Modelli nazionali di crescita. I paesi della prima industrializzazione

La prima precauzione è stata quella di classificare i tassi di crescita dei PIL pro capite in ordine decrescente.

Il risultato sono due “clubs” nel gergo degli economisti della crescita. Da un lato, i Paesi occidentali, che sono tanto più cresciuti quanto più erano poveri all’inizio del secolo e, dall’altro, gli orientali, che sono cresciuti poco nonostante fossero poveri.

Tra gli occidentali, il Regno Unito era il più ricco nel 1913 ed è quello che meno è cresciuto durante il secolo. I Paesi scandinavi sono cresciuti molto nel XX secolo e la periferia occidentale e meridionale. Al contrario tutti i Paesi dell’Europa centro – orientale.

I Paesi della prima industrializzazione

L’economia britannica ha gestito molto male il suo ritorno alla pace. I due dopoguerra rappresentarono periodi di stagnazione economica. La crisi del 1929 fu poco profonda, come anche quella del 1973. Quest’ultima si trovò a coincidere con la tardiva integrazione britannica nella CEE. L’evoluzione successiva al 1979 è migliore di quella del 1973. La Gran Bretagna reagì con capacità innovativa di fronte alla seconda crisi energetica di modo che il suo andamento, comparato con quello degli altri Paesi occidentali, risulta migliore. E’ anche certo che nel 1945 il Regno Unito era il più ricco d’Europa mentre, nel 1979, si trovava in condizioni di decadenza fino al “sorpasso” italiano all’inizio della decade degli anni ’80.

Il Belgio patì le due guerre mondiali ma riuscì ad effettuare la ricostruzione a buon ritmo. Soffrì lievemente la grande depressione. Il suo legame con il gold standard fece sì che tutto il decennio dal 1929 al 1939 fu di stagnazione.

Esso non si servì del Piano Marshall e nel decennio del 1950, venne in evidenza l’invecchiamento industriale belga.

A differenza del Regno Unito, l’integrazione iniziale nella CEE fu molto favorevole al Belgio. La crisi petrolifera lo colpì duramente. Per compensare la caduta dell’occupazione, il Belgio, incrementò l’occupazione nel settore pubblico.

Il fallimento di questa strategia impose soluzioni trovate con la concessione di agevolazioni massime per l’ubicazione di tutti i tipi di multinazionali. Così, il Belgio, è riuscito a rilanciare la sua economia.

L’Olanda subì perdite importanti del PIL durante la seconda guerra mondiale, ma, a differenza della prima, non fu sottoposto a grandi distruzioni di capitale.

Essa recuperò il suo dinamismo grazie al dispiegamento sistematico delle tecnologie della seconda rivoluzione industriale, che liberarono l’economia olandese dalla dipendenza dal carbone.

Essa fu neutrale durante la prima guerra mondiale ed approfittò della sua posizione, soprattutto, dopo il conflitto.

Verso il 1929 nessun Paese occidentale era cresciuto tanto, in questo periodo crebbe di più degli Stati Uniti e di tutti i Paesi che erano stati neutrali.

Furono loro a controllare il mercato petrolifero tedesco; grazie a ciò gli olandesi svilupparono la Royal Dutch che, in seguito, si fuse con la britannica Shell Trading, formando la Royal Dutch/Shell, una delle multinazionali più importanti durante tutto il secolo. Nel campo degli elettrodomestici saranno loro a sfruttare tutto il mercato centroeuropeo, grazie alla leadership tecnologica e commerciale della Philips. La buona vicinanza e l’intenso commercio con la Gran Bretagna hanno permesso che uno dei colossi del settore alimentare fosse parzialmente olandese: la Unilever.

Quando nel decennio del 1970 l’Olanda godrà di una risorsa naturale come il gas naturale, gli olandesi avranno la tentazione di vivere della sua rendita. In questo consisteva il Dutch disease (il male olandese), del quale essi si liberarono alla fine del decennio degli anni ’80.

La Svizzera seppe arricchirsi senza disporre delle risorse naturali proprie della prima industrializzazione. Uscì frenata dalla guerra europea ed approfittò a fondo della rovina della Germania. Tuttavia, la crisi del 1929 generò una stagnazione prolungata durante tutta la guerra mondiale. Il suo grande momento venne con la fine della guerra. L’arrivo massiccio di questi tesori modificò improvvisamente il livello di vita della Svizzera. La golden age vi fu anche per l’economia svizzera, che trasse beneficio solamente nel 1949 e nel 1958. La crisi del petrolio la colpì più che nessun altro Paese europeo occidentale. Altri due fenomeni hanno reso stagnante l’economia dal 1990 al 1996: la deregolamentazione finanziaria e la caduta del muro di Berlino. La Svizzera è tornata a basarsi sulle sue imprese industriali.

Modelli nazionali di crescita. Il protagonismo secolare dei second comers

Durante tutto il secolo, i protagonisti dell’economia europea furono la Germania e la Francia; in minore misura, l’Italia; all’ultimo posto, la Russia.

La Germania soffrì di grandi cambiamenti territoriali, in conseguenza delle due guerre mondiali. Furono ancora più radicali quelle che seguirono alla seconda guerra mondiale. A partire dal 1949, con la creazione della Repubblica Federale Tedesca (RFT) e della Repubblica Democratica Tedesca (RDT), si consolida una divisione che durerà 40 anni; nel 1990 entrambe si riunificheranno. Il secondo dopoguerra finì per essere straordinariamente buono a differenza del primo. Alcuni autori hanno interpretato il boom economico come una opportunità di recupero.

Negli anni ’50 l’industria tedesca recuperò il suo tradizionale dinamismo e tornò a trasformarsi nella fornitrice di macchinari e di materiale di trasporto per i suoi vicini.

La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aprì le porte alla riunificazione della RFT e della RDT avvenuta nel 1990. Questa modifica ha fatto in modo che la sua economia fosse, alla fine del XX secolo, la maggiore dell’Europa.

Per l’economia francese del XX secolo, le due guerre furono devastanti poiché la Francia le subì sul proprio territorio. Il periodo tra le due guerre fu dominato dalla stagnazione demografica e dell’arretramento economico. Il secondo dopoguerra fu molto diverso dal primo. La Francia inaugurò una lunga fase di crescita. Con la scommessa della CEE, la Francia riuscì ad accrescere i suoi mercati e ad eliminare i rischi di un conflitto con l’antico nemico: la Germania.

Con le crisi del petrolio, la Francia seguì una strategia di espansione della domanda. La coincidenza, nel 1981, dell’ingresso al governo di una maggioranza di sinistra provocò una svalutazione del franco rispetto al marco. L’impatto politicamente negativo fu tale che nessun governante francese ha osato, dopo il 1981, staccarsi dal marco. Verso l’anno 2000 l’economia francese è la seconda economia europea per le dimensioni del suo PIL, superata solo da quella tedesca.

Di tutti i grandi Paesi europei che si avversarono nella grande guerra, l’Italia è quella che ha goduto dei tassi di crescita più elevati durante il secolo.

L’iniziale neutralità, nella prima, e la lontananza dai fronti di guerra consentirono all’economia italiana di prosperare durante gli anni del conflitto bellico. Il dopoguerra, invece, fu molto duro. Il periodo italiano tra le due guerre è originale, perché quasi tutto (dal 1922) è dominato dal regime fascista. La ricostruzione, invece, fu un successo completo; l’Italia, come la Francia e la Germania, utilizzò i fondi del Piano Marshall. Riuscì anche ad inserirsi nei circuiti commerciali intereuropei, che diedero luogo alla CEE. Il miracolo cominciò a dissiparsi dopo il 1962 ma durò ancora per 11 anni.

L’Italia è stata la patria di alcune delle politiche più originali del secolo. E’ il caso del salvataggio di banche ed industria e delle politiche di sviluppo regionale. Negli ultimi due decenni l’Italia fu un esempio per gli ideatori di politiche industriali.

Il XX secolo è il secolo dell’Unione Sovietica. La sua origine, nel 1917, e la sua fine, nel 1991, segnano i momenti culminanti del secolo. La nascita dell’URSS è stata percepita come un risultato inevitabile del fallimento dello zarismo.

I bolscevichi ebbero la loro opportunità nell’ottobre del 1917, la presero al volo e non la mollarono per nessun motivo durante quasi tre quarti di secolo. Tuttavia ,nel 1991, l’URSS si dissolse.

Le grandi tappe dell’economia sono:

  • Il primo periodo è noto come comunismo di guerra, copre dal 1917 al 1921;
  • Segue l’epoca della NEP (Nuova Politica Economica), che arrivò fino a poco prima del 1927. La pianificazione centralizzata sarà la politica ufficiale durante il resto dell’esistenza dell’URSS. Vanno, però, distinte alcune fasi:
    • prima assistiamo alla creazione di una grande industria pesante
    • poi alla ricostruzione bellica
    • seguono i tentativi di riforma successivi alla morte di Stalin (1953);
  • Infine si entra nel periodo del breznevismo, caratterizzato da una continuità nella decadenza.

All’inizio della decade del 1980 si rinnovano gli sforzi di riforma, che si accelereranno con Gorbachov e la sua Perestroika (ricostruzione). La NEP fu già un vero e proprio recupero economico. La seconda guerra mondiale tornò a ridurre drasticamente il potenziale produttivo del Paese. La caduta del PIL sovietico, dal 1989, è nettamente peggiore di quello dei Paesi dell’Europa centro – orientale. Le ragioni di un tale fallimento sono complesse, è stato cruciale il modo in cui si è realizzata la transizione all’economia di mercato. Nell’URSS si cominciò liberalizzando il commercio estero.

L’ex URSS è entrata in un percorso distruttivo, che ha forti somiglianze con le fasi iniziali del processo di diffusione del sistema feudale in Europa. L’assenza di un periodo di adattamento al mercato ha fatto saltare tutte le possibilità di un adeguamento progressivo alla nuova struttura dei prezzi.

Modelli nazionali di crescita. I destini delle periferie

I Paesi europei che più sono cresciuti nel XX secolo hanno un tratto in comune: sono situati nella periferia dell’Europa occidentale. Tutti questi Paesi erano, agli inizi del XX secolo, relativamente poveri tranne la Svezia.

Al principio del XX secolo, nel 1905, la Norvegia ottenne l’indipendenza dalla Svezia. Nel 1920 la Finlandia ottenne l’indipendenza dall’URSS.

L’elemento dominante dell’esperienza economica scandinava del XX secolo è la velocità e la continuità della sua crescita. La parziale neutralità durante le due guerre mondiali ed il modesto impatto della crisi degli anni ‘30 fecero si che tale economia godesse di una crescita superiore a tutti gli altri Paesi europei nel periodo dei “transwar years”.

L’uscita scandinava dalla crisi ebbe una forte componente di “nuovo contratto sociale”, con politiche di benessere.

La ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale e la golden age fornirono a questi Paesi mercati in espansione ed un contesto internazionale molto favorevole. La crisi del petrolio li colpì tutti, anche se la Norvegia, grazie al petrolio del Mare del Nord, riuscì ad emergere tra tutti i Paesi europei. Furono anche colpiti dalla crisi europea dei primi anni ‘90, soffrì di più la Finlandia. La Finlandia era orientata al commercio di intermediazione con l’Unione Sovietica, la caduta comportò la perdita di questo lucroso commercio. Per questo motivo dovette orientare diversamente la sua economia e specializzarsi in nuove attività come l’elettronica e le telecomunicazioni.

Nell’estremo occidentale dell’Europa, l’Irlanda, dopo l’indipendenza del 1920, crebbe alla velocità della Gran Bretagna.

Fu neutrale nella seconda guerra mondiale, ma riuscì a ricevere gli aiuti del Piano Marshall. Un certo autarchismo, di matrice agraria, dominò la politica economica fino alla fine del decennio del 1950. Essa non partecipò alla CEE, né all’EFTA. L’integrazione nella Comunità Europea, nel 1973, fu poco propizia. Non le rimase che sperare in nuove tendenze espansive soprattutto a partire dal 1993. Alla fine del decennio del 1980 l’Irlanda decise di aprirsi completamente agli investimenti esteri. Da Paese con livelli di disoccupazione molto alti, è passato ad essere un Paese importatore di manodopera.

Nel primo terzo del XX secolo il Portogallo ebbe una vita politica convulsa. La soluzione più stabile, una dittatura repubblicana, imposta da Salazar nel 1927, sarebbe durata fino al 1974. Il Portogallo fronteggiò bene la crisi degli anni ‘30 ed ebbe il suo momento migliore durante la seconda guerra mondiale (fu neutrale) e nell’immediato dopoguerra.

Crebbe con progetti autarchici, nonostante facesse parte dell’EFTA, nelle decadi del 1950 e del 1960. Il Paese subì il salasso economico ed umano delle guerre coloniali, dal 1961 al 1974. Con la “rivoluzione dei garofani”, che pose fine alla dittatura di Salazar nell’aprile del 1974, il Portogallo inaugurò una nuova fase. Il suo eccellente tasso di crescita, durante il secolo, conferma il successo dei suoi sforzi di convergenza.

La Spagna fu neutrale durante la guerra europea. “Naturalizzò” tutti gli investimenti stranieri e riuscì a dotarsi, fino al 1936, della quarta maggiore riserva d’oro del mondo, che dilapidò nel corso della guerra civile. Benché la Spagna avesse goduto di forte espansione negli anni ‘20 ed una blanda depressione nella prima metà degli anni ‘30, la sua vita politica e sociale fu molto agitata, fino alla guerra civile lunga (dal 1936 al 1939) e sanguinosa. La seconda guerra mondiale non fu messa a frutto dalla Spagna. L’alleanza con le potenze dell’Asse la privò completamente di capacità di manovra. Solo con la sopravvivenza del regime la crescita economica si mise in moto. Nel decennio del 1950 la crescita si realizzò in un sistema essenzialmente autarchico, che si rese maggiormente flessibile nel 1959. Il turismo, le rimesse degli emigranti e gli investimenti esteri aiutarono la ristrutturazione dell’economia spagnola che dal 1960 al 1973, crebbe molto in fretta.

La crisi petrolifera segnò anche per la Spagna la fine della golden age. I nuovi impulsi di crescita sono derivati dall’integrazione nella CEE e nell’economia internazionale.

La Grecia ha uno dei migliori risultati globali in termini di crescita. Agli inizi della decade del 1920 dovette accogliere i 2 milioni di greci che fuggirono dalla Turchia. Occupata durante la seconda guerra mondiale dalle truppe dell’Asse, la Grecia subì notevoli distruzioni che durarono fino al 1949 a causa della guerra civile. La Grecia, che si integrò nella Comunità Europea nel 1980, non è riuscita a trasformare gli aiuti comunitari in una leva di modernizzazione economica.

A fronte dei successi più o meno precoci delle periferie occidentali, vi sono i fallimenti della periferia centro – orientale.

Corrispondeva a tutti gli Stati che si estendevano tra l’URSS, la Germania e l’Italia. Dedicarono gli anni ‘20 a dotarsi di una minima struttura statale ed a costruirsi un’identità nazionale, vi riuscirono parzialmente. L’economia rimase nel dimenticatoio e, quando la crisi degli anni ‘30 si impose, si trovarono esposti al rischio di dittatori molto spesso fascisti.

Dopo la seconda guerra mondiale, rimasero quasi completamente sotto il controllo sovietico, con scarsissime eccezioni: la Finlandia e l’Austria.

L’Austria è stata l’economia dell’Europa occidentale che ha passato peggio tutto il periodo dei “transwar years”.

La dissoluzione dell’impero diede origine ad un Paese con un capitale smisuratamente grande per il suo livello di attività. Dopo un modesto recupero negli anni ‘20, il crack borsistico di New York scosse le deboli fondamenta della nuova economia austriaca. La prolungata crisi si superò solo durante l’Anschluss ossia l’assorbimento dell’Austria nello spazio economico nazista. I “buoni anni” finirono con l’occupazione alleata nel 1945. Il miracolo austriaco fu che l’occupazione alleata finì senza divisioni territoriali, ma la contropartita fu una costruzione lenta, completatasi solo nel 1953. A partire da quel momento l’economia austriaca comincia la sua golden age. La neutralità da tutti i blocchi sarò una prerogativa di grande utilità, dopo la crisi petrolifera e, soprattutto, con la caduta del blocco sovietico. Nel complesso, l’Austria recupererà tutti i suoi arretramenti bellici e tornerà ad essere tra i Paesi prosperi dell’Europa.

Tutti gli altri Paesi dell’area centro – orientale si integrarono, volens nolens, nell’area sovietica, tra il 1945 ed il 1948. Restarono in quel blocco fino al 1989 quando sperimentarono una rivoluzione che li restituì alla vita democratica.

Con il collasso della fine del 1989, l’Europa orientale (come l’URSS) cade in picchiata. Verso il 1993 si è ormai toccato il fondo e l’insieme dei Paesi torna a crescere.

Il linea generale, i 3 Paesi più avanzati (Polonia, Ungheria e l’antica Cecoslovacchia) soffrirono una crisi economica aspra e tornarono a crescere immediatamente dopo. Al contrario, l’area balcanica soffrì una prima crisi più forte (Albania, ex Jugoslavia), dalla quale si rimise debolmente ed è tornata a subire nuove cadute, prima di rialzare la testa.