I Futures
Dal punto di vista contrattuale, un Futures non è altro che un contratto a termine negoziato in borsa. Cosa sia un contratto a termine lo abbiamo già visto parlando dei tassi di cambio: ricordiamo sinteticamente che si tratta di un contratto il cui prezzo viene stabilito oggi, ma la cui prestazione (acquisto o vendita), avrà luogo in un momento futuro. Tuttavia, il fatto di essere negoziati in borsa non implica meramente un diverso luogo di negoziazione: infatti, il fatto di essere exchange-traded, determina tutta una serie di caratteristiche proprie dei Futures.
Il primo elemento, derivante dalla negoziazione in borsa e che distingue i Futures, è la standardizzazione. La standardizzazione investe vari elementi di questi contratti.
Attività sottostante: abbiamo visto che gli strumenti derivati possono essere scritti su tante famiglie di attività, sia reali che finanziarie, ma, in caso di Futures, sono solo i soggetti che gestiscono la borsa a decidere quali contratti quotare. Perciò, se la borsa decide di non emettere un determinato contratto, i clienti interessati ad esso non potranno fare altro che rivolgersi al mercato OTC. Tuttavia, è opportuno ricordare che la gamma di contratti futures è limitata rispetto alle possibili attività sottostanti ma offre comunque un gran numero di alternative. In particolare, in base all’attività sottostante, i mercati futures sono segmentati nelle seguenti tipologie: Commodities Futures: ulteriormente suddivisi in agricoli, coloniali (prodotti agricoli tipicamente provenienti dalle colonie), metalli non ferrosi (presupposto indispensabile affinché possa essere scritto un contratto Futures è l’esistenza di un libero mercato, che è invece inesistente in caso di metalli ferrosi), metalli preziosi (tipicamente oro, argento e platino), energetici (in primis petrolio e gas naturale). I Commodities Futures più importanti, sia quantitativamente che qualitativamente, sono quelli scritti sugli energetici; Financial Futures: ulteriormente suddivisi in valute, azioni (stock index, ossia panieri, e singoli azioni), tassi di interesse (bond futures in caso di tassi di interesse a lungo termine, e Short-Term Interest Rate Futures in caso di tassi di interesse a breve termine). I Financial Futures sono quantitativamente molto più rilevanti dei Commodities Futures. Il contratto Futures più negoziato in assoluto è il contratto sui tassi di interesse a lungo termine e, in particolare, il contratto a lungo termine sui bund, le obbligazioni governative tedesche. Segue il contratto Futures sul Libor dollaro e, più o meno in terza posizione, i vari Futures scritti sugli indici di borsa. Sono invece poco negoziati i Futures su valute, dal momento che il mercato OTC (contratti a termine) soddisfa le esigenze degli operatori in maniera più che adeguata.
Scadenze: a differenza dei contratti a termine, in caso di contratti Futures, gli operatori non possono scegliere liberamente le scadenze. Tipicamente, i Financial Futures hanno scadenza trimestrale: marzo/giugno/settembre/dicembre e, contemporaneamente, sul mercato vengono quotati otto contratti, per una durata massima di due anni. Convenzionalmente, la scadenza è fissata al terzo mercoledì del mese.
Dimensione contrattuale: anche per quanto riguarda la dimensione del contratto, i contratti Futures non lasciano agli operatori la libertà invece prevista in caso di contratti a termine.
Tick: il tick è la variazione di prezzo minima e, anche in relazione a questo elemento, i Futures risultano standardizzati. Si tratta tuttavia di un elemento di minore importanza.
Il secondo elemento di distinzione dei Futures, determinato dalla negoziazione in borsa, riguarda il ruolo assunto da un soggetto fondamentale, ossia la Clearing House, o Cassa di Compensazione. La Clearing House è a tutti gli effetti l’ente gestore, ma a noi non interessa esaminare il suo ruolo di emittente, bensì il suo ruolo nella fase di negoziazione.
Innanzitutto, quando si negozia un Futures, l’operatività non è concessa a chiunque: i singoli clienti finali non possono comprare o vendere direttamente Futures, così come non potevano accedere direttamente alla borsa in caso di titoli azionari. Tuttavia, relativamente alle azioni, gli intermediari erano abilitati a portare in borsa ordini in conto terzi, e ciò comportava che il nome che compariva in borsa fosse quello del cliente finale e non dell’intermediario incaricato di portare l’ordine. In caso di Futures, invece, l’operatività è riservata esclusivamente ai soggetti autorizzati (ancora chiamati membri, come retaggio della passata natura cooperativa di questi mercati), ossia ad una serie di istituzioni finanziarie autorizzate a negoziare in nome e in conto proprio. Ciò significa che, in borsa, compaiono i nomi degli intermediari finanziari anziché i nomi dei clienti finali realmente coinvolti nell’operazione di compravendita. Ciò riduce notevolmente il rischio di controparte (il che rappresenta uno dei vantaggi esaminati in relazione agli strumenti derivati exchange-traded), dal momento che gli intermediari finanziari sono, per ragioni di portafoglio, meno rischiosi dei clienti finali: infatti, le istituzioni finanziarie rappresentano molti clienti in entrambe le direzioni, e ciò comporta che, in caso di perdita di alcuni clienti, altri sicuramente guadagneranno.
Quindi, supponendo che un cliente della Goldman Sachs venda ad un cliente della Morgan Stanley 10 contratti, con scadenza dicembre , sul petrolio WTI (West Texas Intermediate), in fase di borsa, o di negoziazione, risulterà:
GS MS
Vende 10 contratti
dic. , WTI
Saranno quindi la Goldman Sachs e la Morgan Stanley a fissare il prezzo del contratto, tipicamente attraverso un’asta telematica continua, ma, in alcuni casi, ancora con un’asta chiamata.
Inoltre, la fase post-negoziazione, o amministrativa, prevede che ai due originari contraenti si interponga la Clearing House. Ciò significa che la fissazione del prezzo in borsa non si trasforma automaticamente in un contratto di compravendita, ma da vita a due distinti contratti di compravendita: uno in cui la Goldman Sachs vende alla Clearing House e l’altro in cui la Morgan Stanley acquista dalla Clearing House. Contrattualmente, la controparte di entrambe le istituzioni diventa la Clearing House.
GS CH MS
Vende Acquista
Ciò riduce ulteriormente il rischio di controparte, dal momento che le due istituzioni finanziarie coinvolte non subiscono l’una il rischio di credito dell’altra: se uno dei due soggetti fosse insolvente, la Clearing House onorerebbe comunque l’impegno preso con la controparte, utilizzando il proprio patrimonio netto. E per dare l’idea di quanto siano solide le Clearing House, è opportuno ricordare che nessuna di esse è mai fallita, nemmeno dopo aver subito perdite enormi.
In conclusione, è opportuno rilevare che la negoziazione in borsa, grazie al ruolo della Clearing House, rende praticamente nullo il rischio di controparte, che risulta invece molto consistente in caso di negoziazioni all’interno del mercato OTC.
La Clearing House, ovviamente, ha la necessità di tutelarsi per i rischi che va ad assorbire, perciò impone, per le negoziazioni in Futures, un meccanismo di margini. Ciascun intermediario finanziario autorizzato ad operare sul mercato dei Futures detiene un conto presso la Clearing House, che in realtà è una banca a tutti gli effetti. Ogni volta che viene negoziato un nuovo contratto la Clearing House impone vari obblighi alle controparti: versamento di un margine iniziale: sia che si compri, sia che si venda, contratto per contratto è previsto quanto le controparti devono versare sul proprio conto che detengono presso la Clearing House. Quindi, mentre i contratti a termine non prevedevano alcun flusso di cassa al tempo 0, i contratti Futures, a t0 prevedono il versamento di una somma, espressa in percentuale rispetto al valore del contratto oppure in valore assoluto; versamento/ricevimento di una margine di variazione: il meccanismo dei margini prevede poi che nei giorni successivi alla negoziazione venga versato o ricevuto un margine, calcolato attraverso il meccanismo del marking-to-market; mantenimento di un margine di mantenimento: questo margine non è sempre previsto, ma, nel caso lo sia, indica una somma minima che deve essere presente sul conto per tutta la durata del contratto. Infatti, gli accreditamenti e gli addebitamenti del margine di variazione determinano delle modifiche nel margine iniziale; se il margine di mantenimento è previsto e se gli addebitamenti determinati dal margine di variazione fanno sì che la somma presente sul conta scenda al di sotto di questo margine, la Clearing House contatterà il titolare del conto per richiedere un nuovo versamento (Margin Call, o Chiamata di Margine).
Andiamo quindi a vedere come viene calcolato il margine di variazione, ossia il meccanismo marking-to-market.
Per comprendere questo meccanismo, consideriamo innanzitutto un contratto a termine (forward) sul petrolio, in cui decidiamo di acquistare petrolio a 120 dollari al barile.
Essendo un contratto a termine, al tempo 0 non avrà luogo alcun flusso di cassa, e 120 dollari sarà il termine di riferimento a cui effettueremo la nostra prestazione alla scadenza.
Ovviamente, quando verrà consegnato il petrolio ed effettuato il pagamento, l’acquirente andrà ad analizzare i prezzi di mercato: se questi sono saliti avrà un guadagno, una valorizzazione; se questi sono scesi avrà una perdita, un extracosto. I contratti Futures, sono, in realtà, un portafoglio di contratti a termine con scadenza giornaliera. Infatti, al termine di ogni giornata e fino alla scadenza, si confronterà il prezzo del petrolio di quella giornata con il prezzo del petrolio della giornata precedente, e si procederà a liquidare la differenza. Il marking-to-market, quindi, è pari alla differenza tra il prezzo del petrolio al tempo t e il prezzo del petrolio al tempo t-1 (per entrambe le giornate si valutano i prezzi a termine): M-T-M = | Pt – Pt-1|
Tuttavia, i prezzi sono sempre negoziati per unità (nel caso del petrolio l’unità è il barile), mentre, normalmente, i contratto non sono scritti su una unità, bensì su un lotto di dimensione non unitaria. Quindi, il market-to-marking deve tener conto anche della dimensione del contratto: M-T-M = | Pt – Pt-1| · DIMcontratto
Infine, Bisogna tener conto anche del numero di contratti negoziati: M-T-M = | Pt – Pt-1| · DIMcontratto · #contratti
A questo punto resta solo da capire chi riceve e chi paga di volta in volta. Ricordiamo che acquistare un Futures significa acquistare a termine, e vendere un Futures significa vendere a termine. Quindi, oggi viene fissato un prezzo e, se il giorno dopo i prezzi sono saliti, l’acquirente guadagna e il venditore perde, mentre se il giorno dopo i prezzi sono scesi, l’acquirente perde e il venditore guadagna. Quindi risulta: se Pt > Pt-1 ® l’acquirente riceve e il venditore paga; se Pt < Pt-1 ® il venditore riceve e l’acquirente paga.
Ciò determina il margine di variazione, ossia il segno del market-to-marking a seconda che io mi trovi nella posizione di acquirente o di venditore.
Esempio: oggi, 3 maggio , la Goldman Sachs vende alla Morgan Stanley 50 contratti sul petrolio WTI, con scadenza a giugno. Il prezzo del contratto è pari a 60 dollari; la dimensione del contratto è pari a 100 barili; il margine iniziale è pari a 12.000 dollari complessivi. Ipotizziamo che, nei giorni successivi al 3 maggio , i prezzi del contratto subiscano la seguente dinamica:
4 maggio : 61,5 $ 5 maggio : 59 $ 6 maggio : 60$ 7 maggio : 62 $
Andiamo quindi a vedere quanto e come si movimentano i conti della Goldman Sachs e della Morgan Stanley di giorno in giorno.
Il primo giorno non vi è alcun margine di variazione, ma deve essere versato il margine iniziale.
Il giorno seguente, il prezzo del petrolio sale, quindi, se l’operazione si chiudesse in quel momento, l’acquirente otterrebbe un guadagno, che viene subito versato.
Il terzo giorno, ovviamente, non riguarderà più ciò che è accaduto tra i primi due giorni, ma si calcolerà la differenza tra il prezzo giornaliero e il prezzo del giorno precedente: in questo caso il prezzo è sceso, quindi sarà il venditore a guadagnare.
Il quarto giorno, il prezzo torna ad essere uguale al prezzo originariamente negoziato, perciò i conti torneranno pareggiati al margine iniziale: infatti, la posizione cumulata altro non è che la differenza tra l’attuale prezzo di negoziazione e il prezzo originariamente negoziato.
Tutti questi calcoli sono gestiti direttamente dalla Clearing House, che provvederà a contattare i clienti solo nel caso in cui il loro conto scenda al di sotto del margine di mantenimento (che nell’esempio non avevamo fissato).
Quindi, in generale, il margine iniziale rappresenta il primo cuscinetto di cui la Clearing House si dota, ossia la garanzia che richiede in virtù dell’assunzione del rischio di credito. Tuttavia, le movimentazioni determinate dal margine di variazione possono rendere tale garanzia sovradimensionata o, al contrario, sottodimensionata. Il marking-to-market consente di osservare continuamente la dinamica di tale garanzia: se sul conto si accumula molto denaro, per la Clearing House ovviamente non sarà un problema; viceversa, se il conto scende al di sotto del margine di mantenimento o va addirittura in rosso, possono sorgere problemi. La Clearing House provvederà perciò a contattare il cliente per richiedere un nuovo versamento: se questo avviene regolarmente la situazione resterà invariata; se invece il titolare del conto non è in grado di effettuare il versamento richiesto, la Clearing House sarà autorizzata a stralciare la sua posizione, rendendolo così insolvente. Se ciò accade, la Clearing House perde un ammontare di denaro equivalente alla variazione giornaliera nel prezzo del contratto, e non l’intero valore del contratto, cosa che riduce notevolmente il rischio di credito.