Disoccupazione INPS, nuove regole penalizzano i stagionali
Le recenti modifiche alla normativa sulla disoccupazione INPS stanno creando scompiglio tra i lavoratori stagionali nel settore turistico e alberghiero, tradizionalmente fortemente dipendenti dalla Naspi nei periodi di inattività.

I lavoratori stagionali e l’incubo dell’assenza di disoccupazione
Per chi lavora in località turistiche, il clima e il flusso dei visitatori dettano le regole del gioco. Durante mesi di alta stagione, gli hotel e le strutture ricettive pullulano di clienti, ma quando arriva la bassa stagione, le porte si chiudono e il lavoro si ferma. La Naspi, o Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, rappresenta un ancora di salvezza in queste pause forzate, ma le recenti revisioni normative hanno complicato l’accesso all’indennità di disoccupazione, lasciando molti stagionali in bilico. Un lavoratore del settore turistico ha condiviso la sua storia: “Lavoro negli hotel sia nella stagione estiva sia in quella invernale. Dopo aver terminato la stagione estiva il 31 agosto sulla riviera romagnola, mi preparo a spostarmi in Trentino per la stagione invernale. Ma, per la prima volta, il patronato mi ha detto che non ho diritto alla Naspi”.
Come le nuove regole sulla Naspi stanno impattando i lavoratori
Recentemente, sono state adottate strategie per ridurre pratiche fraudolente legate alla Naspi. Prima, alcuni lavoratori riuscivano a “farsi licenziare” con assenze strategiche, percependo così l’indennità pur senza reale intenzione di lasciare il posto. Questa tattica ora è trattata come dimissioni volontarie, che escludono l’accesso alla Naspi. Un altro elemento chiave riguarda i lavoratori stagionali: nel caso di rottura del contratto per dimissioni, il successivo impiego deve estendersi per almeno tre mesi per poter reclamare l’indennità alla fine del contratto. Il nostro protagonista, dopo essersi licenziato per problemi con i responsabili di un albergo a maggio, scopre che il suo contratto successivo deve durare almeno 90 giorni per ripristinare il diritto alla Naspi. Un vincolo che non esisteva prima e che mette in difficoltà lavoratori abituati a brevi incarichi.
La lotta tra necessità economiche e normative stringenti

Ci si chiede: perché queste regole? Le modifiche mirano a proteggere le casse pubbliche da comportamenti opportunistici che, in passato, hanno permesso l’accesso facilitato alla disoccupazione. Tuttavia, tali aggiustamenti hanno accresciuto le incertezze per chi lavora in un settore già instabile. La strategia di farsi riassumere per un breve periodo dopo le dimissioni volontarie dava ai lavoratori l’accesso a un’indennità. Oggi, invece, il legislatore ha previsto una soglia minima di 3 mesi per il nuovo contratto, ostacolando chi cerca di rientrare nei requisiti in modo non ortodosso. Eppure, una riflessione è doverosa: non è forse eccessivo colpire chi, già sofferente di una riduzione dei mesi lavorativi, deve anche affrontare restrizioni di questo tipo?
Possibili vie d’uscita e raccomandazioni
Nonostante le stringenti regole, esistono ancora possibilità di recupero. Dal 1° gennaio 2025, la Legge di Bilancio 2024 offrirà qualche spiraglio: chi si dimette da un contratto a tempo indeterminato dovrà lavorare almeno 3 mesi consecutivi e totalizzare 13 settimane di contribuzione per accedere alla Naspi. Tuttavia, si può sperare in una revisione del patronato; se il primo contratto fosse a termine, ci potrebbe essere margine per riconquistare l’indennità. Un’altra opportunità risiede nel prossimo lavoro invernale, che, superando le 13 settimane, consentirà al protagonista della nostra storia di richiedere nuovamente l’indennità.
La normativa si evolve continuamente, e chi è afflitto dalla sua severità può trarre vantaggio dal consulto di esperti del lavoro per affrontare i periodi di inattività con fiducia e certezza. Tra difficoltà e nuove opportunità, il consiglio è rivolto a non arrendersi: ogni sfida porta con sé la speranza di una soluzione