La teoria del commercio internazionale

L‘economia internazionale nasce con riferimento alle differenze tra i diversi Paesi nel modo di produrre. Nei primo modelli organici le differenze nei modi di produrre sono rappresentati da una diversa efficacia del lavoro nell’ottenere un prodotto. In modelli semplificati il differente modo di produrre si riconduce alla diversa quantità di lavoro utilizzato nei singoli Paesi. Le altre risorse produttive possono essere assunte come date e determinanti la produttività. Del lavoro; si assume dunque un’unica funzione produttiva, funzione del lavoro.

Il fatto che ogni Paese abbia un modo diverso di produrre i beni porta all’esistenza degli scambi internazionali di beni e servizi, non di capitale. L’ipotesi è semplice: la quantità ottenuta in un certo Paese dì un certo prodotto è il risultato di un certo numero di ore di lavoro, differenti in ogni Paese. La presa d’atto del fatto che esistano Paesi più o meno capaci di produrre un certo bene assume come dati gli altri input produttivi, di cui nei primi modelli di scambio internazionale non si fa menzione. Il primo modello di scambio internazionale fa riferimento a scambi tra due Paesi che hanno funzioni di produzione in cui si utilizza un solo input, il lavoro, e funzioni di produzione lineari (non ci sono economie o diseconomie di scala) in quanto ogni unità di prodotto richiede sempre per unità di lavoro.

Si ipotizza che i beni producibili siano due: ad esempio, il Paese A è più abile nella produzione di un prodotto tessile, mentre il Paese B è più abile a produrre un bene fortemente tecnologico. I due Paesi A e B non possono modificare con il loro interscambio le ragioni di scambio che interessano entrambi i Paesi. Infatti i due Paesi sono così piccoli che la quantità scambiata è talmente ridotta rispetto agli scambi internazionali e i tassi di cambio non si modificano, ossia il tasso di cambio è stabile (ad esempio, all’aumentare delle esportazioni la moneta non si apprezza). Il Paese A utilizza una bassa tecnologia e dispone di manodopera non specializzata; al contrario, il Paese B utilizza un’alta tecnologia, disponendo di manodopera altamente specializzata.

 Il Paese A in assenza di scambi internazionali si troverebbe a dover produrre prodotti ad alto contenuto tecnologico, stornando forza lavoro dalla produzione di prodotti tessili; poiché non è in grado di produrli il costo di produzione sarà molto elevato. I prezzi relativi sono dati dal rapporto tra ore di lavoro contenute nei prodotti tessili e ore di lavoro necessarie per la produzione di prodotti tecnologici. Il produrre il prodotto tecnologico, il sistema produttivo del Paese A rinuncia a produrre numerose unità di prodotti tessili.

Il Paese B volendosi procurare dei prodotti tessili, in un modello chiuso, dovrà rinunciare a produrre e consumare prodotti tecnologici perché sono necessarie più ore di lavoro per produrre un prodotto tessile rispetto a un prodotto tecnologico. Si ipotizza che sia possibile lo scambio. Il Paese più abile nella tessitura osserva la convenienza ad acquistare il prodotto tecnologico dall’estero; se si concentra nella produzione di prodotti tessili può procurarsi esternamente prodotti tecnologici a un prezzo, ossia una ragione di scambio, più favorevole rispetto alla produzione interna.

Questo discorso si può applicare specularmente anche al Paese B. Il costo si misura in termini di quantità di lavoro, anche se in realtà il prezzo incorpora il valore del lavoro, dato dal prodotto tra quantità di lavoro e salario. Nel modello non c’è mobilità salariale da un Paese all’altro. Il salario è diverso nei due Paesi: il Paese A avrà un salario più basso poiché il lavoro è meno qualificato. Si può dimostrare che lo scambio è conveniente in quanto rende possibili una maggiore disponibilità di prodotti in entrambi i Paesi.

Se i due Paesi fossero chiusi, per ottenere il prodotto che ciascun Paese non è capace di produrre, si dovrebbe utilizzare una consistente quantità di forza lavoro. In un modello con scambi internazionali si produce una maggiore quantità per il fabbisogno nazionale e la quantità necessaria per l’altro Paese. Con lo scambio ciascun Paese tende a specializzarsi nella produzione in cui è più abile. Il primo vantaggio dello scambio internazionale è che con la medesima quantità di lavoro, che è limitato, si raggiunge una quantità di prodotto a livello globale maggiore per entrambi i Paesi.

Pur essendo il Paese A il più povero, i due livelli di salario si avvicinano, ossia il differenziale tra i due paesi diminuisce. Nel modello esiste tuttavia un problema logico: si è assunto che la funzione sia lineare, ovvero che il costo di ogni unità di prodotto è sempre lo stesso. Non c’è ragione per cui il Paese A sposti tutta la forza lavoro nella produzione di prodotti tessili.

Questa semplificazione conduce ad una totale specializzazione tra Paesi. Questo problema è stato risolto dalla dottrina successiva: nella realtà., infatti, non esiste completa specializzazione produttiva. La  specializzazione di afferma quando si realizza lo scambio e ciascun soggetto si specializza in ciò che è in grado di produrre meglio. Nel 1815 l’economista David Riccardo propose questo modello: la spiegazione dello scambio è offerta dalla specializzazione. Questa proposta conduce a un’ipotesi di specializzazione completa, ma nella realtà è solo parziale. E’ possibile eliminare alcune semplificazioni dal modello.

La presenza di scambi internazionali e spiegata in termini di vantaggi produttivi. Il vantaggio descritto nel modello è assoluto e ad esso corrisponde specularmente uno svantaggio assoluto. Il passaggio successivo della teoria prende in considerazione i vantaggi comparati. Infatti esistono Paesi avanzati che sono abili nella produzione di diversi prodotti. Ad esempio, il Paese sarà abile sia nella produzione di prodotti tecnologici che nella produzione di prodotti tessili. Al contrario i Paesi arretrati (ad esempio il Paese A) sono meno abili in tutte le produzioni. Esiste un vantaggio per il Paese avanzato per entrambi i prodotti. Normalmente i vantaggi nelle due produzioni non sono esattamente identici. Teoricamente il Paese avanzato dovrebbe produrre tutto e l’altro Paese nulla, ma ciò non è possibile in quanto il Paese meno avanzato, non producendo, non potrebbe comprare nulla. Si dimostra che spontaneamente il Paese meno avanzato si specializzerà nella produzione in cui il suo svantaggio, di cui si fa carico, è minore. Questo permette lo scambio a condizioni vantaggiose per entrambi i Paesi, in termini di maggiori disponibilità di produzione e di consumo e di riduzione del differenziale salariale. In questa seconda ipotesi in cui il Paese avanzato è abile in entrambe le produzioni, esso gode di un vantaggio assoluto in entrambi le produzioni il Paese in via di sviluppo e relativamente meno incapace su una delle due produzioni.

Facendo un confronto, il Paese in via di sviluppo è relativamente più abile in una produzione, anche se subisce uno svantaggio assoluto nelle due produzioni: il Paese ha un vantaggio comparato in quella determinata produzione. Nell’esempio, il Paese A ha due svantaggi assoluti mentre il Paese B ha due vantaggi assoluti. Dove lo svantaggio è meno forte si può dire che il Paese possiede un vantaggio relativo in quella produzione. L’altro paese con due vantaggi assoluti ha un vantaggio relativo nella produzione in cui il divario è più forte. Si parla in questo caso di vantaggi comparati. E sufficiente un divario nei vantaggi assoluti (in altre parole non devono essere uguali), ossia la presenza di vantaggi comparati, affinché avvenga lo scambio.

Se i vantaggi assoluti fossero uguali il paese meno abile non produrrebbe nulla. Esiste una specializzazione relativa, nella produzione di un bene, indipendentemente dai vantaggi assoluti, che possono entrambi far capo ad un solo Paese. E’ necessario imporre al modello un’ulteriore condizione: la ragione di scambio internazionale deve essere contenuta nelle ragioni di scambio autarchiche o interne. Il prezzo relativo (la ragione di scambio) dei due beni all’interno dei Paesi è dato dal rapporto tra le produttività marginali, in condizioni di equilibrio. Gli input vanno distribuiti in modo che il loro prezzo sia pari al prodotto marginale dell’input stesso.

Nel modello la produttività marginale costante in quanto la funzione è lineare. Se si ipotizza di pagare il lavoro lo si pagherebbe in base al valore del bene, ossia in base al suo prodotto marginale. Il lavoro è la misura del valore delle cose: è possibile una sorta di baratto, in quanto non c’è moneta ed esiste un solo input. Lo scambio riflette in condizioni di equilibrio il rapporto tra prezzi, dato dalla quantità di lavoro utilizzato. Nella realtà esiste la moneta e il lavoro viene remunerato in base al prezzo a cui i due beni vengono scambiati. Anche introducendo la moneta la ragione di scambio è la medesima.

 È necessario porre attenzione al tasso di cambio, ossia il prezzo relativo della valuta di due Paesi. Il modello presentato in precedenza vale se il tasso di cambio è irrilevante (rapporto 1:1); il lavoro nei due Paesi e perfettamente omogeneo. Nel momento in cui ci si sofferma sul tasso di cambio si può dimostrare che lo scambio può avvenire a condizione che la ragione di scambio internazionale tra i due Paesi sia compresa tra le ragioni di scambio autarchiche.

Ad esempio, se nel Paese A la ragione di scambio è 1:5 mentre nel Paese B è 1:3, nel primo Paese per produrre il secondo bene sono necessarie 5 unità di lavoro rispetto alle 3 dell’altro Paese per questo motivo è meglio che A si specializzi nella produzione del primo bene e B del secondo. Il Paese A può godere di una ragione di scambio 1:3. Se si prendono in considerazione i tassi di cambio e si ipotizza che il rapporto, ossia la ragione di scambio internazionale, sia 1:10, e cioè esterna all’intervallo compreso tra 1:3 e 1:5, il salario di un Paese vale 1/10 del salario dell’altro Paese. Il tasso di scambio è reciproco, ossia 1:10 e 10:1. Il prezzo dei due beni diverge comunque in una proporzione che non è più 3 contro 5. In assenza di tasso di cambio o in caso di rapporto 1:1 converrebbe che la produzione del secondo bene fosse concentrata nel Paese B; se il tassa di cambio è tale per cui il salario del Paese B è 10 volte il salario del Paese A, deriva che il costo di un’unità di bene è pari a 30 (10 x 3 ore). A questo punto cambia la convenienza allo scambio internazionale, la questione di capovolge, in quanto nel Paese A il bene costa solo 5 (5 x 1 ora).

Nel modello riccardiano lo scambio internazionale è effettivamente conveniente laddove la ragione di scambio internazionale sia compresa tra le ragioni di scambio autarchiche dei due Paesi. Il modello riduce le problematiche produttive alle caratteristiche di una sola variabile, il lavoro, in cui sono incorporate tutte le risorse necessarie per la produzione e le eventuali problematiche relative alla produzione stessa. La differenza risiede nel modo di produrre: lo scambio internazionale è spiegato dal possesso di tecnologie diverse. E’ utile considerare una funzione di produzione che sia almeno in due variabili, in modo da poter essere facilmente rappresentata sul piano cartesiano: si assume che il prodotto sia funzione del capitale (K) e del lavoro (L). Gli isocosti sono tutti paralleli perché il prezzo degli input (K, L) è costante. Data la tecnologia disponibile e i prezzi degli input, nel lungo periodo la via dell’espansione rappresenta i   luogo geometrico dei punti del piano per cui ogni isoquanto è tangente ad un isocosto.

Nel breve periodo, la via dell’espansione sarebbe costante, in quanto il capitale è costante (K dato). La via dell’espansione nel lungo periodo, disegnata sopra, significa che l’azienda nel tempo produce combinando tecnologie: al crescere della quantità prodotta l’azienda si sposterà su tecnologie capita! intensive (+ K, — L). Tutti i punti di equilibrio si trovano su una retta uscente dall’origine: si mantiene la stessa tecnologia. La retta è la via dell’espansione ma rappresenta anche una tecnologia (si varia la quantità di input mantenendo la stessa tecnologia nelle medesime proporzioni). Questa seconda via dell’espansione discende da una funzione in due variabili (K,L) e tiene conto di un’espansione che passa attraverso i rendimenti di scala. La via dell’espansione in rendimenti di scala passa attraverso l’adozione di un’unica tecnologia che non si abbandona, aumentando nelle stesse proporzioni i due input, mentre nella via dell’espansione classica (rappresentata nei primo grafico) si passa attraverso diverse tecnologie. Esistono tre tipi di rendimenti di scala:

  1. crescenti;
  2. costanti;
  3. decrescenti

Si hanno rendimenti di scala costanti quando, data una funzione di produzione Q = Q (K, L) e λ > O, moltiplicando per λ sia K che L il risultato è λ. Moltiplicato per Q. In altri termini: λ Q = Q (λ.L,  λ K). Si avranno rendimenti di scala crescenti se: λQ>Q (λ.L,  λ K) e rendimenti di scala decrescenti se: λ Q > Q (λ.L,  λ K). Passaggio successivo nell’analisi dello scambio internazionale è assumere una funzione di produzione funzione di K e L, considerando tutti gli input produttivi riconducibili a K e L il successivo modello analizzato è stato proposto da Heckscher – Ohlin, in cui la funzione di produzione è a più variabili (se sene utilizzano due per semplicità) e si opera in rendimenti di scala. Si assume che in ogni Paese ogni bene sia prodotto in rendimenti di scala mantenendo la stessa tecnologia.

Alcuni prodotti possono essere ottenuti solo con un’unica tecnologia oppure con una tecnica che può essere capirai o labour intensive. Nella scelta della tecnologia si prende in considerazione il prezzo del lavoro da confrontare con il prezzo del capitale. Il prezzo del lavoro discende dall’incontro tra domanda ed offerta in quanto è un prezzo di equilibrio. In caso di scarsità di manodopera il lavoro costerebbe di più a parità di altre condizioni, in quanto di manifesta un eccesso di domanda sull’offerta; lo stesso discorso vale anche per il capitale.

La scelta della tecnologia da adottare è legata ai prezzi relativi dei due input, K e L In realtà esistono altri input che vengono incorporati in K e L (uno costante e l’altro variabile nel breve periodo). Esistono Paesi con particolari risorse che confluiscono in K o L. Se si assume che il prezzo di un input dipende all’origine dalla quantità di input disponibile nel mercato dell’input stesso, ciascun produttore cercherà di utilizzare la funzione di produzione che sfrutta l’input in maggiore quantità. L’input disponibile in maggiore quantità si riferisce alle risorse che possiede un Paese.

Allargando l’analisi a un’ipotesi di produzione con più variabili con rendimenti di scala costanti si dimostra che lo scambio internazionale è conveniente laddove i Paesi si specializzano non in modo assoluto nella produzione per la quale è necessario l’impiego di un input che hanno in abbondanza. Lo scambio internazionale è determinato dalla differente dotazione di fattori nei diversi Paesi. I fattori produttivi possono essere risorse naturali, climatiche, il progresso tecnologico, cioè il possesso del know how necessario per produrre un determinato bene.

Ad esempio, la Cina ha iniziato ad esportare nel momento in cui ha disposto dì tecnologie per la produzione di beni, sfruttando la risorsa più disponibile, ossia il lavoro. Al di là dei modelli teorici sono presenti variabili non strettamente economiche che influiscono sullo scambio internazionale, ad esempio intervengono variabili di carattere istituzionale. La produzione con tecnologie mature fa riferimento alla teoria del ciclo del prodotto che spiega nel tempo perché la produzione di certi beni si sposta nel Mondo.

La produzione si sposta quando un prodotto nuovo, con forte contenuto innovativo e posseduto da pochi, pur in presenza di brevetti, diventa abbastanza conosciuto da poter dare avvio a nuove produzioni pur rispettando il brevetto. A un certo punto la tecnologia diventa disponibile: il prodotto o la tecnologia diventa maturo/a e tutti possono produrre quel determinato bene o mediante quella tecnologia. Secondo questa teoria si pongono le basi per cui questo bene possa essere prodotto in Paesi arretrati. La teoria analizza come nasce il prodotto e come diventa maturo secondo le diverse fasi del ciclo di vita. Questo discorso si può applicare anche alle tecnologie: la tecnologia matura è una tecnologia disponibile per tutti, salvo alcune condizioni.