Legge Okun

La teoria economica suggerisce una legge: legge di Okun. Da non confondersi con la curva di Philips, definisce una relazione tra crescita del PIL e tasso di disoccupazione. Philips mette in relazione l’inflazione con la disoccupazione. La legge di Okun che prende il nome dall’economista che l’ha proposta negli anni ‘60, permette di individuare quanto debba crescere il PIL per poter ridurre di un punto percentuale il tasso di disoccupazione. Ad esempio, preso dal libro di Blanchard, Macroeconomia. Questa legge di Okun identificava variazioni del PIL del 2,5% negli anni ‘60-’60 degli USA per ridurre la disoccupazione; 3,7% Germania, 5,88% GB e 6,66% il Giappone. Dipende da tanti fattori. Come tutte le leggi economiche bisogna prenderle con le molle. Anche la curva di Philips non è una legge deterministica o universalmente valida. Ci sono periodi storici in cui funziona e periodi in cui non funziona, paesi in cui funziona e paesi in cui non funziona. Non sono meccanismi perfetti. Questo spiega come una legge abbia dei coefficienti diversi a seconda di paesi nello stesso periodo storico o abbia coefficienti così diversi in periodi storici differenti ma nello stesso paese. Vedi la GB. Nel 1960-80 servivano 5,88 punti di PIL per ridurre la disoccupazione di un punto. Nel 1981-1994 no, ne serviva di meno. Le ragioni sono tante, sono anche valutazioni di struttura del mercato del lavoro, di flessibilità o rigidità. Vediamo come il PIL rientri in contesti di tipo macro economico e di politica economica. Per ridurre la disoccupazione dell’1% negli USA era necessario incremento di PIL del 2.12%. poiché il PIL è espresso dall’equazione keynesiana, allora si possono attuare manovre di politica economica volte a ridurre la disoccupazione. Se ci fosse ancora il controllo del tasso di cambio svaluto il tasso di cambio. Si riducono le importazioni, aumento le esportazioni, il PIL aumenta e la disoccupazione dovrebbe scendere. Non è sempre così e non possiamo più farlo. Altri paesi (che non sono nell’Euro, Inghilterra) possono farlo. Oppure potremmo sostenere gli investimenti delle aziende dando incentivi per nuovi impianti, innovazione tecnologica, o aumento la spesa pubblica. Agendo su queste componenti un governo può cercare di stimare gli effetti di manovra di politica economica su una variazione della disoccupazione. Arriviamo al punto. La statistica serve, tra le altre cose, ad aiutare il decisore pubblico a scegliere la strategia migliore. Voi sapete anche che questo modello è legato ad un insieme di coefficienti di elasticità. Ci saranno variazioni del PIL e del reddito differenti a seconda dell’elasticità, del reddito agli investimenti consumi, esportazioni nette, spesa pubblica e tassazione. È meglio aumentare la spesa pubblica o diminuire la tassazione? Dipende da come è la risposta che si ottiene ai fini del reddito. Questi aspetti possono essere studiati nell’ambito del modello econometrico. L’econometria studia modelli di questo tipo e permette di fare le scelte più opportune in relazione ai coefficienti dei modelli. Il PIL è uno strumento largamente utilizzato, specialmente dagli anni 60 in poi, ma anche prima, già dai tardi anni 40. Però presenta dei problemi. Pensare di misurare la ricchezza di un paese solamente in termini monetari, al di là di discorsi qualunquistici è limitante. È interessante un discorso di Robert Kennedy, fratello di Kennedy poco prima che lo uccidessero. Parlando all’università del Kansas, dice si, noi usiamo il PIL come misura della ricchezza. Ma vediamo bene cosa ci mettiamo dentro: pubblicità delle sigarette, costi per guarire i tumori, la produzione delle pistole per difendere le nostre case, spese di sicurezza, lucchetti finestre e porte blindate.

È giusto inserire nel PIL tante voci che non centrano con vera ricchezza e vero benessere? Ecco che nel 1968, negli USA era usato già da un bel po’, ci si inizia a porre una domanda fondamentale: il PIL oltre ad essere una misura della ricchezza prodotta che risponde ad una serie di valutazioni economiche e finanziarie del paese, è anche una misura di benessere del paese oppure no? “Non troveremo mai un fine per la nazione, né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones, né i successi del paese sulla base del PNL o PIL. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Programmi di televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napal missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con i palpeggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulla loro cenere si ricostruiscono i bassifondi popolari. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione, educazione, o della gioia o dei momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solennità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere, l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia dei nostri tribunali né dell’equità nei rapporti fra noi. Non misura nostra novizia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza¼ misura tutto in breve, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. PIL è la base di molte considerazioni: rientrano dentro tutte le attività, prodotti e servizi, ma si confronta con dei grossi problemi.