La seconda guerra mondiale: cosa succedeva nei vari paesi?

 

La seconda guerra mondiale fu molto più devastante della prima. Morirono 16 milioni di militari e 26 milioni di civili.

Il PIL tedesco aumentò, negli anni della guerra, grazie allo sfruttamento dei Paesi occupati. In alcuni Paesi, per contro, esso crollò di 2/3. L’URSS, nonostante si fosse preparata al conflitto, perse grandi territori ed un quarto di PIL.

La Gran Bretagna fece leva sulle sue risorse imperiali e su quelle in prestito dagli Stati Uniti, senza le quali avrebbe avuto seri problemi. Nacque in questo periodo il “miracolo americano”: con la contesa lontana dai suoi confini, gli USA raddoppiarono il loro PIL, lavorando come mai prima di allora.

I Paesi neutrali furono Portogallo, Svezia e Svizzera. Finlandia e Spagna furono non belligeranti per altri motivi: la Svezia aveva perso territori a favore dell’URSS, mentre la Spagna era appena uscita dalla guerra civile.

La Svizzera fece la sua fortuna, prima riciclando il denaro tra i due blocchi, poi, nel ‘45, quando la sua neutralità attirò molti nazisti ed i loro grandi capitali.

Preparando la ricostruzione

Sebbene le distruzioni della seconda guerra superarono quelle della prima, il secondo dopoguerra sperimentò una crescita mai vista, questo per i seguenti motivi (che corrispondono all’esatto opposto di quanto accaduto dopo la prima):

  1. Volontà di cooperazione, soprattutto tra G.B. e USA
  2. La non indifferenza degli Stati Uniti verso i Paesi in ricostruzione
  3. L’aver imparato una lezione importante: non massacrare di debiti le nazioni sconfitte
  4. L’istituzione di una nuova architettura internazionale.

Riguardo a quest’ultimo punto, a Bretton Woods, negli USA, si svolse una conferenza che fissò un orizzonte, verso il quale incamminarsi, ancora oggi in vigore, con la fondazione di:

  1. OCI: Organizzazione del Commercio Internazionale, non arrivò nemmeno a nascere, e fu sostituito con il GATT
  2. BIRS: la Banca Mondiale, che doveva contribuire agli investimenti di lungo termine
  3. FMI o Fondo Monetario Internazionale: (il più importante) si occupò della difesa di un sistema a cambi fissi, talvolta finanziando Paesi deboli perché non soffrissero i deficit con l’estero. Senza FMI, il mondo avrebbe conosciuto una crescita decisamente inferiore, anche il Piano Marshall se fu molto più sbalorditivo.

Ricostruzione postbellica, divisione in blocchi e integrazioni regionali

Nei primi due anni del dopoguerra, le Nazioni Unite per l’Aiuto e la Ripresa (UNRRA), aveva l’obiettivo della sopravvivenza dei Paesi in crisi per colpa del conflitto.

Anziché applicare subito, prematuramente, quanto detto a Bretton Woods, gli Stati Uniti, vista la corsa dei Paesi europei all’importazione di beni americani, proposero il piano Marshall (chiamato così dal Generale G. Marshall, l’allora Segretario di Stato), detto anche ERP: European Recovery Program. Gli aiuti raggiunsero la cifra di 13 miliardi di dollari dell’epoca.

L’obiettivo era il finanziamento, appunto, delle importazioni di cui l’Europa aveva bisogno.

Gli USA eliminarono il plafond (tetto massimo) per la Germania, facilitando l’industria europea, notoriamente tedesco-dipendente. Gli effetti negativi furono la divisione della Germania (nel 1961 fu costruito il muro di Berlino) e la divisione, anche economica, dell’intera Europa in due blocchi, con la nascita della cosiddetta “guerra fredda.

Nel 1949 la svalutazione della sterlina fu un avvenimento straordinario.

A seguito di questa tempesta nacquero prima l’UEP (Unione Europea dei Pagamenti), poi la CEE (Comunità Economica Europea), col Trattato di Roma del ’57.

Nel ’51, col Trattato di Parigi, era nata anche la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), grazie all’iniziativa del ministro francese Schuman, che ebbe l’idea di rinunciare alla sovranità sulla Germania, dandole la possibilità di crescere e, con lei, l’Europa.

Alcune nazioni, prevalentemente i piccoli Stati che commerciavano con l’Inghilterra, restarono al di fuori della CEE ed entrarono nell’EFTA (European Free Trade Association).

Altri, quelli sotto l’influenza sovietica, furono costretti a rifiutare l’offerta del Piano Marshall.

Gli americani, sconfitti i comunisti alle urne (in Italia e in Francia), crearono la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico).

Per contro, i Paesi comunisti crearono il COMECON, che raggruppava le nazioni socialiste.

Quest’organizzazione aveva grandi limiti, derivanti dalle imposizioni russe:

  1. gli scambi erano vantaggiosi soltanto per la Russia
  2. le negoziazioni erano assoggettate all’autorizzazione sovietica
  3. praticamente si commerciava soltanto tra Russia e altri Paesi, e non tra tutti i Paesi
  4. la mancanza di competitività data anche dall’ignoranza del prezzo di mercato, fissato arbitrariamente

L’emergenza del terzo mondo. La “Golden Age”

Il primo mondo è quello sotto l’influenza nordamericana, il secondo, comunista, sotto quella sovietica. Il terzo mondo comprende tutto il resto; soprattutto era più povero. Gran parte del terzo mondo erano ex colonie occidentali (particolarmente inglesi e francesi, la cui decolonizzazione si ebbe tra il ’45 ed il ‘65) o giapponesi.

Proprio la loro decolonizzazione fu il fattore unificante principale, per entrare nel club dei Paesi cosiddetti “non allineati”.

L’indipendenza offrì loro opportunità che furono incapaci di sfruttare. Il GATT ne limitava lo sviluppo commerciale.

Nonostante ciò, durante la Golden Age, i loro risultati furono positivi, così come quelli globali in generale.

Questo grazie a svariati fattori quali le tecnologie, lavoratori qualificati, politiche nazionali concepite per il consenso politico e la coesione sociale, l’apertura dei mercati dentro e fuori la CEE, la politica economica trainante della Repubblica Federale Tedesca, l’allineamento su scala europea dei redditi ma, soprattutto, il sistema a tassi di cambio fissi.

I continui solleciti britannici per entrare nella CEE furono immediatamente accettati, una volta che il generale De Gaulle abbandonò il potere; con lei entrarono anche Irlanda e Danimarca. L’EFTA, in concreto, venne meno.

Crisi petrolifere, stagflazione e sfide extraeuropee

Nixon, come già detto, decise la sospensione della convertibilità in oro del dollaro nel 1971. Gli USA sentivano la necessità di svalutare, visti gli impellenti fabbisogni militari per il Vietnam. Ciò inaugurava un periodo di instabilità monetaria.

Si rafforzarono, invece in Europa, i meccanismi di cooperazione tra le monete con l’adozione di quello che fu conosciuto come “serpente monetario”: si fissarono dei limiti al di sopra ed al di sotto dei quali le fluttuazioni non potevano andare.

Lo shock arrivò dal rialzo del petrolio (‘73), da parte dell’OPEC (Organizzazione Paesi Esportatori Petrolio), come protesta per l’atteggiamento pro-israeliano dei Paesi Occidentali nella Guerra dello Yom Kippur. L’età dell’energia poco costosa finì.

Vista la rigidità della domanda di petrolio, ormai più importante del carbone, si fu costretti a subire un prezzo quadruplicato.

A parte USA ed URSS, che disponevano di riserve proprie, tutti subirono la crisi petrolifera.

Le risposte alla crisi furono diverse: i tassi di cambio tornarono a fluttuare liberamente per dare possibilità di manovra ai Governi. Possiamo distinguere 3 tipi di politiche di governo, per contrastare la situazione:

  1. In alcuni Paesi, come la Svezia e la Spagna, si passò ad una riduzione delle imposte.
  2. Italia, G.B. e Francia cercarono di applicare un certo risparmio energetico, ma i sindacati, visti gli aumenti dei prezzi, ottennero anche l’aumento dei salari ed il Governo fu costretto ad emettere denaro, generando inflazione.
  3. Il Giappone si rassegnò all’impoverimento, puntando allo sviluppo di settori poco intensivi dal punto di vista energetico, come  l’elettronica. Anche la Bundesbank costrinse le famiglie a ridimensionare i propri redditi, cercando di contenere l’inflazione. Questa fu la “manovra migliore” e il marco ne uscì molto rafforzato, come l’intera economia tedesca.

La combinazione di stagnazione economica e inflazione è denominata “stagflazione” (vedi Eco. Pol.II), situazione imprevista nelle teorie keynesiane e per questo difficile da affrontare.

Quando qualcosa cominciava a fare effetto, si ebbe la seconda mazzata: lo shock petrolifero del ’79.

La rivoluzione islamica in Persia creò un clima di tensione che si ampliò con la guerra tra Iran ed Iraq, l’anno dopo.

Stavolta i prezzi salirono di 2,5 volte, ma i Governi erano più preparati ed adottarono soluzioni uniformi. Si riattivò lo SME (Sistema Monetario Europeo) con oscillazioni ristrette, facendo trionfare il principio della lotta comune all’inflazione.

Le monarchie arabe, diventate ricchissime, reinvestirono, con sorpresa, i loro capitali in borsa e nei “Paesi ricchi”. In alcuni casi, investirono persino nelle industrie pesanti.

Nel ’71, anno della fine della convertibilità del dollaro, con l’arrivo di Reagan alla presidenza e Volcker alla FED, i tassi di interesse salirono, parallelamente al debito pubblico americano.

Ci si aspettò l’emissione di moneta, invece gli USA, forti della loro posizione economica positiva, lasciarono che il debito pubblico salisse, ma aumentando enormemente il valore del dollaro dall’80 all’85.

La Polonia (col sindacato Solidarnosc che lottava per il potere), come tutti i Paesi dell’Est ed anche il Messico, si era fortemente indebitata ed il rincaro del dollaro non permetteva la restituzione dei crediti.

Il panico ebbe l’effetto identico (crisi creditizia) a quello del ’29: i banchieri richiedevano i propri prestiti indietro.

Tra il 1985 e l’86 tutte le tendenze si invertirono. Il dollaro scese come i tassi nordamericani. L’Arabia Saudita ruppe il cartello dell’OPEC e il prezzo del greggio tornò al suo valore reale (non monetario). In questo clima ottimistico anche Portogallo e Spagna entrarono nella CEE, che emanò l’Atto Unico, che rappresentava l’unificazione economica europea.

Caduta del blocco sovietico, rilancio dell’integrazione europea e globalizzazione

“L’annus mirabilis” (1989) del capitalismo passò alla storia per la caduta del Muro e delle dittature dell’Est.

Nella prima crisi petrolifera, visti i prezzi fissi stabiliti dalla COMECON, i Paesi dell’Est ebbero persino l’opportunità di speculare sui rialzi nel resto del Mondo. Era stata la seconda crisi petrolifera a colpirli maggiormente.

Tutto andò sempre peggio dall’81 in poi, quando le economie occidentali recuperavano il loro ritmo di crescita.

Le spese militari per la guerra russa in Afghanistan erano ingenti.

Gorbachov introdusse riforma nel clima della libertà, nell’informazione (Glasnost), nella vita politica, ma poco nell’economia. Nel 1991 il golpe (o colpo di Stato) per ritornare all’ortodossia comunista fallì, ma il leader sovietico fu soppiantato da Yeltsin, che accelerò i cambiamenti verso il capitalismo.

Il rovesciamento fu traumatico fino al 1994, quando le economie si aprirono, cominciò la fondamentale corsa alla privatizzazione e i tassi tornarono a livelli positivi quasi istantaneamente, come un “big bang”.

Di grande successo fu la conversione polacca, che riuscì a minimizzare le perdite, mentre la Cecoslovacchia, a causa della separazione tra Cechia e Slovacchia, non riuscì a tanto e nemmeno l’Ungheria.

La Romania e la Bulgaria, dopo aver conseguito tassi di crescita positivi, ebbero una ricaduta, a causa delle difficoltà di adattamento al mercato e dell’arretratezza.

La Yugoslavia, la cui frammentazione non fu pacifica come quella cecoslovacca, nonostante la pre-esistenza di imprese private e la conoscenza di pratiche mercantili occidentali, fu dilaniata dalla guerra.

Caso singolare fu quello della RDT (Repubblica democratica tedesca), assorbita dalla RFT.

L’assorbimento richiedeva ingenti investimenti. La politica di Khol (simile a quella di Reagan), fu quella di approfittare della potenza economica tedesca per alzare i tassi di interesse ed accogliere capitali dal resto d’Europa.

Il peso dell’unificazione fu così effettivamente assorbito dall’Europa intera. Il marco raggiunse livelli incredibili.

La risposta collettiva a questo problema fu l’Unione Economica e Monetaria.

I criteri di Maastricht agevolarono la riduzione dell’inflazione e l’impegno politico per il contenimento del debito.

Le parità fisse vennero approvate nel 1998 e nel 1999 l’Euro era già quotato sui mercati monetari.

Subito, per esigenze di sviluppo si svalutò, poi fino a un paio di mesi fa era scambiato ad 1,16, ai posteri l’ardua sentenza.