Procedura “solenne”

Nella procedura più complessa, le fasi sono 4:

1)      Negoziazione. È la fase nella quale il brodo bolle. È lì che si decide. I trattati più importanti hanno una storia di negoziazione estremamente lunga. Esempio: la convenzione sul diritto del mare più di 10 anni. Il passaggio da GAT a WTO è stato lento. Ci son voluti anni e anni di discussioni per delineare i principi. “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” – Trapattoni. J Qui si giocano i compromessi. Gli Stati si confrontano per trovare un giusto bilanciamento degli interessi (torneremo sul bilanciamento più avanti, ma già ora può esser chiaro che se si parla di un accordo internazionale, come qualunque altro contratto, esso rispecchia il punto di equilibrio tra la parte e al controparte). Il bilanciamento risente del peso politico dei partecipanti, ovviamente.

2)      Sottoscrizione. La firma apposta alla fine della negoziazione ha un valore importante perché blocca allo stato dei fatti la possibilità di apportare ulteriori modifiche. Se uno Stato volesse ottenere modifiche dovrebbe tornare indietro di una fase. La sottoscrizione ha anche un’altra valenza: ha un primo valore che è quello di impegnare lo Stato, il soggetto partecipante a provvedere alle ulteriori fasi di carattere interno che porteranno eventualmente alla ratifica dell’accordo. Non è particolarmente pesante, ma è comunque un impegno. Può esser svolto da un delegato (ministro pleni-potenziario: un tipo particolare di ambasciatore, il quale ha pieni poteri per svolgere la missione di cui è incaricato, cioè partecipare e sottoscrivere il testo). Potrebbe esserci qualche caso in cui il Ministro degli Affari Esteri firmi direttamente l’accordo. I personaggi che firmano possono variare, ma l’impegno che assumono al momento della sottoscrizione è puramente e semplicemente l’impegno di provvedere a far sì che quel testo prosegua nel suo cammino all’interno dello Stato di cui sono responsabili. Ecco che entra in gioco ciascuno Stato con la sua normativa interna. Il procedimento che si innesca a valle prevede che il sottoscrittore consegni al ministro o al Parlamento il testo del Trattato. Per esempio, se è indispensabile provvedere a creare degli Istituti, strumenti o regole non ancora esistenti per poter far funzionare il Trattato, il rappresentante dello Stato può passare già al Parlamento. Berio Roberto si sta addormentando. J Ogni ministero competente deve affiancare il ministro degli affari esteri: saranno coinvolti in ragione della materia che trattano. A questo punto, una volta che il testo dell’accordo è passato al vaglio dell’organo competente, qualsiasi esso sia (che bella assonanza, mi fa notare Roberto Berio), in Italia è il capo dello Stato italiano che ha la competenza per ratificare i Trattati: firmare e accettarli in maniera obbligatoria. È il capo dello Stato che ha la capacità di impegnare lo Stato italiano.  Scatta un obbligo per la persona che ha sottoscritto e lo Stato che rappresenta di avviare le procedure interne che eventualmente porteranno alla ratifica: ci si impegna a valutare e mettere in atto tutti i passaggi successivi. Un terzo effetto della sottoscrizione è importante perché è un impegno che scatta con immediatezza: il rappresentante prende impegno di non comportarsi in maniera contraria alla possibilità di rendere operativo l’accordo. Quindi è tenere un comportamento di buona fede, in modo tale da non compiere azioni compromettenti. Caso semplice: Berio Roberto, al termine di un evento bellico, nell’accordo sottoscrive che ci sia la consegna della flotta del suo Stato (che ha perso l’evento bellico). Da quel momento è evidente che, se Berio Roberto autoaffonda le proprio navi o le distrugge, attua un comportamento che impedisce il trattato. Essendo un comportamento scientemente deciso, non è considerabile in buona fede, perché impedisce il verificarsi dell’oggetto del trattato.

3)      Ratifica: è l’atto col quale formalmente lo Stato si vincola. Può seguire due percorsi:

  1. Può esser semplicemente scambiata, nel caso in cui il numero di partecipanti non sia elevato.
  2. Negli accordi di grande portata, si fa il deposito delle ratifiche: si nomina un personaggio particolarmente significativo e si fa presso di lui. Bisogna tenere presente che gli atti non devono esser solo perfetti, ma anche efficaci, quindi l’accordo che ha passato le varie fasi fin qui è perfetto, ma non è detto che sia già efficace.

Di solito la legge di autorizzazione alla ratifica, in Italia, si tende quasi sempre a mescolare due cose separate. L’autorizzazione è un atto preliminare. Ma il Parlamento, che non ha voglia di lavorare (come Berio Roberto), spesso fa insieme le leggi di piena e completa esecuzione. Si ottengono così insieme due effetti diversi: uno precedente e uno posteriore alla ratifica. Ma ciò crea un problema. Nel momento in cui l’atto è ratificato, abbiamo già detto, è perfetto ma non sempre efficace. Se non tutti gli Stati provvedono, si prevede almeno che 2/3 dei sottoscrittori abbiano depositato la ratifica o almeno un tot di Stati che rappresentino una quota dell’80% della capacità marina (ad esempio nel caso del Trattato sui mari). Insomma: siamo in una situazione in cui ratifichiamo un Trattato ma non sappiamo quando sarà effettivamente in vigore in tutti gli Stati ed è efficace. Però il Parlamento si semplifica la vita: lavora una volta sola, sia per la ratifica, sia per l’esecuzione. Questo viene fatto di solito quando non c’è necessità di adozione di norme di dettaglio di tipo esecutivo, nella quale si specifica con quali mezzi e modi deve essere applicato. Se invece è sufficiente un rinvio, con 3 righe di legge si risolve il problema.

4)      Esecuzione