I principi

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IL DOVERE DI CONCORRERE ALLE SPESE PUBBLICHE

L’articolo 53 Costituzione afferma che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva: con termine “tutti” si intendono tutti i soggetti appartenenti alla comunità italiana indipendentemente da nazionalità o residenza – ricollegandosi dunque al “dovere di solidarietà” (ex articolo 2 Costituzione). Perciò il tributo, secondo la Costituzione, non è meramente fiscale ma risponde anche a doveri sociali di solidarietà fissati dalla stessa Costituzione. Il tributo deve essere anche in armonia con l’art.3 Costituzione, avente scopo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.

IL PRINCIPIO DI CAPACITA’ CONTRIBUTIVA

L’art.53 pone sullo stesso piano due interessi che si equilibrano (nessuno prevale):

  • quello del contribuente a subire una giusta imposizione;
  • quello del fisco alla percezione del tributo.

In questo senso la “capacità contributiva” assume anche funzione garantistica in quanto rappresenta contemporaneamente presupposto, parametro e limite del tributo. I principi sul chi debba e quanto bisogni concorrere sono, secondo la Scienza delle Finanze, il criterio del beneficio di chi fruisce delle spese pubbliche (per tasse) o l’attitudine/capacità a contribuire (per le imposte) indipendentemente dalla fruizione o meno di un servizio: in generale (sia da parte della dottrina, che ad opera della giurisprudenza costituzionale), si è d’accordo nel considerare la capacità contributiva ex. art.53 Costituzione come capacità economica. Con riguardo alla capacità contributiva, la giurisprudenza costituzionale è passata nel tempo da un’interpretazione di capacità contributiva soggettiva (intesa in senso stretto come effettiva capacità soggettiva del contribuente a far fronte al dovere tributario – valutata secondo opportuni indici concretamente rilevatori di ricchezza) ad una concezione sicuramente meno rigorosa di capacità contributiva oggettiva (anche solo potenziale – secondo cui ogni fatto economico è indice di capacità contributiva – e la capacità contributiva non è rilevata solo dal reddito, ma anche dalla capacità di produrlo).

INDICI DIRETTI ED INDIRETTI DI CAPACITA’ CONTRIBUTIVA

Indici della capacità contributiva possono essere diretti ed indiretti:

  • indici diretti, sono quelli che manifestano direttamente la ricchezza di un individuo (il reddito, patrimonio, e gli incrementi di valore del patrimonio);
  • indici indiretti, manifestano la ricchezza solo indirettamente (esempio il consumo, il volume degli affari, la stipulazione di contratti, eccetera).

Dal punto di vista quantitativo, il sacrificio personale imposto dev’essere rapportato all’idoneità del singolo di privarsi dei propri beni dopo aver soddisfatto i suoi bisogni essenziali, per cui il reddito minimo non può essere indice di capacità contributiva. Da ciò nasce quindi un limite massimo nella misura del tributo: andrebbe infatti contro l’articolo 53 Costituzione un tributo tale da incidere sul “minimo vitale” – per cui la discrezionalità del legislatore nel fissare la misura del tributo va esercitata entro limiti dettati da un generale principio di ragionevolezza.

IL REQUISITO DI EFFETTIVITÀ

La giurisprudenza costituzionale individua la necessità per il tributo di rispondere al requisito di effettività, ossia l’esigenza di un collegamento tra fatto rilevatore di capacità contributiva e tributo, e che questo sia effettivo e non fittizio ed apparente. Anche nel diritto tributario esistono presunzioni legali, cioè fatti ignoti che il legislatore desume da fatti noti: con riferimento alla capacità contributiva esistono solo presunzioni relative, cioè suscettibili di essere smentite da prova contraria, in quanto presunzioni assunte in tale ambito rischierebbero di urtare il principio di effettività. Ancora, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittime quelle norme che “forfetizzano” la quantificazione di elementi dell’imponibile o dell’imposta, che andrebbero a ledere il postulato di effettività qualora quest’ultimo fosse inteso in senso rigido. Infine, la Corte ha ritenuto che rientri nella discrezionalità del legislatore il tener conto (o meno) degli effetti della svalutazione monetaria, e che solo in casi di particolare gravità il legislatore debba depurare la base imponibile dagli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria, per correggere conseguenze inique od eccessivamente gravose dell’applicazione del principio nominalistico.

IL REQUISITO DI ATTUALITÀ

Un altro requisito è quello del requisito di attualità, per cui il tributo quando è applicato dev’essere correlato ad una capacità contributiva attuale: secondo la giurisprudenza costituzionale sono costituzionalmente legittimi i tributi retroattivi solo qualora colpiscano fatti del passato che esprimono una capacità contributiva ancora attuale. Potendo, inoltre, ledere il principio di certezza del diritto, la Corte Costituzionale ha stabilito che i tributi retroattivi sono ammessi solo a patto che trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti così da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti”. Altra questione è quella delle richieste di acconto per le imposte (che si collegano a presupposti d’imposta che si verificheranno nella loro completezza solo in futuro), per cui, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, il legislatore può chiedere acconti solo se:

  • la fattispecie a cui si collega il prelievo non sia del tutto avulsa dal presupposto (cioè non vada a violare il principio di effettività);
  • che l’obbligo di versamento non sia incondizionato;
  • che la previsione di prelievo anticipato sia compensata da quella di meccanismi di riequilibrio.

IL PRINCIPIO DI SOGGETTIVITÀ ED OBBLIGHI DI TERZI

Il principio di soggettività prevede che l’imposta/tributo sia a carico del soggetto che realizza il presupposto: se fosse a carico di un terzo verrebbe leso il principio espresso dall’articolo 53. Tuttavia possono essere previsti tributi pagati da un terzo, purché questo non sia gravato in via definitiva del tributo, cioè che possa successivamente agire con meccanismi di ritenuta o rivalsa (esempio come avviene per IVA).

IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA CONTRIBUTIVA

Secondo principio di uguaglianza contributiva, fondato sul combinato degli articoli 3 e 53 Costituzione, (come affermato dalla Corte Costituzionale) la legge tributaria deve trattare in modo uguale i fatti economici che esprimono pari capacità contributiva e deve trattare in modo differenziato i fatti che esprimono capacità contributiva in modo differenziato: la Corte Costituzionale potrà dunque sindacare le scelte del legislatore quando risultino irragionevoli i trattamenti differenziati di situazioni uguali od i trattamenti uguali di situazioni diverse (fatti salvi i criteri di parità di trattamento previsti dall’articolo 3 Costituzione – razza, religione, eccetera). Ad esempio, la Corte Costituzionale ha esteso l’esenzione di tutti i procedimenti di divorzio dall’imposta (esenzione motivata dalla tutela costituzionale della famiglia, seppur nella sua fase conclusiva) anche ai procedimenti di separazione. Il principio di uguaglianza impone al legislatore un generale principio di coerenza interna fra le norme del diritto tributario: non devono quindi presentarsi discipline tributarie contraddittorie – che cioè vadano a ricollegare al tributo fattispecie non espressive di quella particolare capacità contributiva colpita (questo per non rischiare di tassare in modo differenziato fatti che esprimono stessa capacità contributiva, ed in modo uniforme fatti che esprimono capacità differente).

AGEVOLAZIONI FISCALI E PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA

Il legislatore può concedere agevolazioni fiscali apparentemente contrastanti col principio di uguaglianza solo qualora ciò corrisponda a scopi costituzionalmente riconosciuti (esempio cultura ex articolo 9 Costituzione, famiglia ex articolo 31 Costituzione, salute ex articolo 32 Costituzione, eccetera). Le ragioni che legittimano il legislatore ad introdurre trattamenti di favore senza violare il principio di uguaglianza sostanziale devono essere comunque essere improntati a ragionevolezza – che verrà valutata mettendo a confronto la norma di legge (l’agevolazione) sospettata di incostituzionalità con quella altrimenti applicabile (che funge da “tertium comparationis”).

IL PRINCIPIO DI PROGRESSIVITÀ

Il principio di progressività (ex articolo 53, comma 2) – inteso nel senso di aumento di aliquota col crescere del reddito – è quello che meglio esprime l’adeguamento del tributo alla capacità contributiva: è però un principio che riguarda il sistema nel suo complesso e non il singolo tributo, che può dunque essere ispirato a criteri di versi.

INTERESSE FISCALE E TUTELA DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE

L’interesse fiscale è interesse costituzionalmente rilevante, e ciò legittima dunque il legislatore a dettare norme che vadano a tutela del fisco. D’altra parte, la tutela costituzionale dell’interesse fiscale non può legittimare la lesione di quei diritti inviolabili di cui all’articolo 2 Costituzione tra cui:

  • la libertà personale (ex articolo 13 Costituzione);
  • l’inviolabilità del domicilio (ex articolo 14 Costituzione);
  • la libertà e la segretezza della corrispondenza (ex articolo 15 Costituzione).

A tali diritti si aggiunge (proprio nell’ambito del diritto tributario) quello ad una “giusta imposizionesecondo i criteri di riparto sanciti dall’articolo 53 Costituzione (in particolare per le spese pubbliche indivisibili): la Corte ha, inoltre, esteso l’ambito di applicazione dell’articolo 53 anche a quei tributi commutativi (le tasse) relativi a servizi essenziali – in quanto sarebbe incostituzionale far pagare un servizio essenziale a chi non abbiente. Se l’art.53 tutela il contribuente solo con riguardo alle norme tributarie sostanziali (riguardanti presupposto, base imponibile, eccetera), per quelle procedurali e processuali si farà invece riferimento alla tutela prevista dagli articoli 24 e 111 Costituzione in materia di diritto di difesa e di giusto processo. Infine, è lo stesso articolo 23 Costituzione a dotare di una tutela formale il contribuente, a cui possono essere imposte prestazioni patrimoniali solo per mezzo di atti aventi forza di legge.