Garanzie dei diritti del lavoratore

Invalidità delle rinunce e delle transazioni del prestatore di lavoro
Secondo la giurisprudenza, l’atto in deroga a norme inderogabili è nullo ai sensi dell’articolo 1418 codice civile, l’atto di disposizione di diritti inviolabili da norme inderogabili è soltanto annullabile ai sensi dell’articolo 2113 codice civile.
Il patto con il quale il lavoratore si accorda con il datore per escludere l’applicazione al proprio rapporto di maggiorazioni retributive dovute a lavoro straordinario è nullo ai sensi dell’articolo 1418 codice civile.
Al contrario, l’atto con il quale il lavoratore disponga del diritto a percepire un compenso per lavoro straordinario già effettuato è annullabile, poiché tale diritto è già entrato nel patrimonio del lavoratore.
Secondo il pretore di Milano la rinuncia a diritti non ancora maturati è nulla e non rientra nell’articolo 2113.

Esempio apparentemente contrastante:
la corte ha giudicato nullo per contrasto con le norme inderogabili l’atto, stipulato in sede di conciliazione sindacale, con il quale il lavoratore rinunciava al diritto garantito dall’articolo 2112 codice civile, di passare alle dipendenze dell’impresa cessionaria, nel caso in cui si fosse verifica un trasferimento d’azienda.

Quietanze a saldo
Molto frequentemente alla cessazione del rapporto, il lavoratore sottoscrive dichiarazioni (quietanze a saldo), nelle quali afferma di aver ricevuto il pagamento di tutte le spettanze e, dunque di non aver null’altro a pretendere.
Egli non abdica a diritti, ma effettua una dichiarazione di scienza. Ne consegue che il lavoratore, qualora vanti crediti non soddisfatti, potrà impugnare l’atto anche successivamente al termine di decadenza di sei mesi.
La cassazione afferma che a tale dichiarazione formulata in termini generici e senza precisa indicazione dell’oggetto, non può essere riconosciuto il valore di rinuncia o transazione.

Decorrenza della prescrizione
Condizioni per la prescrizione dei crediti retribuitivi in costanza di rapporto
La materia è stata oggetto di due importanti interventi della corte Costituzionale: con la sentenza numero 66 del 1966 ha dichiarato illegittimo l’articolo 2948 numero 4, e l’articolo 2955 numero 2, nella parte in cui non prevedevano la sospensione della prescrizione del diritto alla retribuzione in costanza di rapporto di lavoro.
Questo ha portato ad un adeguamento da parte della giurisprudenza. La cassazione ha deciso che per la prescrizione dei crediti retributivi, il criterio della media occupazione non può essere utilizzato, poiché la media può variare nel tempo e rendere necessari calcoli che non possono essere pretesi dal lavoratore.
Nel caso siano superate le soglie dimensionali per l’applicazione dell’articolo 18 st.lav, consegue l’applicabilità al rapporto oggetto giudizio della tutela reale contro il licenziamento.
La cassazione nega il decorso della prescrizione durante il rapporto: il decorso è escluso quando vi sia una situazione psicologica di metus del lavoratore.
Distinzione tra diritti soggetti a prescrizione ordinaria e quinquennale
I diritti del prestatore di lavoro sono soggetti alla prescrizione quinquennale (articolo 2948 es: differenze retributive derivanti dal mancato riconoscimento della qualifica), ovvero nel termine di un anno della prescrizione presuntiva (articolo 2955 codice civile), si prescrivono a termine decennale della prestazione ordinaria (articolo 2946 es: qualifica).
Secondo parte della giurisprudenza la prescrizione decennale decorre comunque in costanza di rapporto, anche nei casi in cui è prevista una prescrizione minore.
Le ferie e riposi non goduti hanno carattere non risarcitorio ma retributivo, pertanto si ha la prescrizione quinquennale e non decennale. Il decorso del decennio dal momento dell’insorgenza del diritto all’inquadramento professionale non preclude definitivamente l’accesso al superiore inquadramento allorché continui l’attività potenzialmente idonea a determinarlo.