Classificazione per modalità di rimborso

Dal punto di vista delle modalità di rimborso, abbiamo diverse possibilità:

– in un’unica soluzione alla scadenza (BTP, CCT). In generale, i titoli che hanno una struttura finanziaria così articolata vengono definiti “bullet bond”. Sono i titoli più comuni, ma esistono anche importanti eccezioni;

– con ammortamento: l’ammortamento può avvenire secondo modalità tecniche diverse, che dal punto di vista dell’emittente sono irrilevanti, ma dal punto di vista dell’investitore hanno una certa importanza. Il rimborso può essere:

– graduale;

– a sorteggio.

Per fare un esempio, consideriamo un titolo emesso dalla Fiat con scadenza a 10 anni. Il contratto prevede che, a partire dal termine del quinto anno, la Fiat rimborsi ogni anno il 20% del proprio debito, per arrivare, alla fine dei 10 anni, ad aver ammortizzato il 100% della somma dovuta. Se la Fiat adotta la tecnica del rimborso graduale, ogni anno, a partire dal termine del quinto, ridurrà il valore di tutti i titoli in circolazione, ossia tutti gli investitori, ogni anno, si vedranno rimborsare il 20% del proprio credito. In questo modo, tutti gli investitori conoscono a priori la scaletta dei flussi di cassa e, da questo punto di vista, sono nella stessa condizione dell’emittente. Se, invece, il rimborso avviene a sorteggio, la Fiat, a partire dal termine del quinto anno, rimborserà ogni anno il 20% del valore nominale dei titoli, ma non lo farà ammortizzando gradualmente tutti i titoli, bensì sorteggiando un certo numero di titoli pari al 20% del valore nominale. Perciò, gli acquirenti dei titoli Fiat che vengono sorteggiati alla fine del quinto anno riceveranno il 100% del valore del titolo che è in loro possesso e saranno fuori dall’investimento, e così via fino alla scadenza prefissata di 10 anni. Dal punto di vista della Fiat il rimborso è sempre pari al 20% del valore dei titoli, mentre dal punto di vista degli investitori la situazione è piuttosto diversa. Ovviamente, il rendimento nei due casi sarà diverso, sebbene il costo per l’emittente sia lo stesso.

Fino a questo momento abbiamo parlato di tecniche di rientro del capitale totalmente deterministiche dal punto di vista dell’emittente, che sa sempre quando e come dovrà rimborsare. Tuttavia, non accade sempre così: esistono obbligazioni che presentano una certa aleatorietà sia per l’investitore sia per l’emittente. Queste particolari tecniche di rimborso sono utilizzate soprattutto da emittenti corporate, e sono spesso associate ad obbligazioni corporate a tasso fisso. Troviamo due categorie principali:

– obbligazioni callable (callablo bonds);

– obbligazioni puttble (puttable bonds).

Le obbligazioni callable prevedono una scadenza contrattuale finale, ma la clausola call consente all’emittente di richiamare il titolo prima della scadenza finale. Come e quante volte l’emittente ha la possibilità di scegliere se richiamare o meno il titolo è stabilito in modo chiaro nel contratto di emissione. Supponiamo che la Fiat abbia emesso titoli a scadenza massima 10 anni; il contratto di emissione può prevedere, ad esempio, che al termine del quinto anno la Fiat possa scegliere se richiamare il titolo o meno; oppure ancora, può prevedere che la Fiat, a ogni pagamento di cedola a partire dal termine del quinto anno, possa decidere se rimborsare o meno gli investitori. Le obbligazioni callable, quindi, danno all’emittente il diritto di accorciare la scadenza.

Le obbligazioni puttable prevedono lo stesso meccanismo, con la differenza che il diritto di accorciare la scadenza è dell’investitore. Come nel caso precedente, come e quante volte l’investitore ha la possibilità di scegliere se chiedere il rimborso o meno è stabilito in modo chiaro nel contratto di emissione.

Resta quindi da capire perché gli emittenti o gli investitori dovrebbero sentire la necessità di inserire queste clausole: gli investitori hanno a disposizione i mercati, dove possono vendere in qualsiasi momento un titolo che non vogliono più detenere in portafoglio; per quanto riguarda gli emittenti, se non necessitano più dei finanziamenti, hanno comunque la possibilità di reinvestire il denaro ricevuto. Tuttavia, bisogna considerare un altro elemento: con la clausola call l’emittente ha la possibilità di rimborsare il titolo prima della scadenza al valore nominale; allo stesso modo, con la clausola put, gli investitori possono chiedere il rimborso del titolo al valore nominale. L’aspetto fondamentale in questo caso, è la possibilità di rimborso al valore nominale, che, ragionando sui tassi di interesse, è una variabile fondamentale.

Consideriamo un titolo che paga una cedola pari al 4%. Abbiamo detto che le clausole call e put si applicano prevalentemente ad obbligazioni corporate a tasso fisso, quindi il titolo pagherà, dalla data di emissione fino alla scadenza, un interesse del 4% su base annua. Supponiamo ora che i tassi di interesse di mercato scendano al 3%. Per l’emittente, che si sta finanziando con un titolo che paga il 4% quando i tassi di interesse di mercato sono scesi al 3%, il costo della sua raccolta in termini relativi è oneroso. L’investitore, invece, sarà più che contento di continuare a ricevere il 4%, quando i tassi di interesse di mercato sono scesi al 3%. Perciò, in questo momento, tutti coloro che hanno acquistato un titolo che offre una cedola pari al 4% saranno soddisfatti, mentre i nuovi investitori che vanno sul mercato troveranno titoli con una cedola inferiore. È evidente che un titolo che paga una cedola superiore al tasso di mercato è un titolo appetibile, che tutti gli investitori tenderanno a domandare, cosa che porterà il prezzo del titolo a salire al di sopra del valore nominale. Quindi, se un nuovo investitore decidesse di acquistare un titolo che paga una cedola superiore ai tassi di mercato, pagherebbe quel titolo ad un prezzo superiore al suo valore nominale, cosa che ridurrebbe l’effettivo rendimento determinato dal tasso di interesse superiore: quindi, per i nuovi investitori, questa situazione non è di alcun vantaggio. Il titolo in questione, quindi, resterà favorevole ai vecchi investitori e sfavorevole all’emittente. L’emittente, da parte sua, potrebbe rastrellare tutti quei titoli presenti sul mercato e chiudere l’emissione, ma dovrebbe pagarli a un prezzo superiore al loro valore nominale, quindi sosterrebbe comunque un costo maggiore. Ecco quindi spiegata l’importanza della clausola call: se contrattualmente l’emittente ha diritto di rimborsare anticipatamente gli investitori pagando loro il valore nominale dei titoli, è ovvio che si avvarrà di questo diritto per poi andare a finanziarsi alle nuove condizioni di mercato, emettendo quindi titoli al 3%. In generale, con la clausola call, gli investitori concedono un’assicurazione all’emittente.

La situazione delle obbligazioni puttable, invece, è totalmente invertita dal punto di vista delle convenienze. Riprendendo l’esempio precedente, se i tassi di interesse di mercato scendono dal 4 al 3% e l’investitore ha a disposizione la clausola put, si guarderà bene dall’avvalersene. Il problema per l’investitore sorge se i tassi di mercato, anziché scendere, salgono al 5%: in questo caso, l’emittente avrà un vantaggio, perché si finanzia al 4% mentre i nuovi emittenti sono costretti a finanziarsi al 5%; al contrario, l’investitore risulterà svantaggiato, dato che viene remunerato solo al 4%, mentre con i nuovi titoli potrebbe ottenere il 5%. Come nel caso precedente, gli investitori sul mercato cominceranno a movimentare i prezzi: gli investitori che hanno in mano un titolo poco remunerativo rispetto ai tassi di mercato cercheranno di venderlo, determinando così un calo del suo prezzo. In questo modo, se i vecchi investitori vendessero i loro titoli sul mercato otterrebbero una somma inferiore al valore nominale dei titoli, cosa che ridurrebbe comunque il loro guadagno. In questo caso, diventa importante la clausola put: grazie a questa clausola, gli investitori possono chiedere il rimborso dei titoli al loro valore nominale e andare a reinvestire acquistando titoli con un rendimento superiore. In generale, con la clausola put, sono gli emittenti che concedono un’assicurazione agli investitori.

A questo punto, restano da vedere le differenze tra il rendimento delle cedole dei bullet bond e quello delle cedole dei callable e dei puttable bond. Con la clausola call, il rischio sul tasso di interesse ricade sugli investitori, perciò, affinché gli investitori siano disposti a comprare un callable bond, l’emittente dovrà offrire un premio: le cedole dei collable bond saranno quindi più redditizie rispetto alle cedole dei corrispondenti bullet bond (CBB<CCB). Al contrario, con la clausola put, il rischio sul tasso di interesse ricade sull’emittente, che dovrà quindi essere remunerato dagli investitori, i quali accetteranno un rendimento inferiore: le cedole dei puttable bond saranno quindi meno redditizie rispetto alle cedole dei corrispondenti bullet bond (CPB<CBB). Risulterà quindi: CPB<CBB<CCB.

L’ultima categoria di obbligazioni che si caratterizza sull’aspetto del rimborso è quella delle:

– obbligazioni convertibili: si parla di obbligazioni convertibili perché, alla scadenza, anziché prevedere il rimborso al loro valore nominale da parte dell’emittente, prevedono la possibilità di conversione in un altro strumento finanziario, tipicamente azioni emesse da quella stessa società. Generalmente, la scelta spetta all’investitore: alla scadenza, sarà l’investitore a stabilire se preferisce il denaro o le azioni. Ovviamente, la decisione si baserà sul valore delle azioni. Per fare un esempio, supponiamo che un titolo obbligazionario valga 1000 euro, mentre le azioni della stessa società valgano 100 euro: l’investitore, alla scadenza, potrà scegliere se ottenere il rimborso o se ottenere, in cambio dell’obbligazione, 10 azioni della stessa società. Ovviamente, se alla scadenza il valore delle azioni è salito, l’investitore sceglierà le azioni; in caso contrario sceglierà il rimborso classico. In realtà, è opportuno ricordare che esiste anche la possibilità che la scelta finale spetti all’emittente. Questa versione esiste, ma nel nostro Paese viene trattata come un titolo atipico e non come un’obbligazione: infatti il codice civile stabilisce che l’obbligazione debba assicurare il valore nominale, perciò, se c’è la possibilità di remunerare gli investitori con azioni il cui valore potrebbe essere inferiore rispetto al valore nominale delle obbligazioni, non si tratterà più di vere e proprie obbligazioni, ma di titoli atipici.