea e mettiamo in luce una modifica della riforma. Prima di essa, si riteneva che l’assemblea fosse l’organo sovrano. Adesso si ritiene, invece, che, comunque, ogni organo abbia specifiche competenze, quindi le decisioni dell’assemblea non liberano le decisioni degli amministratori. L’assemblea straordinaria è sempre la riunione dei soci, ma su determinate decisioni si hanno delle regole di funzionamento diverse, anche perché trattano argomenti diversi. Si hanno 3 tipi di sistemi di assemblee:

  1. tradizionale: in generale l’assemblea ordinaria nomina gli amministratori e approva il bilancio, mentre l’assemblea straordinaria delibera quando si vuole modificare lo statuto.
  2. dualistico
  3. monistico (rivedremo queste ultime due assemblee successivamente).