La crescita del commercio

Interno

Le aziende agricole dovevano soddisfare i bisogni di individui non direttamente occupati nell’agricoltura.

Nonostante le famose “cento città” dell’Italia del Nord, l’espansione si ebbe più nei centri rurali che in quelli urbani.

Solo in Gran Bretagna si sviluppò un sistema per attrarre gli investimenti privati nella costruzione delle strade pubbliche grazie ai Turnpike Trusts, associazioni fondate dai proprietari terrieri, che riscuotevano successivamente il pedaggio.

Il commercio internazionale

Fino al 1800 il commercio avveniva all’interno dell’Europa.

Secondo Karl Marx i profitti generati dallo sfruttamento dei paesi non-europei diede un contributo essenziale al processo di accumulazione di capitale; recentemente, Wallerstein ha, invece, sostenuto che furono le grandi scoperte della fine del XV secolo a dare vita ad un sistema mondiale, la cui origine è da ricercarsi nell’Impero Spagnolo.

Nonostante le grandi risorse disponibili, per tutto il secolo, i territori americani ebbero poche opportunità commerciali.

Come sostenuto da Rapp, le navi olandesi (FluitShip) a quei tempi non avevano rivali, infatti il centro commerciale più importante del mondo nel 1700 era proprio Amsterdam.

Alla fine del XVII secolo gli inglesi ed i francesi cominciarono a soppiantare gli olandesi nel commercio col Nord-America, anche grazie al protezionismo di Colbert ed agli Atti di Navigazione inglesi.

In seguito alle guerre napoleoniche, però, la Francia si trovò in crisi sulla costa occidentale.

Gli inglesi, invece, avevano il problema del deficit nei confronti dei paesi baltici, dai quali ricavavano le forniture di legname, e fu per questo che cominciarono, tra l’altro, ad esportare pesce verso il Baltico ed il Mediterraneo.

Nonostante i dazi imposti dalla madre patria all’America del Nord, che sfociò nelle guerre d’indipendenza, il commercio tra Gran Bretagna e i suoi ex coloni americani crebbe ancor più di prima.

Questo anche grazie alle nuove tecnologie marittime, come il cronometro marittimo (che permetteva un calcolo accurato della longitudine) o lo sviluppo della cartografia.

Nonostante ciò, gli introiti non andavano ad autofinanziare le imprese, bensì erano spesi per la costruzione di nuovi sontuosi palazzi e per stili di vita più fastosi.

Le industrie e le manifatture

Il Belgio

Voltaire sostenne che soltanto la Francia ed il Belgio avevano strade degne dell’Antichità. I canali navigabili in Belgio erano tre volte più grandi di quelli inglesi.

Fu introdotta la forza vapore nell’industria mineraria, usata dopo il 1800 principalmente per azionare i congegni di avvolgimento che portavano il carbone in superficie.

I filatoi intermittenti e multipli si diffusero rapidamente tra i manifatturieri tessili belgi nei primi anni del nuovo secolo dopo essere stati usati per due decenni in Inghilterra. Nel XVIII secolo la crescita economica e la industrializzazione non erano né sinonimi né compagni necessari.

Il costo della manodopera nel Belgio nella seconda metà del XVIII secolo era del 60-70% in meno che in Gran Bretagna. Poiché la manodopera era relativamente a buon mercato anche l’incentivo alla meccanizzazione era debole.

Al contrario le province olandesi presentavano un cambiamento inferiore, esse non godevano delle stesse risorse per l’industria e gran parte della terra recuperata dal mare mediante dighe e polders era votata all’agricoltura intensiva.

La proto-industrializzazione

Quest’espressione richiama l’attenzione sulla misura e sull’importanza della ruralizzazione delle industrie manifatturiere nel corso del XVIII secolo. Quest’innovazione stava nel fatto che l’attività artigianale produceva esclusivamente per il mercato. Usando il lavoro rurale i mercanti cittadini potevano ridurre i costi di produzione e aumentare la concorrenza dei loro prodotti sui mercati locali ed esterni. Nelle comunità rurali, dove predominanti erano le attività proto-industriali, vi erano forti spinte all’incremento del tasso di natalità.

Quando la produzione proto-industriale si ampliò anche l’incremento della produzione tessile provocò la caduta dei prezzi e la riduzione dei livelli di redditività.

I mercanti europei si fecero anche strada per rifornire i vasti mercati del Sud America, dell’India e dell’Asia, dove per riuscire dovevano essere competitivi nei costi con le industrie locali e coi produttori locali.

Altri centri europei dell’attività manifatturiera pre-industriale

L’espansione del commercio fu severamente limitata dalla politica protezionistica adottata sia dagli Asburgo sia dai governanti tedeschi. L’assenza di mercati elastici o accessibili era uno degli ostacoli più critici all’espansione.

La Francia ed il Regno Unito

Nonostante gli sforzi dei Governi volti ad impedire che le tecnologie oltrepassassero le proprie frontiere, queste viaggiavano con poca difficoltà.

La Francia aveva industrie tessili estese e altamente specializzate. Essa, a pari del Belgio, possedeva un ricco patrimonio di risorse economiche e naturali. La manodopera era abbondante e a buon mercato.

Presi insieme, questi fattori spiegano perché la propensione verso la meccanizzazione fosse sentita molto meno fortemente nelle industrie e nelle manifatture francesi che in Inghilterra.

Nel caso delle costruzioni di case, i mattoni sostituirono il legno, ma per le costruzioni navali i britannici divennero sempre più dipendenti dalle forniture dei paesi baltici.

Abraham Darby sviluppò un processo di fusione del ferro sostituendo il carbone coke alla carbonella e fu seguito dal processo di puddellaggio di Henry Cort che permetteva l’uso del carbone coke anche negli stadi finali della produzione della ghisa grezza. Si espandono le industrie metallurgiche e minerarie grazie alla domanda di carbone in crescita.

Si espandono anche quella vetraria e quella della ceramica (nelle zone delle Potteries, introdotte da Wedgwood).

Inizialmente il cotone era importato dall’India, mentre con la produzione interna di tessuti leggeri come cotone e, grazie allo sviluppo di nuove tecniche di stampaggio, di tintura e filatura, cambiò la moda e aumentò la domanda.

Carlo Poni ha descritto l’azione di Lombe, che aveva fatto un viaggio in Italia per studiare l’industria della seta, come il primo esempio di spionaggio industriale.

In Inghilterra, nelle Midlands, ricordiamo le industrie della fabbricazione della birra.

Il fattore più rilevante, tuttavia, fu la crescita della domanda nei mercati interni.

Le industrie inglesi provvedevano principalmente ai mercati di grosso volume e basso costo, e fornivano merci prodotte ancora da famiglie, mentre i francesi badavano alla qualità (con un ovvio maggior valore aggiunto).

Lo sviluppo della meccanizzazione fu lenta ed inizialmente poco sfruttata.

Queste nuove forme di produzione davano significato concreto ai principi di Adam Smith, che avrebbero ispirato l’era del capitalismo industriale, con la nascita delle fabbriche.

Il ruolo dello Stato

Uno dei temi centrali delle rivoluzioni industriali fu la libera impresa. Questa idea era stata avanzata fin dall’analisi classica, sui collegamenti tra capitalismo ed etica protestante, di Max Weber.

Spesso si sostiene che una delle maggiori restrizioni allo sviluppo derivò dall’intervento statale.

Il mercantilismo era basato sul presupposto che ogni Stato avrebbe dovuto adottare misure protettive per assicurarsi la propria quota commerciale.

Ricordiamo ancora che i Navigation Acts inglesi ordinavano che tutte le merci dovessero essere trasbordate nei porti metropolitani britannici, mentre in Francia il colbertismo aveva funzione protezionista analoga.

Nota: Queste politiche furono causate soprattutto dall’aumento dei costi bellici.

Ciò avrebbe accelerato la crisi politica ed istituzionale dello Stato dell’Ancien Regime.

Gli esperimenti noti come assolutismo illuminato erano tentativi di accrescere i limitati poteri della monarchia, che aveva intense necessità fiscali. In Germania, le classi fondiarie erano ostili all’espansione industriale perché essa avrebbe sottratto forza lavoro agricola.

In Prussia l’80% delle entrate era devoluta alla spesa militare.

Nel caso del commercio estero i principi della liberalizzazione erano persino più difficili, a causa di restrizioni e monopoli. L’Inghilterra aveva imposto al Portogallo il Trattato di Methuen, che gli aveva permesso il completo controllo del commercio col Brasile. Pombal rinegoziò il Trattato sulla reciprocità di concessione su merci specifiche e questa fu la base per successive negoziazioni. Queste si conclusero col Trattato di Eden del 1786 tra la Gran Bretagna e la Francia, che segnò una breccia nelle politiche protezionistiche francesi. La combinazione del liberalismo economico col protezionismo sarebbe rimasta l’indispensabile politica economica fino a dopo il 1805 con l’Impero Napoleonico.

Il protezionismo industriale si concentrò sulle manifatture; il più famoso esempio fu la fabbrica di porcellana segreta di Meissen in Sassonia, copiata da Carlo III di Napoli.

In Francia vennero concessi agli imprenditori patenti reali per sostituire le importazioni.

Le deboli monarchie spagnole e portoghesi soffrirono una vulnerabilità nel commercio estero, mentre Francia e Gran Bretagna tendevano ad estenderlo.

Un esempio fu la guerra dei 7 anni tra queste ultime due nazioni, definita da W. Pitt puramente economica.

La “guerra dei 200 anni” durò fino al 1815 con la battaglia di Waterloo e vide vincitrice la Gran Bretagna, con la sconfitta di Napoleone.

La chiave di questo successo fu la capacità inglese di non indebitarsi, grazie alla Banca d’Inghilterra ed al rinnovamento all’interno del Parlamento, che garantiva indipendenza finanziaria dalla monarchia e generava sicurezza negli investitori.

L’Inghilterra, in questo modo, riuscì in 20 anni a saldare le spese belliche per la Guerra americana d’Indipendenza, al contrario della Francia, che entrò nella crisi finanziaria che provocò la rivoluzione del 1789.

Londra sostituì Amsterdam come principale porto internazionale.

L’era napoleonica

Napoleone tentò di creare un sistema economico continentale europeo, mentre sul versante Atlantico la vittoria britannica permise l’eliminazione della Francia e della Spagna nel sistema coloniale.

A seguito del colpo di Stato di Napoleone del 1799 le rivalità anglo-francesi si inasprirono.

Lo storico francese Bergeron ha descritto il “Blocco Continentale” come un modo particolare di condurre la guerra, che in futuro si sarebbe dovuto fondare sul dominio economico del continente.

In realtà il progetto continentale fu impossibile da realizzare, sia perché incoraggiò il commercio di contrabbando, sia per via della resistenza degli Stati conquistati.

L’aspetto più positivo del retaggio napoleonico fu l’abolizione del feudalesimo. Le monarchie dell’Ancien Regime si ritirarono di fronte a nuove autocrazie amministrative che prendevano a modello il regime napoleonico.

Lo Stato riguadagnò completa sovranità e furono abolite le giurisdizioni private. Si riorganizzarono le tasse per favorire lo sviluppo della proprietà privata e dell’impresa individuale.

Nella confederazione tedesca vennero introdotte riforme (da Von Stein e Von Hardenburg) per la liberalizzazione del mercato. Anche nella monarchia asburgica l’esperienza della sconfitta e della fine del Sacro Romano Impero fu un forte incentivo alle riforme amministrative.

Le monarchie costituzionali dell’Ancien Regime erano rimpiazzate da nuove forme di assolutismo burocratico con relativi oneri fiscali per il loro mantenimento.

Le conseguenze delle politiche economiche di Napoleone non furono affatto sempre negative; per esempio nell’Italia settentrionale portò all’espansione della produzione di seta e della seta grezza, che diventò la principale merce di esportazione, e al ruolo di fornitrice di materie prime.

Il Blocco, però, generò una crisi nei produttori della Renania e della Svizzera, per mancanza di materie prime.

Come sostenuto da Bergeron, la Francia uscì dall’era napoleonica geograficamente trasformata e ridotta, e ciò portò alla staticità dei mercati interni, con una rinforzata offerta, non compensata dalla domanda.

Crollato l’Impero Francese si ritornò al protezionismo precedente. Il quadro europeo si presentava come un mosaico disunito di economie, fino a quando nel 1830 il boom ferroviario segnò una nuova fase di crescita economica, soprattutto in Renania. Tuttavia, il periodo dopo Waterloo (1815) vide la domanda statica ed in contrazione.

Nel XIX secolo, l’industrializzazione portò a nuove rivalità nazionali, anziché alla crescita economica, sebbene le nuove capacità commerciali si sarebbero sviluppate fino al Nord America.