Soggetti passivi

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IL SOGGETTO PASSIVO ED IL DOMICILIO FISCALE

Oltre alle persone fisiche ed agli enti collettivi dotati di personalità giuridica, sono soggetti passivi d’imposta anche tutte le altre organizzazioni nei confronti delle quali il presupposto si verifica in modo unitario ed autonomo. Con il termine contribuente si indica l’obbligato principale – ossia colui che realizza il presupposto del tributo, fatto espressivo di capacità contributiva – che è il “soggetto passivo in senso stretto“; mentre con l’espressione “soggetto passivo in senso ampio” si intende ogni soggetto che abbia obblighi di qualunque genere verso il fisco. Ad ogni contribuente corrisponde un domicilio fiscale:

  • il comune dell’anagrafe in cui sono iscritti, per i residenti persona fisica;
  • il comune dove hanno sede legale, per le società e per gli enti;
  • il comune in cui è prodotto il reddito, per i non residenti.

Il comune di domicilio fiscale ha importanza formale in quanto determina la competenza territoriale dell’Ufficio che deve gestire la posizione fiscale di tale contribuente. Dal domicilio fiscale si distingue la residenza fiscale, che ha invece importanza sostanziale in quanto determina la tassazione dei redditi dei soggetti residenti, anche se prodotti all’estero.

LA SOLIDARIETA’ TRIBUTARIA

Si ha solidarietà tributaria qualora l’obbligazione tributaria faccia capo ad un pluralità di soggetti, tenuti in solido ad adempierla. Il legislatore tributario non dà definizioni di “solidarietà” ma si limita a riconoscere quando l’obbligazione è solidale: spetterà dunque all’interprete ricostruire la disciplina della solidarietà tributaria, facendo riferimento alle norme del codice civile (articoli da 1292 Codice Civile). Nella solidarietà tributaria (che prevede sole ipotesi di solidarietà passiva) si distinguono:

  • solidarietà paritetica, nella quale il presupposto è riferibile ad una pluralità di soggetti;
  • solidarietà dipendente (solo nei casi tassativamente indicati dalla legge) nella quale all’obbligato principale (che pone in essere il presupposto) si aggiunge un obbligato dipendente (il responsabile d’imposta) con funzione di garanzia.

Il responsabile d’imposta è un obbligato in via dipendente in quanto realizza una fattispecie legata al presupposto da un “nesso di pregiudizialità”, ma che di per sé non genera alcuna obbligazione tributaria – per cui l’obbligazione del responsabile esiste solo in quanto esiste quella principale. Nei confronti del fisco, in ogni caso, non rileva la distinzione tra solidarietà paritetica e dipendente, che assume rilevanza solo nei rapporti interni:

  • nella solidarietà dipendente, il responsabile che paga il tributo ha diritto di regresso integrale nei confronti dell’obbligato principale;
  • nella solidarietà paritetica, il co-obbligato ha diritto di regresso solo pro quota.

Tra i casi di solidarietà paritetica ricordiamo:

  • il caso degli eredi, che subentrano nelle obbligazioni tributarie del de cuius;
  • l’affitto, nel quale entrambe le parti sono coobbligate con riferimento all’imposta di registro.

Tra i casi notevoli di solidarietà dipendente troviamo:

  • in ambito IRES, quando è adottato il regime di trasparenza, la società partecipata non è debitrice d’imposta per il proprio reddito, ma obbligata come garante del debito dei soci (per imposta, sanzioni, ed interessi conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito);
  • nel consolidato nazionale, la capogruppo è responsabile dei debiti fiscali che scaturiscono dai redditi delle controllate (che sono obbligate principali in quanto realizzano il presupposto);
  • i soci delle S.n.C. e gli accomandatari nelle S.a.S. rispondono solidalmente ed illimitatamente dei debiti della società;
  • nell’imposta di registro, il notaio che redige un atto è obbligato al pagamento dell’imposta assieme alle parti contraenti (fatto salvo poi suoi diritto di rivalsa sugli obbligati principali).

LA DISCIPLINA DELLA SOLIDARITA’

Il diritto tributario presenta una varietà di situazioni ignota al diritto privato, per cui non sempre si può rinviare a quest’ultimo per risolvere i problemi di solidarietà tributaria. Il soggetto passivo del tributo non è soltanto obbligato all’adempimento di una prestazione pecuniaria, ma anche di obblighi formali (come la presentazione della dichiarazione): anche in tale caso vale il principio per cui l’adempimento di un soggetto libera tutti gli altri – d’altra parte, qualora la dichiarazione comporti sanzioni queste sono applicabili nei confronti di tutti i co-obbligati. La super-solidarietà tributaria era un principio per cui gli atti dell’amministrazione tributaria (avviso d’accertamento, atti della riscossione, atti del processo, eccetera) notificati ad uno solo dei condebitori erano ritenuti efficaci nei confronti di tutti condebitori – da cui derivava che, qualora l’atto non fosse stato impugnato e fosse divenuto definitivo, gli effetti valessero nei confronti di tutti gli obbligati. Tale principio è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale in quanto comportava la lesione del diritto di difesa (ex articolo 24 Costituzione) dei condebitori nei cui confronti un atto poteva esplicare effetti senza che ad essi fosse notificato. Si è oggi consolidata l’idea che l’obbligazione solidale tributaria non differisca né per struttura né per disciplina da quella civile. Si applicano dunque le norme del codice civile secondo cui gli atti compiuti da o nei confronti di un condebitore:

  • sono estendibili agli altri condebitori se favorevoli;
  • non sono estendibili se sfavorevoli;
  • sono estendibili qualora l’interessato decida di avvalersene se neutri.

EFFICACIA SOGGETTIVA DEGLI ATTI DI ACCERTAMENTO E DELL’ISCRIZIONE A RUOLO

Il codice civile non considera nella solidarietà problemi che attengono all’esercizio di poteri autoritativi. Ci si chiede, ad esempio, se l’Amministrazione sia tenuta notificare l’avviso a tutti i co-obbligati: poiché nella solidarietà vi è una pluralità di debitori per un’unica prestazione e l’adempimento di un solo condebitore libera gli altri, da ciò deriva l’esclusione dell’obbligo per l’Amministrazione di notificare l’avviso a tutti i co-obbligati (così come nel diritto privato il creditore può a sua scelta pretendere la prestazione dall’uno, dall’altro, o da tutti i condebitori). D’altra parte, un avviso d’accertamento notificato ad un solo condebitore (sia nel caso di solidarietà paritaria che dipendente) avrà efficacia solo verso questo (in primis a tutela del diritto di difesa ex articolo 24 Costituzione): qualora il Fisco abbia notificato al solo obbligato principale e voglia ottenere il pagamento dall’obbligato dipendente, dovrà notificarlo anche a quest’ultimo (non si può in fatti iscrivere a ruolo soggetti nei confronti dei quali non vi è titolo che legittimi alla riscossione – ed anche quando tale titolo è presente sarà comunque necessaria la preventiva iscrizione a ruolo). Allo stesso modo, esecuzione forzata sarà possibile (salvo diritto di seguito del bene di terzi) solo verso chi iscritto a ruolo (motivato da accertamento).

NOTIFICA DELL’ACCERTAMENTO ED IMPEDIMENTO DELLA DECANDENZA

Il termine di decadenza tributaria, ossia il termine entro cui va notificato l’avviso d’accertamento a pena di decadenza, è il 31/12 del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione (o del quinto, qualora omessa). Quando l’avviso non è notificato nei termini a tutti i co-obbligati, la giurisprudenza ritiene applicabile alla decadenza tributaria l’articolo 1310 codice civile – secondo cui gli atti con cui il creditore interrompe la prescrizione contro uno hanno effetto anche verso gli altri condebitori: tale orientamento suscita perplessità in quanto estende analogicamente alla decadenza una norma dettata per la prescrizione – quando l’articolo 2964 c.c. stabilisce espressamente l’inapplicabilità di regole della prescrizione quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza. Nella disciplina delle sanzioni è invece espressamente previsto dal legislatore che la notifica tempestiva dell’atto sanzionatorio ad uno solo degli autori della violazione produca la proroga di 1 anno del termine della notifica verso gli altri co-obbligati.

PROBLEMI PROCESSUALI NELL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 1306 CODICE CIVILE

Nel diritto tributario possono aversi tanti atti e tante notificazioni quanti sono i condebitori – e se i condebitori impugnano uno stesso atto con distinti ricorsi, gli esiti possono essere tanti quanti sono i processi instaurati. Un problema frequente, che non trova soluzione espressa in alcuna norma, si pone qualora l’avviso d’accertamento non si impugnato da tutti i soggetti a cui è notificato. In tale caso la giurisprudenza ritiene applicabile l’art.1306 del c.c. secondo cui la sentenza, pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto verso gli altri debitori (riflettendo il principio secondo cui la sentenza vale solo tra le parti del processo e non ultras partes). In alcuni casi la sentenza favorevole può essere estesa ultra partes, ed i condebitori possono opporla al creditore (secondo il principio per cui gli atti favorevoli ad un debitore valgono anche per gli altri):

  • l’estensione è pacificamente ammessa per le parti che abbiano impugnato l’accertamento;
  • l’estensione è discussa con riguardo al debitore che non ha impugnato l’atto – in ogni caso, la giurisprudenza fa prevalere l’effetto del giudicato sulla definitività dell’avviso di chi non ha impugnato.

Sempre la giurisprudenza pone però alcuni limiti, in quanto l’estensione del giudicato favorevole formatosi nei confronti di altro condebitore:

  • può essere invocata solo per contestare la pretesa di pagamento di maggior tributo ma non anche per la ripetizione di quanto già pagato;
  • non può essere invocata da coobbligato nei confronti di cui si sia già direttamente formato un giudicato (perché ad esempio, avendo partecipato al giudizio di primo grado, non abbia poi appellato);
  • non può essere invocata qualora la sentenza si fondi su ragioni personali del debitore che ha partecipato al processo.

IL TERZO SOGGETTO AD ESECUZIONE FORZATA

Vi sono casi in cui l’azione esecutiva può essere esercitata anche sui beni di proprietà di un terzo: in particolare, quando il credito d’imposta è garantito da privilegio speciale sui beni a cui il tributo si riferisce; in forza del “diritto di seguito” il privilegio segue il bene, anche se di proprietà di un terzo.

LA SOSTITUZIONE

La sostituzione oggettiva (i regimi sostitutivi) indica la sotto-posizione di una determinata fattispecie, in via derogatoria, ad un regime fiscale diverso da quello ordinario. La sostituzione soggettiva si ha quando, per disposizioni di legge, l’obbligazione tributaria è posta a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto (esempio le imposte sui redditi nel lavoro dipendente): può essere a titolo di imposta (definitivo) od a titolo di acconto. Il sostituto d’imposta è chi corrisponde ad altri (sostituiti) somme soggette a ritenuta: il non operare la ritenuta è punito con sanzione amministrativa pari al 20% dell’importo non ritenuto ed al 30% dell’importo non versato.

LA SOSTITUZIONE A TITOLO D’IMPOSTA

La sostituzione a titolo di imposta (la sostituzione in senso proprio) comporta l’applicazione di un’aliquota fissa su di un determinato provento del percipiente (sostituto), che però grava su un altro soggetto (sostituto): in questo caso, a differenza del responsabile d’imposta, il soggetto passivo è uno solo, il sostituto. Nella sostituzione a titolo d’imposta, oltre che una sostituzione soggettiva, si ha contemporaneamente una sostituzione oggettiva, in quanto i redditi tassati non si cumulano agli altri posseduti dal contribuente, essendo già tassati in via definitiva con la ritenuta ed il versamento. Per quanto in origine sia obbligato solo il sostituto, qualora questi non applichi la ritenuta e non provveda al versamento si aggiunge la responsabilità del sostituito, ed i soggetti diventano obbligati in solido verso il fisco. Un esempio di sostituzione d’imposta si ha nella corresponsione degli interessi attivi bancari, che vengono tassati direttamente alla fonte e l’obbligazione tributaria grava sulla banca, che è sostituto d’imposta, e deve operare le ritenute per versare l’imposta. La ratio della sostituzione sta nel fatto che il sostituto è debitore verso il sostituito di somme la cui corresponsione realizza presso il creditore un fatto fiscalmente rilevante.

SOSTITUZIONE A TITOLO D’ACCONTO

La sostituzione a titolo d’acconto realizza una forma di riscossione anticipata, nella quale il sostituto non è debitore ma solo soggetto passivo di un obbligo di versamento (si parla infatti di sostituzione impropria): i redditi ai quali si riferisce l’acconto si cumulano agli altri redditi posseduti dall’obbligato principale – e gli acconti ritenuti saranno poi scomputati dalla somma dovuta dal sostituito per il reddito globale. Tra sostituto e sostituito vi è rapporto di rivalsa: il sostituto, nel momento in cui corrisponde al sostituito le somme soggette a ritenuta, ha il diritto-dovere di trattenere la quota (come nel caso del datore di lavoro che è sostituto d’acconto nei confronti del dipendente). Nella sostituzione a titolo di acconto, il sostituito è responsabile solo per il saldo dovuto, e non per la parte già ritenuta – anche se non versata: qualora sia stata, quindi, applicata la ritenuta, il fisco potrà rifarsi solo sul sostituto (il rapporto sostituto – fisco è infatti indipendente da quello sostituto-fisco). Qualora né sia stata fatta ritenuta né versamento del dovuto:

  • qualora il sostituto dichiari tutto il reddito percepito, e paghi l’imposta sul totale (senza scomputare quindi la ritenuta (che effettivamente non c’è stata), il sostituto è liberato per l’acconto dovuto, ma potranno insorgere sanzioni nei suoi confronti;
  • qualora il sostituto scomputi la ritenuta (non effettuata) da quanto dovuto, il sostituto rimane obbligato verso il fisco (ma con diritto di rivalsa sul sostituito).

In quest’ultimo caso:

  • la dottrina ritiene – non essendoci alcuna norma che ponga a carico del sostituito l’obbligo di corrispondere al fisco le somme dovute che avrebbero dovuto formare oggetto di ritenuta – che il Fisco possa accertare al sostituito il reddito percepito sul quale è stata omessa la ritenuta, ma non richiedere altro che la differenza a saldo tra imposta globale e ritenute d’acconto che si sarebbero dovute versare;
  • la giurisprudenza ritiene che l’Amministrazione Finanziaria possa, oltre che accertare al sostituito, anche riscuotere la relativa imposta.

LA RIVALSA E LA TRASLAZIONE

La rivalsa si ha quando il soggetto passivo del tributo è diverso dal soggetto che pone in essere il fatto economico (colpito dal tributo). E’ necessario che il debitore del tributo sia in grado di trasferire l’onere economico sul soggetto che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva (esempio come avviene nell’IVA). Le leggi tributarie prevedono esplicitamente il diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in essere il presupposto: la rivalsa, oltre che da norme per ragioni tributarie, può derivare da norme civilistiche o da clausole contrattuali (qualora l’obbligazione tributaria sia oggetto di una negoziazione di tipo civilistico tra le parti). A colui che ha pagato un’imposta per un presupposto riferibile ad altri si applica il meccanismo della surrogazione legale: il surrogatore assume nei confronti del surrogato gli stessi diritti che il fisco aveva nei confronti del debitore.

ACCOLLO DELL’IMPOSTA

La rivalsa dell’imposta può essere:

  • obbligatoria, quando il legislatore vuole che l’onere del tributo sia trasferito dal soggetto passivo ad altri (es. rivalsa IVA); ed in questo caso sono nulli i patti di rinuncia alla rivalsa;
  • facoltativa, nel qual caso i privati sono liberi di stipulare patti d’accollo dell’imposta; e l’accollante si impegna verso l’accollato a far fronte ad un determinato debito d’imposta nei confronti del fisco (accollatario).
  • vietata quando non è possibile esercitarla per scelta del legislatore (esempio l’INVIM, dovuta dal venditore e non accollabile dal compratore).

I privati possono prevedere che l’accollo abbia effetto solo fra di loro (c.d. accollo interno) o che abbia efficacia anche nei confronti del fisco (accollo esterno); in ogni caso, comunque, il debitore originario del tributo non potrà mai essere liberato (l’accollo d’imposta è sempre cumulativo, mai liberatorio). I patti di accollo non sono contrastanti con la capacità contributiva descritta dall’articolo 53 Costituzione poiché essa si riferisce solo ai “rapporti tributari”, mentre l’accollo è un “accordo orizzontale” tra privati.

SUCCESSIONE DEL DEBITO

La successione ereditaria implica il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria (sia il debito, sia – in linea generale – gli obblighi formali). Il fenomeno non è regolato da una norma specifica, ma si applicano le regole generali delle successioni. Tuttavia, per le imposte sui redditi vi è una norma specifica che sancisce che gli eredi rispondano in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del dante causa. In materia di IVA è prevista la possibilità di proroga nei pagamenti fino a tre mesi dalla morte del de cuius.